">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Que viva Fidel

Que viva Fidel

(23 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Fidel appare in pubblico per smentire la propaganda imperialista che lo dava per morto

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

APPUNTAMENTI
(Imperialismo e guerra)

SITI WEB
(Dalla parte di Cuba)

La rivoluzione cubana in pericolo

(18 Marzo 2005)

L’abolizione del capitalismo a Cuba è stato uno dei più grandi eventi del 20° secolo. Essa aprì la strada ad una trasformazione radicale delle condizioni di vita dei lavoratori e dei contadini cubani. È stato rapidamente sradicato l’analfabetismo. Nel 1962, c’erano solo 44 ospedali in tutta l’isola; dieci anni dopo, ce n’erano 221. La salute generale della popolazione migliorò velocemente. Il tasso di mortalità infantile, per esempio, è stato ricondotto ad un livello inferiore a quello dei paesi europei. Per la prima volta la gran parte della popolazione ha potuto dedicarsi all’arte e alla cultura. La gratuità dell’istruzione e delle cure mediche, l’abolizione degli affitti, lo sviluppo dei servizi pubblici e tutta una serie di altre misure sociali hanno fatto in modo che la società cubana contrastasse – e contrasti ancora – con le condizioni di miseria, di degrado e di precarietà che formano la vita quotidiana di tutti i popoli vicini, come ad Haiti o in Giamaica.

Malgrado tutte le difficoltà esistenti oggi, Cuba ha potuto inviare in Venezuela 15.000 tra medici ed infermieri per partecipare al programma di sanità pubblica fondato da Chavez. Quanti medici avrebbe potuto inviare la Francia, per esempio, nel caso il suo governo avesse voluto partecipare? Così, checché ne dica la propaganda imperialista contro Cuba ed il suo governo, su quell’isola isolata abbiamo una prova concreta ed irrefutabile dei colossali vantaggi sociali ed economici della nazionalizzazione dei mezzi di produzione.

Cuba è soggetta ad una campagna implacabile da parte dei media capitalisti. L’imperialismo americano si appresta ad eliminare non appena possibile le conquiste della rivoluzione cubana, e ad abbandonare Cuba ai rapaci appetiti dei capitalisti, come ai tempi di Batista. Di fronte a questa minaccia assai reale, è nostro dovere il sostegno alla rivoluzione cubana e la difesa contro ai suoi nemici imperialisti.

Tuttavia, difendere la rivoluzione cubana non significa chiudere gli occhi sull’estrema gravità della situazione in cui si trova. Il crollo dell’Unione sovietica ha inferto un colpo terribile alla vitalità dell’economia pianificata di Cuba, ormai erosa dall’interno – legalmente e non – dal settore privato.

Il marxismo autentico ha sempre rifiutato la teoria falsa e reazionaria del “socialismo in un solo paese”. Formulata per la prima volta da Stalin dopo la morte di Lenin, quella teoria rifletteva il conservatorismo ed il nazionalismo della casta burocratica che, tenuto conto dell’isolamento e dello sfinimento della rivoluzione russa, ha potuto gradualmente consolidare il potere e stabilire la dittatura. Ora, in tutta evidenza, se l’economia pianificata in Urss e altrove non è riuscita a resistere di fronte alle pressioni del mercato mondiale, quella di Cuba, isolata e indebolita, non potrà resistere in eterno. S’impone una verità ineludibile: il solo modo di garantire lunga vita all’economia pianificata e alle conquiste della rivoluzione cubana risiede nella estensione della rivoluzione al di fuori delle sue frontiere. da qui l’importanza cruciale del processo rivoluzionario che si svolge attualmente in Venezuela.

