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APRIAMO UNA CAMPAGNA POLITICA PER UN PRESIDENTE CHE DICA “NO AL PRESIDENZIALISMO”

(3 Gennaio 2015)

quirinale

La proposta è quella di intervenire con decisione nella vicenda relativa all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica con un campagna politica sviluppata all’insegna del “No al Presidenzialismo”.

I nove anni al Quirinale di Giorgio Napolitano hanno aperto il varco a una soluzione dell’antica crisi istituzionale e morale dell’Italia in senso autoritario esaltando i meccanismi perversi della personalizzazione della politica e dell’emarginazione del Parlamento.

Non dimentichiamo che Napolitano ha firmato la legge elettorale n.270/2005 poi giudicata incostituzionale dalla Suprema Corte, compiendo quindi un atto molto evidente rivolto contro la Carta Costituzionale ancora in vigore e che adesso s’intende modificare appunto nel senso della limitazione complessiva del rapporto democratico.

La promozione del giudizio riguardante la legge elettorale alla Consulta è stato, anche questo deve essere ricordato con grande chiarezza, il momento più alto di espressione della democrazia e di difesa dell’impianto complessivo della Costituzione compiuto nel corso di questi anni: un atto che è necessario richiamare quando si pensa a un possibile profilo politico-istituzionale per un nuovo Presidente che inverta la tendenza negativa fin qui descritta.

E’ necessario un Presidente che dica ”No al presidenzialismo”.

Il presidenzialismo, che in questo quadro non significa necessariamente l’elezione diretta del Capo (dello Stato o del Governo: in questo no includiamo anche il cosiddetto “premierato forte”), rappresenterebbe la svolta definitiva per il nostro assetto democratico, già posto in crisi ormai da molti anni: da quando, cioè, l'incauto passaggio al sistema elettorale maggioritario, nel 1993, aprì la strada ai fenomeni di personalizzazione, leaderismo, populismo che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi.

Fenomeni che hanno causato guasti enormi coinvolgendo anche la sinistra in una dimensione del tutto estranea alla sua storia, trasformandone in negativo il rapporto tra ceti sociali e soggetti politici, riducendo molti nell'attesa e nella ricerca, addirittura, di un salvifico “capo”.

Sicuramente i partiti, dopo le scosse dei primi anni'90 derivanti dalla caduta del muro di Berlino, del trattato di Maastricht, di Tangentopoli, avrebbero dovuto essere sottoposti a una revisione radicale del loro modo d'essere: ma incamminarci sulla strada della loro devastazione totale, del proclamare il “liberi tutti” mascherandolo da “sblocco del sistema politico”(un'idea di governabilità di bassissimo profilo come, poi, hanno ben dimostrato i fatti) o peggio da “vocazione maggioritaria” esercitata da soggetti davvero minoritari sul piano della capacità di rappresentanza politica (abbiamo assistito a una vera e propria crescita esponenziale delle astensioni dal voto) e -soprattutto – culturale, è stato del tutto esiziale: e non saranno le eventuali vittorie elettorali di questo o quello a risollevarci da una situazione di grave difficoltà, perché è la qualità del sistema politico che fa la capacità di affrontare i temi concreti.

Crisi economica, lavoro, privatizzazioni dei beni essenziali, scuola, sanità: tutte questioni che si possono affrontare soltanto attraverso la politica, l'esercizio dell'azione di massa, la capacità di un governo alternativo.

Torniamo però al discorso del presidenzialismo: è evidente come, nel corso degli anni, il ruolo del Presidente della Repubblica sia mutato “de facto” (anche per via della possibilità e/o necessità di utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione di massa).

E' necessario, però, andare al fondo delle prerogative costituzionali del Capo dello Stato per comprendere come, sotto quest’aspetto, l'assetto parlamentare dello Stato debba essere mantenuto e rafforzato, anche rispetto al quadro europeo.

Il punto che maggiormente ci interessa, in quest’occasione, è quello della determinazione del ruolo reciprocamente esercitato dal capo dello Stato e dal Parlamento nei confronti del Governo.

In questo senso la Costituente, mettendo l'elezione del Presidente della Repubblica nelle mani dei parlamentari riuniti in un unico collegio elettorale (poi si sarebbero aggiunti anche i delegati regionali) e obbligando il Governo alla disponibilità della fiducia da parte di entrambi i rami del Parlamento, accettò l'individuazione antifascista della responsabilità per le origini della dittatura nell'atteggiamento antiparlamentare della monarchia: si sancì in questo modo il definitivo primato delle Camere nel sistema, dando così vita a una repubblica parlamentare.

