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(Lotte operaie nella crisi)

Una solita manifestazione della Cgil in una fase insolita del capitalismo in Italia come nel resto del mondo.

(27 Ottobre 2014)

unasolita

Come leggere la manifestazione di sabato 25 ottobre a Roma contro il governo Renzi? Proviamo a farlo con il solito metodo materialistico, analizzando i fatti, per così dire, particolari in rapporto alla situazione generale della fase che il capitalismo sta attraversando.
Quanti erano i lavoratori arrivati a Roma da tutt’Italia?
A osservare dall’alto il fiume rosso che si snodava da piazza Esedra fino a S. Giovanni, faceva una gran bella impressione. Un milione, dice la Cgil. Poi però lo stesso ufficio stampa del maggiore sindacato dei lavoratori sostiene che sono arrivati nella capitale: 2.500 pullman, 10 treni speciali, alcune navi, qualche aereo, più quelli che si sono organizzati in proprio, più quelli residenti nella capitale. Conteggiando il tutto viene fuori una cifra molto lontana dal milione. Allora facciamo una prima controprova che consiste nel supporre un tubo all’interno del quale scorre una massa e che in un minuto scorrano mille manifestanti. Le ore di corteo sono state circa tre per un totale di 180 minuti. Siamo sempre molto lontano dal milione indicato dalla Cgil. Proviamo un ulteriore conteggio, moltiplichiamo i circa 45.000 metri quadri di piazza S. Giovanni per 4, cioè il numero di persone capienti per ogni metro quadro. Il risultato è sempre lo stesso: molto, ma molto lontano dal milione, al di sotto dei 200.000.
Esaminato il dato quantitativo, cerchiamo di capire quello qualitativo.
Oltre all’apparato burocratico di funzionari, sempre folto e nutrito, era presente una percentuale intorno al 40% di pensionati, un settore di tutto rispetto, una sorta però di zoccolo duro che conta come opinione, come per una kermesse elettorale, non certamente come azione di forza necessaria per quello che la fase richiede. Pochi i giovani, e quel che è peggio, poco organizzati, poco galvanizzati, poco arrabbiati, poco cioè disposti a una dura battaglia di scontro con il capitale che la fase richiede. Un 40% di lavoratori delle varie categorie, con una massiccia presenza della Fiom a fungere d’avanguardia. Totale assenza di operai organizzati attraverso i consigli di fabbrica. Tranne qualche rara eccezione come i lavoratori siderurgici di Terni. Un dato strutturale – questo - gravido di implicazioni.
Vogliamo in questo modo scoraggiare i manifestanti, i lavoratori, gli iscritti alla Cgil, i simpatizzanti e militanti di sinistra?
No, vogliamo solo dimostrare che la Cgil usa una cifra esagerata per assecondare il principio del minimo sforzo delle masse e, piuttosto che stimolarne l’azione, tende a quietarle, come a dire: siamo in tanti, siamo in troppi, ci devono ascoltare, vedrete che ci ascolteranno. Questo è il messaggio che vien fatto veicolare. Tanto è vero che la Camusso nel suo intervento a conclusione della manifestazione prometterà “azioni di lotta nei territori e se necessario arriveremo anche allo sciopero generale”. Campa cavallo.
Il nostro punto di vista dissente fortemente non solo da quello della Cgil, ma anche dal sentire comune sia dei lavoratori presenti in piazza che della stragrande maggioranza di quelli che sono rimasti sordi all’appello del maggiore sindacato italiano. Cerchiamo di spiegare perché.
Come si è arrivati a questa manifestazione?
Con una totale pace sociale in tutti i luoghi di lavoro. Con una classe operaia falcidiata e intimorita per i colpi della crisi e le soluzioni della Bce e del renzismo che se ne fanno carico per uscirne a esclusivo danno dei lavoratori. Dunque il 25 ottobre non è stato un momento di una crescente mobilitazione contro il governo, la Bce e i capitalisti nel loro insieme che premono fortemente per ottenere tutte le misure possibili per attrezzarsi a battere l’aumentata e sempre più agguerrita concorrenza, specie quella asiatica.
