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7 NOVEMBRE

(7 Novembre 2014)

7 Novembre 1917 (25 Ottobre secondo il calendario giuliano, al tempo ancora in uso nell’Impero zarista), novantasette anni fa, la presa del Palazzo d’Inverno, il momento culminante dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”: una pagina ingiallita di storia che nessuno, probabilmente, in questi giorni oserà ricordare se non per sottolineare, ancora una volta, il fallimento epocale del tentativo di “inveramento statuale di un fraintendimento del marxismo”.
Eppure ci pare il caso di ricordare ancora quel giorno, laddove non si realizzò semplicemente un “assalto al Cielo” effimero e utopistico, ma un tentativo di riscatto sociale in un grande paese, che assunse, tra contraddizioni enormi ed errori di formidabile portata, il ruolo di esempio per il proletariato mondiale.
Certo, la rivoluzione non era scoppiata nei Paesi a sviluppo industriale avanzato, come Marx aveva previsto, e il giovane Gramsci, venticinque anni all’epoca, intuì subito questo elemento scrivendo il famoso articolo “La Rivoluzione contro il Capitale” (proprio quello di Marx, beninteso).
La rivoluzione era insorta in un paese arretrato, di scarsa industrializzazione per lo più concentrata in poche zone del paese, retta da uno Stato autocratico in via di disgregazione, con la fame nelle città e milioni di contadini semianalfabeti strappati ai loro villaggi per combattere una guerra a loro ignota.
Sicuramente fu l’esito della guerra a consentire la ribellione di quei contadini che delegittimarono i vertici di un’armata ormai in disfatta.
Eppure la rivoluzione, preparata sul piano teorico e politico dal nucleo dirigente bolscevico, rispondeva ai temi concreti di quel momento storico.
La rivoluzione rispondeva all’imperialismo fase suprema del capitalismo con la guerra quale punto di saldatura delle diverse analisi sulla trasformazione del capitalismo intervenuta in quegli anni.
La rivoluzione rispondeva al salto tecnologico avvenuto allora e rappresentato dall’introduzione sistematica delle nuove scienze della produzione.
La rivoluzione rispondeva al processo di crescita del movimento operaio concentrato in grandi strutture industriali .
Movimento operaio che reclamava uno spazio maggiore per concessioni salariali; esigeva l’istruzione generale, che riduceva l’analfabetismo ancora dominante, ma creava barriere di classe non meno rigide.
La fase storica della prima guerra mondiale era quella della rapida accelerazione degli scambi commerciali mondiali; la spinta al riarmo accresceva il peso politico delle caste militari e, ancora, l’introduzione del suffragio, faticosamente in via di allargamento verso i ceti sociali più bassi, che imponeva e permetteva di cercare e spesso di ottenere, il consenso con nuovi strumenti ideologici come il nazionalismo e il razzismo.
Dalla rivoluzione russa nacquero grandi interrogativi che hanno attraversato per intero la storia del ‘900 e che, ancora adesso, possiamo formulare come tali: E’ stata una scelta sciagurata che portava già all’origine in sé i cromosomi delle peggiori degenerazioni, e, alla fine, si è autodissolta dopo aver fatto danni pesanti?
Se la risposta a questo quesito fosse irrimediabilmente positiva, come ormai nel corso di questi anni da più parti si è solennemente acclarato, allora non occorrerebbe più ricostruire un processo storico nel suo contesto: basterebbe individuare quei cromosomi, far parlare il fatto della sconfitta finale lasciandola al solo lavoro accademico archiviandola politicamente.
In questo caso la “spinta propulsiva” dell’Ottobre non si sarebbe esaurita ma semplicemente non ci sarebbe mai stata.
Oppure la Rivoluzione russa è stata un grande evento propulsivo per la democrazia e l’incivilimento, successivamente tradito dal potere personale e dalla burocratizzazione, senza un rapporto con il contesto storico dal quale era originato e in cui si collocava?
Allora sarebbe ancora sufficiente, adesso, una robusta denuncia dello stalinismo, una franca critica di chi non l’ha condannato in tempo, le fierezze dell’antifascismo, per sentirsi liberi di cominciare da capo, in un mondo nuovo: come del resto molti continuano a pensare puntando semplicisticamente ad un recupero della “purezza degli ideali”.
A indicarci che entrambe queste risposte, quella dell’archiviazione definitiva e della ricerca di una rinnovata idealità, sono insufficienti e che tutto non è così semplice sono proprio le contraddizioni dell’oggi, portate dalla fase della post- globalizzazione ,
L’analisi delle contraddizioni dell’oggi ci indica la necessità di individuare e riconoscere un vero e proprio processo di arretramento storico sul piano della relazioni politiche, sociali, culturali.
La capacità di approfondire cause e ragioni di questo arretramento posto proprio sul piano dello sviluppo e dell’apparente “modernità” ci fa apparire le domande appena poste legate davvero a uno schema antico e del tutto fuorvianti rispetto alla possibilità di comprendere l’attualità.
Nel momento in cui servirebbe davvero una grande spinta popolare, politica, organizzativa tendente a mutare radicalmente il tipo di società in cui viviamo e a ricostruirla “pietra su pietra” il 7 Novembre non può essere dimenticato come fatto storico ed evento politico, non solo per la necessità evidente di una valutazione più seria e circostanziata rispetto a quella contrassegnata dalla “furia iconoclasta” dell’ultimo decennio del ‘900, ma quale esempio della corresponsione, in quel contesto, a una necessità storica che non riguardava soltanto un solo, pur grande, Paese.
Il contesto storico: il frangente che stiamo vivendo, con la crescita enorme delle diseguaglianze e delle ingiustizie a livello planetario, dello smarrimento sul piano dei riferimenti ideali indica che quel fatto, quel 7 Novembre, quelle giornate di rovesciamento dello stato di cose “in allora” presenti non può essere indicato come un semplice “accidente” e definitivamente archiviato.
Ricordare il 7 Novembre è necessario per analizzare ancora una volta, sul piano storico, gli eventi risulta essere ancora fattore fondamentale per una ricerca d’identità delle forze del riscatto sociale.
Una ricerca e una conseguente pratica politica che dobbiamo riprendere dopo tante esitazioni, dimenticanze, colpevoli omissioni, strumentalismi propagandistici attuati da tutte le parti.
Le condizioni sociali dell’oggi ci indicano proprio che non possiamo, nonostante tutte le altalene della storia, che definirci comunisti ancora una volta nella scia della storia dell’eguaglianza, della lotta allo sfruttamento e della liberazione dei popoli.

Franco Astengo

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