Durante i sei anni del suo potere, Hugo Chavez ha diverse volte affermato che l’obiettivo della “rivoluzione bolivariana” non è quello di richiamare in causa il sistema capitalista. Il suo governo ed il movimento rivoluzionario che l’appoggia hanno cercato, per mezzo di riforme nei settori dell’istruzione, del lavoro e della sanità, di migliorare la quotidianità della stragrande maggioranza dei Venezuelani. Tuttavia, la classe capitalista locale e le potenze imperialiste straniere, specie gli Usa e la Spagna, hanno tentato di affondare con tutti i mezzi l’economia, di vanificare la messa in opera delle riforme e di rovesciare con la forza il governo democraticamente eletto. Per questi motivi, oggi, milioni di lavoratori, di contadini e di giovani venezuelani sono giunti alla conclusione – come lo stesso Hugo Chavez – che bisogna rompere con il capitalismo.

Il processo venezuelano è tanto più interessante se si ricorda quello che ha prodotto il rovesciamento del capitalismo a Cuba, nel 1960. La classe capitalista cubana era troppo debole e corrotta per poter condurre una lotta seria contro l’imperialismo spagnolo, finalmente espulso nel 1898 con l’aiuto degli Usa. Allora, Cuba si trasformò in una colonia economica degli Stati Uniti. Nel 1930, solo il 30% delle piantagioni appartenevano a proprietari cubani. I lavoratori cubani erano particolarmente militanti e combattivi, ma i dirigenti del Partito comunista cubano, invece di condurre una lotta di classe contro il capitalismo, si convinsero del carattere “progressista” dei capitalisti “nazionali”, al punto di integrarsi nel governo del dittatore Batista. La collaborazione tra i dirigenti comunisti e la dittatura non poteva che demoralizzare e paralizzare il movimento operaio cubano. Tuttavia, sotto Batista, i problemi generati dal capitalismo mafioso erano talmente pesanti che la rivoluzione non poteva più attendere. Se la via “classica” della lotta – quella del movimento operaio – era bloccata, la rivoluzione ne trovò un’altra. Fu quella dei guérilleros guidati da Fidel Castro.

Nel 1959, lo stato cubano crollò come un castello di carte. Batista abbandonò la capitale il primo gennaio, lasciando il potere nelle mani di una giunta militare reazionaria. Questa fu rovesciata da uno sciopero generale dei lavoratori de l’Avana. Castro prese il potere, ma, come Chavez, non aveva intenzione, a quel punto, di mettere fine al capitalismo. Il suo programma era quello dello sviluppo di un “capitalismo nazionale e democratica”. Come Chavez, tentò di condurre una politica di riforma sociale nel quadro del capitalismo. La composizione borghese del suo governo traduceva il carattere borghese dei suoi obiettivi. Castro non voleva entrare in conflitto con le gli Usa. Tuttavia, da quando Castro volle tassare le imprese americane per finanziare la lotta contro la miseria, la modernizzazione del paese, il miglioramento dell’istruzione e della sanità pubblica, Washington reagì violentemente imponendo un blocco commerciale e preparando il rovesciamento del regime con un intervento militare. Fu quella “frusta della contro-rivoluzione” ad obbligare Castro – la cui popolarità era immensa – ad arrivare più lontano dei suoi progetti iniziali. In luglio 1960, Castro nazionalizzò ogni impresa e proprietà americana. Tre mesi dopo, sorretto dal massiccio sostegno della popolazione, nazionalizzò circa 400 impresa capitalista. In aprile 1961, gli Usa lanciarono un colpo militare per mettere fine alla rivoluzione e rovesciare Castro. Ma le milizie popolari cubane schiacciarono gl’invasori nella Baia dei porci, e Castro allora annunciò il carattere socialista della rivoluzione.

