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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
Obama ha deciso di attaccare la Siria, in ogni caso.

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(11 Febbraio 2015)

Il generale Hans-Lothar Domröse, capo supremo del Comando delle forze alleate interarmi della Nato a Brunssum (Olanda), intervistato, il 7 novembre 2014, dal quotidiano tedesco Die Welt, annunciava la costituzione di una forza di reazione rapida tra i 4000 e i 7000 soldati mobilitabili tra i tre e i quattro giorni nel teatro di guerra con una flotta aerea di grandi proporzioni e esercitazioni militari di 40 mila unità da condurre ai confini della Federazione russa: “finora abbiamo eseguito manovre su larga scala con 25.000-40.000 soldati solo uomo nei paesi occidentali della NATO” ora “anche in Europa orientale e nei paesi baltici”. Per il generale tedesco la NATO deve ristrutturarsi “per una possibile guerra nel 21° secolo. Ciò include la difesa da attacchi convenzionali e controllare i tentativi di forze sovversive nemiche difficili da afferrare”. Il comandante Nato non esprimeva una sua opinione ma ciò che è stato deciso nel vertice NATO del settembre 2014 in Galles( il “Piano di risposta operativa”). Nel corso dell’intervista ha precisato l’obiettivo dello strumento militare delle potenze imperialiste: “ l’annessione della Crimea e la rottura con tutte con tutte le norme internazionali ci ha sorpreso. Noi abbiamo visto come il presidente Putin ha reso l’esercito russo ancora più combattivo e le truppe russe sono incredibilmente rapide”. In quel momento Domrose non era preoccupato per l’“annessione della Crimea” e per “la rottura delle norme internazionali”, ma perché alla fine di agosto le milizie popolari che del Donbass avevano spezzato l’accerchiamento, dopo il ritiro da Slaviansk, e che, nonostante gli accordi truffa di Minsk, invisi ai combattenti, erano in buona salute cioè all’attacco. Nonostante gli sforzi per rappresentare il movimento Maidan e le “Operazioni Antiterrorismo” come reazioni all’imperialismo russo, nell’Europa occidentale la resistenza del Donbass all’avanzata imperialista per la colonizzazione dell’Ucraina e della Russia ha trovato la solidarietà, ancora limitata, del proletariato rivoluzionario. La tradizione familiare del generale Hans-Lothar Domröse contribuisce ad avere consapevolezza della sua pericolosità. Suo padre, Lothar, era comandante di una divisione della Wehrmacht nell’ “Operazione Barbarossa”, la criminale aggressione imperialista che costò all’URSS venti milioni di morti. Domröse padre nel 1973 fu promosso maggiore generale del Gruppo dell’Armata del Nord della RFT e nel 1975 fu promosso capo dei comandanti di divisione delle forze armate. Domröse figlio dovrebbe portare a termine ciò che non è riuscito a fare l’imperialismo tedesco nella seconda guerra mondiale, la sottomissione della Russia. Anche l’imperialismo tedesco dopo due sconfitte ha compreso che non può riuscire da solo in quell’obiettivo.
