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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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AUTOCONVOCAZIONE: METODO E MERITO DELL’INIZIATIVA POLITICA

(26 Novembre 2014)

I temi della personalizzazione della politica, della crisi della struttura dei partiti, la vocazione all’accomodamento negli anfratti del potere istituzionale, l’incapacità di elaborare politicamente i termini del moderno conflitto sociale, lo smarrimento delle coordinate di fondo della propria identità e della relativa autonomia costituiscono gli elementi teorici posti alla base della scomparsa, all’interno del sistema politico italiano, di una soggettività comunista in grado di porsi all’altezza delle contraddizioni dell’oggi, dello scontro sociale in atto, dell’attacco sferrato – insieme – alle condizioni materiali di vita di gran parte dei ceti sociali e alle stesse possibilità di agibilità democratica come previste dalla Costituzione Repubblicana.


La costruzione di una soggettività comunista, rappresentativa della sinistra anticapitalista e d’alternativa che riesca a svolgere fino in fondo quella funzione di opposizione politica che appare indispensabile, offrendo al conflitto sociale sintesi, proposte, aggregazione e organizzazione non può più avvenire per le vie “apparentemente” normali di un processo di riaggregazione dell’esistente.

Troppo importante è stata la “scissione silenziosa”, avvenuta nel corso di questi anni, da parte di migliaia e migliaia di militanti cacciati fuori dalla possibilità di esercitare il proprio impegno politico proprio per via dell’emergere di quei negativi meccanismi di cui si accennava all’inizio di questo intervento.

Nello stesso tempo l’espressione fortissima di marginalizzazione contenuta in estesi fenomeni di precarietà sociale, un colpevole smarrimento della memoria storica del movimento operaio, una subalternità generazionale fatta d’impossibilità d’accesso a mezzi e risorse anche culturali hanno rappresentato gli elementi sui quali è stata costruita una sorta di barriera per impedire l’accesso all’agire politico delle nuove generazioni.

I settori dominanti della società hanno applicato con scientifica determinazione, riscoprendo anche i termini classici della “repressione” anche di tipo poliziesco, la teoria della “riduzione del rapporto tra politica e società”, al fine di tagliare drasticamente il quadro della domanda sociale: in queste condizioni appare facile che le naturali conseguenze d’insorgenza siano ridotte a forme di tipo ribellistico, se non addirittura di stampo neo-corporativo o addirittura di classica “guerra tra poveri”.

Sono queste le ragioni per le quali serve subito una nuova soggettività politica organizzata dei comunisti, superando il possibile divario iniziale dei punti di partenza derivanti dall’appartenenza a diverse tendenze, non concedendo nulla a formule ormai obsolete del tipo “intergruppi” di antica memoria, aprendo le porte da subito ai soggetti esclusi e indicando, senza reticenze e/o mezzi termini, l’obiettivo di costruire una struttura compiutamente organizzata sul piano politico, un partito, nel quale far confluire il massimo possibile di quanto già organizzato, ma soprattutto di non organizzato ma presente nelle lotte e nella ricerca politica esistente in Italia.

Deve essere intesa, attraverso un preciso processo di aggregazione per fasi successive, la necessità di non adagiarsi su modelli pre-costituiti, di non limitarci ad assemblaggi non definiti di stampo populista, di non nasconderci dietro a idee perdenti riguardanti un’impossibilità dell’organizzazione derivante dall’introiezione insuperabile della sindrome derivante dalle sconfitte precedenti.

La qualità dello scontro in atto è tale per cui non è più possibile concederci di questi lussi.

Per ottenere un risultato sufficiente a far sì che si possa affermare, fin dal breve periodo, di poter disporre di una massa critica sufficiente a proseguire nell’impresa occorre battere vie inedite nella proposta di avvio del confronto e della relativa aggregazione.

Sotto quest’aspetto è necessario definire un percorso di tipo anti-leaderistico (il tema della ricostruzione di un gruppo dirigente inteso in senso lato è forse quello più urgente da affrontare) e quindi effettivamente democratico perché imperniato su proposte e comportamenti coerenti posti in grado di superare le barriere appena denunciate.

In questo senso si può pensare di applicare, nel metodo e nel merito dell’iniziativa politica, la pratica dell’autoconvocazione in una forma inedita rispetto alla storia di questo modello d’intervento politico: non più, cioè, come punto d’insorgenza all’interno di strutture già date (com’è avvenuto in passato in partiti e sindacati) ma come elemento di tipo più propriamente organizzativo nel processo di costruzione di un nuovo soggetto.

Quel nuovo soggetto che serve adesso come strumento indispensabile della lotta sociale e politica in corso.

L’autoconvocazione deve nascere come controtendenza rispetto a questa fase di omologazione nei comportamenti.

Attraverso questo metodo può essere possibile l’espressione di un’assunzione diretta di responsabilità, un primo livello di comunicazione orizzontale attuata in tempo reale (anche attraverso l’utilizzo della tecnologia), l’affermazione di una trasversalità non trasformistica per superare i confini delle residue appartenenze organizzative, l’intreccio tra teoria e prassi nell’adozione delle indispensabili misure di carattere organizzativo.

L’autoconvocazione deve essere rivolta, in conclusione, a produrre un’azione diretta di discussione politica attraverso la quale, dopo aver espresso con grande chiarezza l’obiettivo comune, possano assumersi le possibili forme di successivo sviluppo dell’iniziativa.

Franco Astengo

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