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(28 Maggio 2011) Enzo Apicella
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Gli attacchi del governo
e le illusioni perdute della piazza Cgil

Il 25 ottobre centinaia di migliaia di lavoratori in piazza.
Ma cosa fa la direzione Cgil?

(28 Ottobre 2014)

attacchigoverno

Le immagini della piazza del 25 ottobre a Roma sono indubbiamente impressionanti. Confermano l'enorme capacità di mobilitazione che ancora conserva l'apparato Cgil, nonostante decenni di politiche di svendita dei diritti dei lavoratori. "Al lavoro e alla lotta!": così Susanna ha concluso Susanna Camusso il comizio. Ma è proprio la lotta la reale intenzione della direzione della Cgil?

Articolo 18 e Jobs Act: le parole e i fatti
Oggi la Camusso si erge a paladina della difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Vale la pena ricordare alcuni recenti passaggi, per capire perché le cose non stanno esattamente così.
L'articolo 18 è stato fortemente ridimensionato già dal governo Monti, con la cosiddetta riforma Fornero. Di fatto, il colpo più duro a questa tutela è arrivato due anni fa: tra l'altro, a differenza del Jobs Act, allora la norma aveva valore retroattivo, ossia diventava valida per tutti i contratti, anche quelli in essere, e non solo per le nuove assunzioni. In quell'occasione, vogliamo ricordarlo, la Cgil non proclamò lo sciopero generale, limitandosi a manifestazioni simboliche (e innocue) che caddero nel vuoto. La direzione della Cgil porta già sulle proprie spalle, quindi, la responsabilità di non aver lottato in modo conseguente su questo punto. Analogo comportamento fu tenuto in occasione di un'altra nefasta "riforma" a firma Fornero, quella delle pensioni, che ha innalzato drasticamente l'età pensionabile, con effetti drammatici anche sulla disoccupazione giovanile per il blocco del "turn over": furono proclamate da Cgil, Cisl e Uil solo tre innocue ore di sciopero.
E oggi? Noi crediamo che la direzione della Cgil non sia cambiata: per l'ennesima volta, le aspettative delle centinaia di migliaia di manifestanti che sono scesi in piazza a Roma il 25 ottobre verranno tradite dalla Camusso e dai suoi collaboratori. Del resto, basta rileggere le recenti dichiarazioni rilasciate dalla Camusso e da Landini per capire dove si andrà a parare. "Se si parla di allungare il periodo di prova, sono per discutere dei tempi (...) capisco che ci sia una stagione in cui l'articolo 18 non vale ma è necessario che sia transitoria" (Susanna Camusso, dichiarazione Ansa 24/9/2014) e "la proposta nostra, della Cgil e della Fiom, è di introdurre un contratto a tempo indeterminato a tutele progressive, dove ci può essere un periodo di prova più lunga, ma alla fine ci devono essere le tutele per tutti" (Landini, dichiarazione del 28/9/2014): ecco come la pensa chi ha diretto le masse che sono scese in piazza il 25 ottobre (1).
In altre parole, alle centinaia di migliaia di persone scese in piazza il 25 ottobre per opporsi agli attacchi del governo - numeri che, in altri contesti e con altre direzioni politiche, sarebbero sufficienti per abbattere un governo - viene chiesto di accontentarsi di un piatto di lenticchie: l'eventuale ridefinizione dei tempi e delle modalità in cui l'articolo 18 verrà cancellato.
E allora ci chiediamo: "un milione e mezzo di persone in piazza" (queste le cifre dichiarate dalla Cgil) non si meriterebbero forse qualche cosa di più? La verità è che - tre anni o più anni - il succo non cambia: i nuovi contratti a tempo determinato lasceranno ai padroni licenza di uccidere, cioè licenziare: i lavoratori saranno ancora più ricattabili di quanto lo sono oggi. Vogliamo ricordare anche che il Jobs Act va oltre lo smantellamento dell'articolo 18: peggiora le condizioni di erogazione degli ammortizzatori sociali (al fine di ridurre gli oneri per le aziende e aumentare quelli dei lavoratori), dà il via libera alla possibilità di modificare, a discrezione del padrone, le mansioni a parità di salario, introduce un regime disciplinare di controllo a distanza con telecamere, elargisce denari ai centri per l'impiego e alle agenzie interinali "in base ai risultati occupazionali raggiunti" (sic!).