Concentrando, infatti, nelle due Camere, rese entrambe elettive e pari nelle attribuzioni, i maggiori poteri, la Costituzione Repubblicana pose il Parlamento in una posizione di evidente supremazia rispetto agli altri organi dello Stato.

Sta in questo anche la ragione di fondo dell’opposizione che è necessario esercitare nei confronti del ritorno “monarchico” al Senato come Ente di Secondo Grado: il tema è quello, eventuale, della differenziazione di funzioni tra i due rami del Parlamento non certo quello dell’eleggibilità diretta dei suoi membri e del ruolo della Seconda Camera rispetto al Governo e al complesso dell’impianto costituzionale dello Stato.

La tendenza in atto, sul piano delle riforme previste, sarebbe quella di affidare, infine, l’elezione del Presidente a una Camera eletta con un abnorme premio di maggioranza, un Senato eletto in secondo grado e delegati regionali provenienti direttamente dai “listini” dei Candidati Presidenti: in un quadro complessivo, lo ricordiamo ancora, di partecipazione al voto da parte delle elettrici e degli elettorali ormai attestata, più o meno, sul 50%.

Ovviamente la supremazia del Parlamento era stata bilanciata da limiti, come quello derivante dall'art.138 in materia di riforme costituzionali, dal ruolo della Corte Costituzionale, dal sistema degli Enti Locali e delle Regioni (modificato, tra l'altro, nel 2001 con la revisione del titolo V, giudicabile alla prova dei fatti come sostanzialmente negativa), dall'istituto del referendum (svuotato da tempo da un uso del tutto insensato).

Resta però, da difendere, la centralità del Parlamento: una centralità che s’intende definitivamente assaltare proponendo nuovamente una legge elettorale che presente tutti i profili di incostituzionalità della precedente. Un’incostituzionalità voluta e cercata al semplice scopo di determinare la continuità del potere di Governo (inteso ormai quale fine esaustivo dell’agire politico) posto al di fuori dai meccanismi possibili di intervento e controllo da parte degli eletti.

Un Parlamento dominato dal Governo in una forma molto simile a quella attuata dal fascismo con la Camera eletta nel 1924: quella dell’assassinio Matteotti e dell’arresto di Gramsci.

La difesa della centralità del Parlamento così come questa fu delineata dalla Costituzione Repubblicana è da accompagnare con la richiesta di una modifica del sistema elettorale che elimini, a tutti i livelli, la personalizzazione(esaltata, sia chiaro dal sistema di “nomina” in atto), e attraverso un metodo adeguato di calcolo dei seggi, a tutti i livelli, restituisca al Parlamento stesso(e agli altri consessi elettivi) il ruolo di “specchio del Paese”, specchio delle sensibilità politiche, sociali, culturali presenti nel dibattito che può svilupparsi in tutte le sedi di aggregazione e di impegno collettivo.

Attorno al rinnovato impegno di lottare per la centralità del Parlamento e del massimo di rappresentatività politica la sinistra potrebbe recuperare le ragioni di un’unità e di una riflessione tutta da fare sulle forme della politica, ritrovando la propria capacità di integrazione di massa, di diffusione di cultura politica, di interscambio propositivo con le battaglie sociali.

Il garantismo della Costituzione Repubblicana apparve evidente, quale motivo determinante per l'intera attività dell'Assemblea Costituente.

Più che preoccuparsi, infatti, del funzionamento dei pubblici poteri per tutelare, con un’idea errata di stabilità, l'efficienza costante della macchina statale, la Costituente era giustamente dominata dalla necessità di impedire non soltanto il ripetersi di esperienze autoritarie o totalitarie del tipo di quella realizzata dal fascismo in Italia, ma anche dalla volontà di prevenire ogni ingerenza e ogni sopraffazione di un potere sull'altro, ritenendo ciò pericoloso per l'essenza stessa delle democrazie: non commettiamo oggi il grave errore di considerare quella preoccupazione esagerata e obsoleta.

Come dimostrano i fatti dell'attualità quella preoccupazione, di garantire l'equilibrio dei poteri affidandone la centralità agli eletti dal popolo, era giusta e sacrosanta.

Il nostro compito è ritornare, davvero, a fare in modo che il popolo, tornando a un meccanismo della formazione della volontà politica che passi attraverso soggetti coerentemente organizzati, torni a eleggere sul serio i propri rappresentanti, facendone i custodi della legalità repubblicana.

Una campagna politica per un Presidente che dica un NO secco al presidenzialismo, anche nelle forme surrettizie esercitate da Napolitano o in quelle dello sgangherato “cancellierato” di Renzi appare essere, in questo momento, il punto più alto di una capacità politica di opposizione che è necessario portare avanti con il massimo della determinazione e dell’impegno possibili.

Franco Astengo

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