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(1 Ottobre 2010) Enzo Apicella

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Elezioni regionali: qualche motivo per non votare (e per continuare a lottare).

(31 Marzo 2005)

Non c’è dubbio: la campagna per le regionali del Lazio è la più oscena che si ricordi.
Partita con manifesti caratterizzati da slogan come “è meglio cambiare” oppure “è meglio Storace” (talvolta conditi da dati e controdati sul funzionamento della regione) si è poi infiammata attorno alla questione legata alle firme false raccolte da Alternativa Sociale per presentarsi.
Non è mancato, in questo contesto, un episodio di pirateria informatica, di cui s’è reso protagonista uno Storace preoccupato dalla concorrenza rappresentata dalla formazione d’orientamento neofascista appena citata, capace esprimere in modo netto opinioni che il governatore del Lazio può appena sussurrare.
Ma a questo quadro poco edificante hanno contribuito pure diversi esponenti della sinistra che, accantonando un antifascismo sempre più di facciata, hanno parlato di limitazione dell’espressione democratica quando sembrava che Alternativa Sociale dovesse essere esclusa dalla competizione.
Naturalmente la limitazione è rientrata, con il paradosso che proprio i neofascisti hanno portato un po’ di contenuti, certo assolutamente immondi, laddove di contenuti non c’era neanche l’ombra.
E’ evidente, infatti, che in questa campagna elettorale ha prevalso sin dall’inizio un personalismo estremo, che però non deve stupire.
Esso è strettamente connaturato all’odierno assetto istituzionale delle regioni, segnato dal netto predomino del Presidente e dallo svuotamento di luoghi della rappresentanza come il Consiglio.
Non a caso, proprio al ruolo del Presidente della regione si ispira l’attuale riforma costituzionale elaborata dal governo Berlusconi, che accentra vistosamente il potere nel premier, facendolo eleggere direttamente dal popolo e conferendogli la possibilità di sciogliere le camere a proprio piacimento.
Ora, tale riforma va anche considerata come un ulteriore tassello di quel processo di superamento della democrazia rappresentativa che ha avuto la sua prima tappa con la introduzione del maggioritario.
Non si dimentichi che l’adozione di quel sistema elettorale comportò la definitiva esclusione dalla rappresentanza dei settori sociali più colpiti dalla imperante precarietà, le cui domande non raggiungono più il Parlamento che in passato cercava di depotenziarle, di renderle compatibili col sistema.
Non è per caso, quindi, che si è giunti all’odierno progetto di revisione costituzionale, fortemente impregnato di verticalismo.
Certo, si dirà che molte voci si sono levate contro il disegno del centrodestra.
Tuttavia, c’è da notare che esse provengono da quei settori politici, legati a Romano Prodi, che in un recente passato sono stati protagonisti del dibattito sulla governabilità, sposando la causa della preminenza del governo sul parlamento e di un più radicale distacco di quest’ultimo dai bisogni sociali.
Non solo, attualmente il centrosinistra sostiene quella Costituzione europea che è nata senza popolo, essendo stata scritta da un’Assemblea costituente – detta Convenzione – non nominata dai cittadini europei.
Ciò, in conseguenza del fatto che la stessa necessità di vararla non rimanda ad una spinta “europeista” dal basso mai esistita, bensì all’obiettivo di definire una Europa potenza in grado di competere con gli Usa per l’egemonia sulle aree del pianeta più ricche di risorse energetiche e di materie prime.
Ora, l’adozione di tale prospettiva da parte del centrosinistra, dimostra in modo chiaro la mancanza di alternative all’interno del quadro parlamentare.
Ma se la situazione è questa, che si può fare?

Di certo si deve denunciare quanto le parti che si scontrano sul piano elettorale siano ormai indistinguibili anche sulle cose minime.
Di più, bisogna cogliere l’occasione fornita da queste elezioni, per tornare a rivendicare la scelta astensionista.
Una scelta che oggi può poggiare su concrete istanze di partecipazione e di trasformazione presenti nella società.
Si pensi alle lotte dei lavoratori dei trasporti, la cui spinta a scioperare, di recente, ha superato i freni delle burocrazie sindacali.
E si pensi al grande corteo del 19 marzo che ha confermato la capacità di mobilitazione, autonoma dai partiti della sinistra alternativa, del movimento contro la guerra.
Ora, a ben vedere, tali spinte non solo fondano una scelta astensionista, ma possono anche motivare una opposizione agli attuali processi di centralizzazione del comando, non basata sulla nostalgia del passato, ma proiettata verso il futuro.
Non si tratta di ridursi alla difesa di quella democrazia rappresentativa che, mediando le spinte provenienti dal sociale, rendendole compatibili col sistema, si risolveva, in ultima analisi, in una espropriazione della volontà dei rappresentati.
Si tratta invece di opporsi alla verticalizzazione dei processi decisionali in atto a partire da quelle istanze di partecipazione diretta che possono finalmente affermare la necessità di un ordine diverso, basato su quell’eguale libertà per cui la decisionalità collettiva e il superamento di ogni meccanismo di delega diano a tutti/e la possibilità di decidere del proprio destino.

Roma, 30 marzo 2005

Corrispondenze Metropolitane – collettivo di controinformazione e d’inchiesta

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