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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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IL SOGGETTO POLITICO E LE CHIAVI DEL CONFLITTO

(27 Novembre 2014)

“ A situazione eccezionale, risposta eccezionale”: questo banale sillogismo potrebbe essere applicato alla situazione politico-sociale dell’Italia in una fase nella quale la drammatica temperie della gestione capitalistica sta pigiando sull’acceleratore dell’aumento delle diseguaglianze, dell’impoverimento generale e della riduzione degli spazi di democrazia spinta fino alla costruzione (già in atto) di un regime autoritario.
Serve, da parte delle opposizioni di sinistra, una risposta fuori dai canoni classici del confronto interno al sistema, serve una spinta forte a far sì che i soggetti destinatari di questo furibondo attacco riprendano in mano il loro destino, non rifugiandosi nella neghittosità di una spaventosa “rivoluzione passiva” oppure nell’ignavia di un ex-ceto politico-intellettuale ormai tramontato e residuale.
In Europa abbiamo esempi diversi non applicabili alla situazione che stiamo vivendo: in Grecia il problema della rappresentatività politica è stato assunto da Syriza che si è formata attraverso una coalizione di diversi soggetti ponendosi al di fuori delle identità pregresse e assestandosi su di una posizione di “sinistra di governo” per la quale in Italia non ci sono le condizioni; in Spagna dai movimenti più o meno spontanei contro l’austerità è sorto Podemos, ormai trasformatosi in un partito che pare tenga assieme massima centralizzazione e massimo leaderismo.
In Italia questi schemi d’importazione non sono applicabili: ci troviamo di fronte, infatti, a una caduta molto forte di credibilità e di respiro culturale da parte dei soggetti politici rimasti in campo dopo il disastro della Sinistra Arcobaleno; a un sindacato confederale che tenta la via del recupero di massa ma che appare, dopo la stagione della concertazione, non in grado di costruire un vero e proprio soggetto di rappresentanza nell’insieme della complessità del mondo del lavoro; un sindacato di base, frazionato in varie sigle, sicuramente in crescita ma che stenta a ritrovare una compiuta capacità di proposta posta, come sarebbe necessario, sul terreno della confederalità di classe.
Intanto crescono, in varie forme e dimensioni, insorgenze sociali importanti che evidenziano l’acuirsi di diversi livelli di contraddizione: contraddizioni legate a quella definita “principale” del conflitto capitale/lavoro e alle cosiddette “fratture post-materialiste” in particolare rispetto al tema del rapporto tra ambiente e lavoro e alla conservazione e difesa dell’ambiente naturale e delle condizioni di vivibilità generale sia nelle città quanto nelle periferie.
Su queste dimostrazioni importanti d’insorgenza sociale incombono però due rischi molto significativi: quello della repressione da parte del potere costituito, repressione che sta esercitandosi già in maniera molto violenta; quello dell’introdursi nel tessuto sociale di veleni (peraltro già ben presenti da tempo) di tipo neo-corporativo e razzista attraverso i quali potrebbero scatenarsi elementi di vera e propria “guerra tra poveri” e di neo-corporativismo.
Nei mesi scorsi, all’interno di settori di quella che vorrebbe ancora autodefinirsi “sinistra antagonista”, si era molto discusso del rapporto da costruire tra soggettività politica, istanze di rivendicazione immediata dal punto di vista sociale, strutturazione alternativa di un sindacato di classe: tre elementi, si affermava, da tenere assieme nell’idea di elaborare un’inedita capacità di presenza della sinistra sul piano politico.
L’allontanamento della prospettiva concreta di costruzione di un’adeguata soggettività politica ha fatto tramontare anche le possibili implicazioni concrete di questo dibattito.
Eppure l’esigenza rimane ed è fortissima: anzi nel corso delle ultime settimane si è ulteriormente acuita.
Stanno assieme entrambe le cose:
1) La prima è di avviare, sul piano del conflitto sociale, una vera e propria fase di “opposizione permanente”, una mobilitazione dal basso attraverso la quale non proporre rivendicazioni settoriali pur importanti (e non soltanto nel campo di più stretta appartenenza sindacale, se pensiamo ai temi della casa, della sanità, dei servizi in generale, dell’assetto del territorio) ma un obiettivo complessivo di tipo politico, puntando a spostare l’asse di riferimento di larghe masse che paiono scivolare pericolosamente verso destra. Usando un termine sicuramente improprio e opinabile verrebbe da denominare questa stagione di conflitto come quella dello “sciopero politico”. Naturalmente non si dovrebbe trattare di scioperi veri e propri, anche se da parte dei sindacati di base l’idea di uno sciopero generale appunto di tipo precisamente “politico” dovrà comunque prima o poi essere presa in considerazione. Insomma: un’unitarietà della mobilitazione sociale dettata dalla presenza di un comune obiettivo;
2) La seconda è quella sulla quale s’insiste da tempo di una nuova soggettività della sinistra d’opposizione da costruire in forme coerenti con la situazione del nostro paese, progettando sia le forme di approccio e di conseguente edificazione, sia quelle della “forma politica” in maniera del tutto originale, sia dal punto di vista della garanzia del punto di partenza da slegare dai pericoli di “sindrome della sconfitta” e di “paura della politica” che hanno fin qui costituito gli elementi portanti del declino delle forze esistenti, sia dal punto di vista della strutturazione del nuovo soggetto. Sotto quest’aspetto si sono avanzate due proposte che in questa sede si riassumono soltanto attraverso il titolo: “Autoconvocazione” e “Via consiliare”.
Ma nessuna incertezza, la soggettività politica deve essere compiuta e il modello di riferimento non può non essere quello di un partito a direzione collettiva, radicato sul territorio e posto in stretta connessione con le insorgenze sociali presenti.

Franco Astengo

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