La rivoluzione cubana ha avuto un impatto potente sulla coscienza dei lavoratori e dei giovani latinoamericani. Tuttavia, tutto ciò non ha avuto solo conseguenze positive. Come Castro è stato influenzato dalla vittoria della rivoluzione cinese, la sua vittoria ha incitato un gran numero di giovani e d’intellettuali radicali a vedere nei metodi dei guérilleros cubani una scorciatoia verso la presa del potere. Si qualificavano per lo più marxisti-leninisti, ma ignoravano l’eredità teorica particolarmente ricca del marxismo su lla questione, o se ne astraevano completamente. Per esempio, alla fine dell’800 i primi marxisti russi, attorno s Plékhanov e Lenin, perseguirono una lotta lunga ed aspra contro i narodniki russi, i cui metodi erano gli stessi, in fondo, dei gruppi di guérilleros che si sono sviluppati in Americalatina nella scia della rivoluzione cubana. Secondo il marxismo, il socialismo non può essere che il risultato del movimento cosciente della classe operaia, e ciò in ragione della funzione specifica che è la sua nella produzione moderna.

Ogni tentativo di esportare il “modello rivoluzionario cubano” in altri paesi latinoamericani sono stati liquidati da scacchi disastrosi. Che Guevara si dedicò anima e corpo alla causa rivoluzionaria, ma il suo tentativo, in Polizia, di condurre una guerra rivoluzionaria partendo da una piccola banda di guérilleros – passando sulla testa del movimento operaio boliviano – fu un fiasco completo che, tragicamente, gli costò la vita. Che Guevara comprendeva la necessità d’intendere la rivoluzione nell’insieme del continente latinoamericano. Da quel punto di vista, la sua marcia era corretta. Tuttavia, il metodo non era buono.

In Nicaragua, i Sandinisti riuscirono a conquistare il potere in circostanze paragonabili a quelle che permisero a Castro la presa del potere. Ma invece di espropriare i capitalisti, come a Cuba, essi lasciarono stupidamente l’economia nelle mani dei loro peggiori nemici, che naturalmente se ne servirono per sbarazzarsi dei sandinisti alla prima occasione, con l’aiuto dell’imperialismo americano.

Allo stesso modo, nei casi in cui, con il favore delle circostanze storiche eccezionali, dei guerilleros, o delle armate contadine come quelle di Mao in Cina, hanno abolito i rapporti di proprietà capitalisti, i regimi che ne risultarono non furono e non potevano non essere altra cosa che una caricatura burocratica di Stato socialista. La condizione sine qua non per uno Stato socialista è la partecipazione, il controllo e la direzione degli affari dello Stato e dell’economia, ad ogni livello, da parte del proletariato e dei suoi rappresentanti democraticamente eletti.

A differenza della rivoluzione russa del 1917, la rivoluzione cubana non fu direttamente realizzata dalla classe operaia e le sue organizzazioni, il cui ruolo si limitava a punto d’appoggio per la presa del potere dei guérilleros, in particolare durante lo sciopero generale di gennaio 1959. questa differenza non è un dettaglio. Al contrario, essa ebbe conseguenze decisive e spiega il carattere particolare del nuovo regime prodotto dalla rivoluzione cubana. Fin dal 1959-60, il potere politico cubano è stato nelle mani di una burocrazia non eletta. A Cuba non esiste nessuna struttura democratica paragonabile ai soviet russi del 1917, per cui i lavoratori possano esercitare direttamente il potere sull’economia e sulla politica.

Ognuno comprenderà la minaccia che rappresenta per Cuba l’enorme potenza imperialista statunitense. La scomparsa dell’Urss ha profondamente modificato il rapporto di forza tra le grandi potenze mondiali. Le guerre in Serbia, Afghanistan ed Iraq traducono la realtà di quel cambiamento. In effetti, mai prima d’ora tanti mezzi economici e militari sono stati concentrati nelle mani di un solo paese. Tuttavia, attualmente, tenuto conto delle difficoltà statunitensi in Iraq, il pericolo principale non proviene dall’esterno ma dall’interno. Da una parte, le conquiste della rivoluzione sono oggi sempre più minacciati dalla cancrena capitalista che s’installa nell’economia cubana. Dall’altra, come nel caso dell’Urss alla fine degli anni ’80, una parte notevole della burocrazia e dei capi militari è variamente implicata nel mondo degli “affari” capitalisti. Accade che rappresentanti dello Stato abbiano un tenore di vita paragonabile a quello degli affaristi occidentali. Gli interessi di questi corrotti elementi, dediti all’arricchimento personale, coincidono con quelli del capitalismo straniero.