Ecco perché si è passati dal 2002 con Cofferati al Circo Massimo dove c’erano (allora si disse, ma il dato era forzato e moltiplicato almeno per tre) tre milioni di manifestanti ai duecentomila di sabato, 25 ottobre 2014. Cos’è cambiato, cosa è successo nel frattempo? Sono diventati sempre più opportunisti i sindacalisti riformisti della Cgil, oltre che della Cisl e della Uil, rispondono in tanti. Ma è una risposta semplicistica, si limita cioè a costatare i fatti.
Il nostro punto di vista si sforza di analizzare le cause che hanno prodotto come risultato quei fatti. Li elenchiamo brevemente:
a) il capitalismo mondiale ha chiuso in maniera definitiva – a nostro modestissimo parere – la sua fase ascendente;
b) il proletariato – in specie in Occidente – ha avvertito già da alcuni anni questa drammatica realtà e in quanto classe complementare dell’accumulazione del capitale è assalito da uno sgomento e sta arretrando in maniera disordinata;
c) gli ancoraggi del proletariato che nel precedente ciclo divenne classe operaia “per sé” , cioè con una propria capacità di organizzarsi e di contrattare il costo della sua forza lavoro in maniera collettiva, in modo particolare in Occidente, quegli ancoraggi con la crisi generale vanno perdendo di potenza perché è aumentata la concorrenza delle varie sezioni proletarie dai paesi di giovane capitalismo. Per fare un solo esempio, la categoria degli edili in Italia è totalmente o quasi romena, ucraina, russa, polacca, albanese e cosi via. Come potrebbero iscriversi al sindacato questi lavoratori in una fase discendente dell’accumulazione?
d) Si è prodotta una frattura generazionale che proprio nel 2002 segnò un punto di svolta: il proletariato del vecchio ciclo nel tentativo di difendere sé stesso non seppe svolgere un ruolo di difesa delle nuove generazioni che erano scese in piazza in difesa dell’articolo 18 come possibilità di una propria prospettiva di lavoro e di vita.
In definitiva, la Cgil, cioè la classe operaia italiana del precedente ciclo, con le parole d’ordine ‘Lavoro, Dignità, Uguaglianza’, si rapporta programmaticamente alla nuova fase con i vecchi contenuti, come se il capitalismo potesse sempre crescere, dunque con una solita manifestazione, quando il cosiddetto mondo del lavoro è totalmente cambiato e la crisi impone al proletariato un salto di qualità e di rottura che al momento non si intravede.
Salutiamo perciò positivamente la manifestazione del 25 ottobre, la leggiamo per quello che essa realmente è, senza esaltarla e senza enfatizzarla. Nel contempo invitiamo innanzitutto le nuove generazioni di proletari ad abbandonare l’illusione che in Europa il renzismo possa produrre un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica capace di soddisfare le loro necessità.
Non possiamo ricercare le responsabilità in questo o quel dirigente del sindacato, in questo o in quel dirigente di partito. Renzi fa il gallo sull’immondizia perché sotto i suoi piedi ha un cumulo di macerie, cioè la diaspora di quella rappresentanza politica alla quale faceva riferimento il proletariato costituito in classe operaia che cresceva perché cresceva il capitalismo
Un nuovo partito di sinistra con Landini segretario capace di raccogliere il malcontento provocato dal renzismo nel Pd? Meglio che niente, vogliamo dire, ma quello che effettivamente serve è una mobilitazione generale delle giovani generazioni di lavoratori, indigeni e immigrati, capaci di mettere in discussione i principi della concorrenza e porre al centro della scena sociale le proprie necessità, la propria voglia di vivere, dunque una propria nuova organizzazione, un proprio nuovo programma.
Detto in maniera brutale: le masse proletarie non possono più pensare di vivere in maniera complementare nel modo di produzione capitalistico con i padroni. Duro a dirsi, ma così è.
27 ottobre 2014

Michele Castaldo

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