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(17 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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Italicum, riforma illogica che paralizza il Quirinale

(26 Novembre 2014)

Le incongruenze del «patto del Nazareno» sono tali e tante che Napolitano non dovrebbe promulgare la legge e rispedirla alle camere

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Fu in base a un accordo poli­tico tra le forze par­la­men­tari e in pre­vi­sione di una pos­si­bile modi­fica del nostro attuale sistema bica­me­rale che, nel corso della discus­sione alla camera per l’approvazione delle nuove norme elet­to­rali, si rinun­ciò ad appro­vare l’articolo 2 del testo base riguar­dante le moda­lità di ele­zione del Senato. Per­tanto, se dovesse con­clu­dersi l’iter di for­ma­zione della legge elet­to­rale senza un rav­ve­di­mento sul punto, a Costi­tu­zione vigente, avremmo una nor­ma­tiva elet­to­rale rela­tiva all’elezione della Camera molto diversa da quella del Senato.

A quest’ultimo organo si appli­che­rebbe ancora il sistema defi­nito con la legge n. 270 del 2005 così come risulta a seguito della sen­tenza n. 1 del 2014 della Corte costi­tu­zio­nale (il cosid­detto «con­sul­tel­lum»), men­tre solo l’altro ramo del Par­la­mento uti­liz­ze­rebbe le nuove dispo­si­zioni (il cosid­detto «ita­li­cum 2»). Si avreb­bero di con­se­guenza due com­plessi nor­ma­tivi per l’elezione delle camere tra loro total­mente incom­pa­ti­bili, fonte di gravi irra­zio­na­lità di sistema. In tal caso, le stesse fina­lità della riforma elet­to­rale – così inten­sa­mente per­se­guite – fini­reb­bero per venir meno.

Infatti, alla gover­na­bi­lità «asso­luta» e certa di un ramo del Par­la­mento, si andrebbe ad affian­care un Senato con le mede­sime fun­zioni (a Costi­tu­zione inva­riata rimane il bica­me­ra­li­smo per­fetto) ma for­mato in base a diversi cri­teri che «assi­cu­rano» un esito dif­forme. La neces­sa­ria con­se­guenza sarebbe, dun­que, quella di pro­vo­care una para­lisi non solo della gover­na­bi­lità, ma dell’intero sistema poli­tico e par­la­men­tare. In que­sta ipo­tesi si potrebbe ben far valere il mede­simo prin­ci­pio che ha già por­tato la Con­sulta a dichia­rare l’incostituzionalità della legge n. 270 (cosid­detto «por­cel­lum»), quando ha rile­vato l’inidoneità della nor­ma­tiva (del pre­mio di mag­gio­ranza asse­gnato su base regio­nale) al rag­giun­gi­mento dell’obiettivo per­se­guito della sta­bi­lità delle mag­gio­ranze par­la­men­tari. Il risul­tato casuale, deter­mi­nato dall’irrazionalità e con­trad­dit­to­rietà dei cri­teri di asse­gna­zione dei seggi, rischia di vani­fi­care l’esito ricer­cato, ovvero rende impos­si­bile una rap­pre­sen­tanza poli­tica nazionale.

L’incostituzionalità dichia­rata dalla Corte ha riguar­dato in fondo una situa­zione più cir­co­scritta, con­cer­nendo solo la com­po­si­zione dell’organo Senato, nel nostro caso la para­lisi coin­vol­ge­rebbe – si ripete — l’intero sistema parlamentare.

Quella che si pro­fila appare, dun­que, una legge elet­to­rale mani­fe­sta­mente incostituzionale.

Quest’esito stra­va­gante ver­rebbe rimesso in discus­sione se ci dovesse essere una modi­fica costi­tu­zio­nale che esclu­desse dal cir­cuito della rap­pre­sen­tanza poli­tica diretta uno dei due rami del Par­la­mento. Non tanto – si badi — una qua­lun­que modi­fica costi­tu­zio­nale del bica­me­ra­li­smo per­fetto quanto, spe­ci­fi­ca­mente, l’abrogazione del Senato (nell’ipotesi di intro­du­zione di un sistema mono­ca­me­rale) ovvero la con­ser­va­zione dell’organo sena­to­riale pri­vato però di una pur­ches­sia elet­ti­vità diretta.

È noto che è quest’ultima l’intenzione sin qui for­mu­lata nel dise­gno di legge costi­tu­zio­nale appro­vato in prima let­tura dal Senato e ora alla Camera.

Il che dà luogo ad alcune con­si­de­ra­zione. Primo, dovrebbe essere chia­rito che l’auspicio di una futura – e ine­vi­ta­bil­mente incerta – modi­fica costi­tu­zio­nale non può legit­ti­mare l’introduzione medio tem­pore di una nor­ma­tiva ordi­na­ria inco­sti­tu­zio­nale. In secondo luogo l’accordo poli­tico – peral­tro con­te­stato e comun­que rimesso alla libertà della dia­let­tica par­la­men­tare — che è alla base dell’affi­da­vit sulla riforma costi­tu­zio­nale ed elet­to­rale (il «patto del Naza­reno») può avere una fun­zione pro­pa­gan­di­stica o, al mas­simo, può con­fi­gu­rarsi come l’assunzione di un impe­gno (poli­tico, non giu­ri­dico) da parte dei sog­getti con­traenti ma non gode certo di alcun pre­gio costi­tu­zio­nale, né può essere fatto valere in sede di giu­di­zio di costituzionalità.

In terzo e deci­sivo luogo, una legge che pro­duce la para­lisi del sistema poli­tico e par­la­men­tare fini­rebbe per limi­tare, con­di­zio­nare o para­liz­zare molti dei poteri pre­si­den­ziali, tra cui in par­ti­co­lare quello di scio­gli­mento delle camere. Ed è per­ciò che – a mio parere – la legge elet­to­rale nella for­mu­la­zione attuale non solo sarebbe mani­fe­sta­mente inco­sti­tu­zio­nale ma sarebbe anche dif­fi­cil­mente pro­mul­ga­bile dal capo dello stato.

Posso solo aggiun­gere che – a tutto con­ce­dere – se anche si arri­vasse, com’è negli auspici dell’attuale mag­gio­ranza di governo e dei suoi alleati poli­tici, a una riforma della Costi­tu­zione che pre­ve­desse l’elezione diretta solo per la Camera, i tempi di appro­va­zione delle leggi costi­tu­zio­nali impe­di­reb­bero per un tempo inde­ter­mi­nato e non breve la pro­mul­ga­zione della legge elet­to­rale (secondo l’ipotesi ora for­mu­lata) ovvero lo scio­gli­mento di entrambe le Camere (sem­mai fosse pro­mul­gata la legge).

Per­ché mai – viene inge­nua­mente da chie­dersi – que­sta fretta sulla legge elet­to­rale se essa poi non potrà essere appli­cata se non dopo (sem­mai ci sarà) la riforma costituzionale?

Gaetano Azzariti - il manifesto

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