Si produce nello Stato, a diversi livelli, una divisione tra coloro che vogliono difendere l’economia nazionalizzata e coloro che vogliono disfarsene. Tenuto conto delle conseguenze del crollo dell’Urss, Castro non aveva altre scelte che quella di aprire l’economia ad investimenti stranieri e tollerare, in certi limiti, lo sviluppo di attività di tipo capitalista. Si trattava in particolare di stimolare il settore turistico. Ma l’aumento del settore privato – legale ed illegale – sta per scalzare le basi della pianificazione e quindi del regime.

Castro è contro la restaurazione del capitalismo e si sforza di resistere alle tendenze pro-capitaliste. In varie occasioni, egli ha tentato di limitare la corruzione e l’affarismo nella società e nello Stato. Già nel 1986, egli dichiarava pubblicamente che la rivoluzione era minacciata da una “classe di nuovi ricchi”. Recentemente, sono state prese delle misure repressive nei confronti di controrivoluzionari legati all’amministrazione statunitense. Quelle misure – oggetto di ipocrite denunce nei media occidentali – erano interamente giustificate dal punto di vista della difesa della rivoluzione. D’altronde, è stata varata una politica mirata a limitare la “dollarizzazione” dell’economia, in particolare con il decreto del 14 novembre 2004. Castro cerca di limitare il peso del settore capitalista. Nel 2003, sono stati smantellati 580 imprese, 315 magazzini e 180 laboratori illegali.

Si tratta di misure legali e amministrative positive, ma il loro impatto è molto limitato. Esse non potranno da sole sradicare la cancrena capitalista che s’insedia. Molto probabilmente, tenuto conto della sua immensa popolarità, tanto quanto lungamente vivrà Castro, le tendenze controrivoluzionarie non verranno alla luce del giorno. Quando morirà, invece, passeranno immediatamente all’azione, con l’appoggio degli Usa e di tutte le altre potenze imperialiste.

Per prevenire questo pericolo, sono necessarie profonde riforme. Bisogna fondare organizzazioni collettive e democratiche di lavoratori, dotate di reali poteri, in modo che la classe operaia non resti passiva nel momento in cui, sopra la sua testa, si prepara la catastrofe. Bisogna attaccare frontalmente la corruzione e l’affarismo. Bisogna cacciare ad ogni livello dello Stato gli elementi pro-capitalisti notori. Bisogna imporre stretti controlli sui redditi di ogni rappresentante del popolo, che devono essere eletti e la cui attività dev’essere sottomessa alla vigilanza e al diretto controllo dei lavoratori.

Detto questo, anche nel caso di una vittoria contro la corruzione e l’affarismo, non sarà possibile regolare i problemi fondamentali dell’economia e della società cubane nel quadro nazionale. La salvezza della rivoluzione e la salvaguardia delle sue conquiste passano necessariamente attraverso la sua estensione al resto dell’Americalatina. Un movimento rivoluzionario è attualmente in corso in Venezuela. I recenti avvenimenti boliviani, brasiliani, argentini, ecuadoriani e altri, indicano il potenziale rivoluzionario che esiste attraverso il continente. Una vittoria decisiva della rivoluzione socialista – per esempio in Venezuela – cambierebbe radicalmente la situazione e, tenuto conto della catastrofe socio-economica che il capitalismo porta in tutta l’Americalatina, sarebbe il preludio ad altre vittorie. Questa prospettiva – e questa solamente – permetterà alla rivoluzione cubana di battere l’imperialismo e di evitare al suo popolo di ritornare sotto le catene del capitalismo, da cui si è liberato quasi mezzo secolo fa.

10 marzo 2005

Greg Oxley – http://www.lariposte.com

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Dalla parte di Cuba»

5561