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EUROPA: PENSIERO UNICO, ECONOMIA E POLITICA

AUTOCONVOCATI PER L’OPPOSIZIONE: UN CONTRIBUTO AL DIBATTITO

(15 Dicembre 2014)

Il procedere della cosiddetta costruzione europea si colloca al centro di una gigantesca espressione di “pensiero unico” del capitalismo che ha afferrato tutto il periodo del primo decennio del XXI secolo causando effetti che risulteranno duraturi nel tempo e ponendo in atto quello che è stato giù definito un vero e proprio “arretramento storico” .
Un “arretramento storico “ posto sia sul piano della crescita delle diseguaglianze (e di conseguenza nel concreto della fortissima riacutizzazione della contraddizione di classe dopo la fase di allentamento verificatasi nei trent’anni seguiti alla seconda guerra mondiale) sia sul terreno dell’espressione dell’agibilità democratica.
Sotto quest’aspetto, però, tra gestione del ciclo economico e strutturazione dei sistemi politici proprio il procedere dell’Unione Europea nei suoi vari aspetti (formazione dei nuclei dirigenti a Bruxelles e Francoforte, ruolo del Parlamento, allargamento a 28, ecc) fa emergere un fenomeno del tutto inedito e originale nel rapporto tra politica ed economia.
In questo intervento si tenterà una prima traccia di riflessione al proposito.
Un livello di riflessione ancora molto approssimativo e tutta da approfondire destinato a un dibattito che però è necessario avviare per cercare di tenere il nostro livello di capacità di elaborazione politica al passo con le contraddizioni emergenti.
Si tratta, infatti, di elaborare, proporre, concretizzare le opzioni politiche più valide per il futuro nel senso, prima di tutto, di una coerente opposizione internazionalista e di classe allo stato delle cose presenti e, in secondo luogo, di progettazione del futuro nel senso dell’eguaglianza e dello sviluppo della democrazia.
Opporsi a quello che è stato definito “arretramento storico” rappresenta il primo compito di una sinistra coerente con i propri principi ispiratori di fondo e con le istanze, i bisogni, le necessità che salgano dai settori sociali più tartassati e umiliati da questa forma davvero feroce di gestione del ciclo capitalistico: quella, appunto, che ha imposto il già richiamato “pensiero unico”.
Andando, quindi, per ordine.
Scissione tra gestione economica e sistemi politici a livello dell’Unione Europea: questa è la sostanza che ci ritroviamo di fronte nell’immediata attualità.
Una situazione che può essere così esplicitata: l’economia, retta dall’austerità imposta dalla trojka ma soprattutto dalla potenza della Germania sta modellando diversi sistemi economici “regionali” all’interno dell’Unione stessa, imponendo le scelte anche sotto l’aspetto della produzione, della localizzazione delle imprese, dei modelli di sviluppo.
Il sistema economico dell’Unione, raccolto attorno al modello tedesco fondato sulle esportazioni, finirebbe così ad assomigliare a una sorta di Unione Sovietica di ritorno: centralizzazione nelle scelte improntate dalla Commissione (con il mantenimento di un ruolo del tutto secondario del Parlamento) e trasmissione di questo modello nelle diverse “periferie” dell’area Euro imponendo così, oggettivamente, istanze di “diversa velocità” puntando complessivamente all’abbassamento ulteriore del costo del lavoro e alla riduzione della capacità di rappresentanza delle classi lavoratrici.
Dal punto di vista politico il tipo di modello economico appena descritto, legato al livello di esportazioni della Germania e quindi alla sua supremazia imposta attraverso l’austerità in collaborazione stretta con la Commissione, comporterebbe una politica estera comune, in particolare nel quadro del rinnovato bipolarismo così come questo sta venendo avanti da qualche tempo in uno scenario mondiale caratterizzato dallo scontro diretto in Ucraina e dalla caduta di ruolo degli altri partner dei cosiddetti BRIC, e una ri-nazionalizzazione dei diversi sistemi politici interni.
Tutto questo per affermare che l’Unione Europea può tranquillamente sopportare il fascismo in Ungheria, favorire analoghe tensioni in Ucraina e in altri Paesi dell’Est e l’instaurazione di un regime autoritario in un grande Paese di tradizione democratica come l’Italia.
Anzi una possibile “questione italiana” di questo tipo potrebbe rappresentare un vero e proprio terreno di sperimentazione per questa Europa a più velocità e caratterizzata, al suo interno, da diversi sistemi ma unificata nell’obbedienza alla ferocia capitalistica del presente.
Rimane sullo sfondo l’incognita Grecia: ma, in queste condizioni, è bene sottolinearlo l’Unione potrebbe ben sopportare una sorta di soluzione in “salsa cilena” in casa propria.
In conclusione: emerge la necessità di un’opposizione sistemica che si sviluppi, con caratteri davvero internazionalisti, al livello dell’Unione sui grandi temi dell’economia e della condizione di classe che deve però essere strettamente intrecciata con l’opposizione da esercitare nei confronti della situazione politica dei diversi Paesi.
In Italia questo significa, necessariamente, la costruzione di un’opposizione politica al regime rappresentato dal Governo Renzi e da tutte le sue interessenze e connessioni ai diversi livelli: soltanto nell’espressione di un’estrema chiarezza di collocazione politica a questo livello potrà essere ricostruita quella presenza di sinistra alternativa a base di massa che, proprio in questo momento, manca nella nostra situazione nazionale e nel complesso del contesto europeo.

Franco Astengo

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