La Legge di Stabilità: un'altra batosta
La Legge di Stabilità è stata recentemente presentata alla Commissione europea e, mentre scriviamo, è in corso un balletto tra governo italiano e Bruxelles per verificare se potrà ricevere l'ok. La misura più sbandierata dal premier Renzi è il tfr in busta paga: una misura che viene presentata come un "regalo", mentre in realtà non si tratta altro che di soldi dei lavoratori semplicemente anticipati in busta paga (tra l'altro con aumento della tassazione).
Altro "vanto" del premier sono gli 80 euro per i bimbi appena nati (o adottati): una cifra irrisoria se si considera che lo smantellamento degli asili pubblici e la loro privatizzazione hanno aumentato moltissimo le rette (senza contare il carovita e il conseguente aumento delle spese per il mantenimento dei figli). Si tratta di un'offesa prima di tutto alle donne, che sono spesso costrette a rinunciare al lavoro per la cura dei figli - nella nostra società maschilista che fa ricadere prioritariamente sulle madri la crescita dei bambini - e per le quali 80 euro in più al mese, con la privatizzazione della sanità, non serviranno nemmeno a pagare l'aumento delle spese del pediatra.
Ma il succo della manovra è un altro. E' previsto un taglio di 4 miliardi che ricadrà in primo luogo sui servizi pubblici a gestione regionale e comunale (sanità, trasporti, asili, scuole), oltre che sui lavoratori dei ministeri. Il settore dei trasporti - uno dei più colpiti negli ultimi anni - subirà anche un ulteriore colpo con la svendita ai privati della rete ferroviaria. L'iva crescerà ulteriormente, con aumento generale dei prezzi. Previsti invece investimenti miliardari per il Jobs Act (finanziamenti alle agenzie interinali inclusi!) e alle missioni militari all'estero. Chi brinda per questa legge è, ancora una volta, la grande borghesia industriale italiana, che avrà graditi sgravi fiscali e ingenti sconti sulle tasse. Bastano le parole di Squinzi per riassumere il quadro: "non possiamo che dichiarare la nostra piena soddisfazione (...) quando il presidente del Consiglio ha annunciato le misure, onestamente ho sentito che si realizzava quasi un sogno" (Sole24ore, 25/10/2014).

Cosa serve per respingere le misure di Renzi
Anche tanti militanti del Pdac erano in piazza il 25 ottobre, al fianco dei lavoratori e dei disoccupati che legittimamente protestano contro il governo e i suoi attacchi feroci alle masse popolari. Ma erano in piazza per spiegare, a quei lavoratori, che nessuna fiducia va riposta in chi dirige la Cgil. Sappiamo, per l'esperienza del passato, che le giuste aspirazioni di quelle centinaia di migliaia di lavoratori saranno tradite.
Paradossale che dal palco la Camusso parli di difesa dei diritti quando, contemporaneamente, ha siglato un accordo vergognoso - il famigerato "accordo sulla rappresentanza" - che ha esteso il modello Marchionne (già in vigore in Fiat) a tutto il mondo del lavoro e che ridimensiona fortemente il diritto di sciopero. Un accordo che estromette dalle rappresentanze sindacali tutti i sindacati conflittuali, che si rifiutano di accettare queste regole liberticide. E' un accordo di cui si parla troppo poco, ma che rischia di cancellare tutti i diritti sindacali acquisiti con le lotte degli anni Sessanta e Settanta. Lo stesso Landini, che a parole si dice contrario a questo accordo, di fatto dà indicazioni alle realtà Fiom di firmarlo in occasione dei rinnovi delle rsu.
Per dire no a questo accordo, che vuole ridisegnare completamente il ruolo e la funzione dei sindacati in Italia, cancellandone la componente conflittuale e relegandoli ad essere agenzie erogatrici di servizi, c'è un appuntamento nazionale importante a cui facciamo appello a partecipare: un'assemblea nazionale a Firenze l'8 novembre, promossa da decine di realtà sindacali e comitati di lotta, nell'ambito della campagna lanciata dal coordinamento No Austerity contro la firma dell'accordo (sul sito di No Austerity le informazioni: www.coordinamentonoausterity.org).
Quella di Firenze è anche una tappa importante nella costruzione di un vero grande sciopero generale, che respinga le misure del governo (Jobs Act, Legge di Stabilità, accordo della vergogna) e avvii un percorso di lotte ad oltranza fino a creare i rapporti di forza che servono per cacciare il governo Renzi. Una data in campo c'è già: è lo sciopero generale del 14 novembre, proclamato da numerose sigle del sindacalismo di base, sostenuto anche da comitati di lotta e collettivi studenteschi. Una giornata di lotta che facciamo appello a costruire e rafforzare, a partire dall'organizzazione di assemblee e iniziative in tutti i luoghi di lavoro.

(1) Qui i link dove è possibile leggere le dichiarazioni citate: http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/09/24/-camusso-pronti-discutere-numero-anni-senza-art.18-_8573bfa9-e97f-4b54-b185-9db849f4dffe.html
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/POLITICA/camusso_articolo_18_renzi_sindacati_confindustria/notizie/926968.shtml

Fabiana Stefanoni - Partito di Alternativa Comunista

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