In questo gennaio la milizia popolare è avanzata ulteriormente infliggendo sconfitte alle truppe di Kiev. Putin intrappolato dagli accordi di Ginevra del 17 aprile 2014 non è passato alla repressione diretta come richiedevano gli accordi ma ha congiurato e manovrato per far capitolare la resistenza e arrivare ad un accordo con l’imperialismo. Ma questo non è né il destino di Putin, né del Donbass e né del governo fantoccio di Kiev. Far precipitare la crisi del regime di Putin, determinato dalla natura del capitalismo restaurato in Russia, aggravata dal calo del prezzo del petrolio e dalla crisi più generale dei Brics e, in ultimo dalle sanzioni, è l’obiettivo della pressione militare per evitare che in quella crisi emerga, dirompente, la mobilitazione delle masse russe contro tutta la borghesia restaurazionista. La resistenza del Donbass ha aperto gli occhi alle masse della Russia. La restaurazione capitalista voluta dalla burocrazia ha spianato la strada alla colonizzazione e l’Ucraina è stato il primo passo. Il destino della Russia, nel contesto del capitalismo, è quello di essere una semicolonia dell’imperialismo così come lo era prima della rivoluzione d’Ottobre. La politica espansionista dello zarismo prima della rivoluzione d’Ottobre e le utopie di Putin non contraddicono con il suo carattere di semicolonia. Le aspirazioni dello Zar a espandersi a spese dell’impero turco da solo finirono con la guerra di Crimea (1853-1856); i tentativi di espansione in Asia furono bloccati dall’imperialismo giapponese(1904-1905) e questa sconfitta contribuì a far esplodere la prima rivoluzione russa (1905). I vertici dello zarismo e del capitalismo russo compresero che tutti i loro passi doveva vano essere concordati con l’imperialismo inglese e francese. Solo la rivoluzione d’ottobre ha reso quel paese realmente sovrano e ciò è stato, nonostante la controrivoluzione stalinista.
La borghesia restaurazionista russa sotto il regime di Putin ha trovato il suo collante sino a quando il prezzo del petrolio è stato conveniente. Ora quell’unità non esiste più. Da una parte c’è la borghesia “strettamente legata agli oligarchi, alle banche ed alle imprese pronti a prostrarsi a di fronte a Washington, riconoscendone l’egemonia politica ed economia” e per questa ragione pronta a fare piazza pulita della resistenza antioligarchica e antimperialista del Donbass; dall’altra parte c’è la parte che coincide “con la burocrazia dell’apparato statale che ha ben chiaro che la sottomissione a Washington significherebbe la sua eliminazione”( La crisi in Russia e in Ucraina- A View from France 2 febbraio 2014, rabkor ru). L’aggravarsi della crisi del regime di Putin, i successi militari delle milizie popolari e il movimento popolare contro la leva obbligatoria imprimono un’accelerazione dell’offensiva militare imperialista. Ormai nessuno può rappresentare la popolazione dell’Ucraina schierata compatta contro “l’aggressore russo” come continua a fare il Segretariato Unificato (Inprecor n° 611 - Dossier Ukraine). Lo slogan che gridano le mogli, le madri e le figlie dei disertori è “non vogliamo morire per Poroshenko e Kolomoisky”. Gli uomini chiamati alla leva si nascondono, altri scappano a occidente altri scappano in Russia. Ultimamente ci sono stati scioperi dei minatori e dei lavoratori delle imprese delle bevande alcoliche contro la privatizzazione e a questi si sono uniti gli agricoltori con manifestazioni a Kiev. Nell’ultima riunione dei 28 ministri della difesa Nato riuniti a Bruxelles il 5 di Febbraio è stato approvato, quanto annunciato a novembre dal generale Hans-Lothar Domröse, anzi con un aumento delle unità e con l’installazione di comandi operativi. La forza di reazione rapida sarà di 30 mila soldati e l’installazione di 6 nuovi centri di comando in Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, Bulgaria e Romania. Verrà costituita un’altra unità speciale (spearhead force) di 5mila unità in grado di essere dispiegata ovunque con il supporto di aviazione, marina, e forze speciali e, come ha precisato il segretario Nato Stoltenberg, in caso di necessità con l’appoggio di altre due brigate. Il ministro della difesa Pinotti ha partecipato, anche, alla riunione del Gruppo di pianificazione nucleare. Questo per quanto riguarda la Nato. Per quanto riguarda il governo Obama quanto annunciato dal New York Times del 1 febbraio(U.S. Considers Supplying Arms to Ukraine Forces, Officials Say) la fornitura di armi a Kiev diventa operativa. La propaganda bellicista si accompagna alle misure militari. L’ex primo ministro svedese Carl Bildt, intervistato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung ( Krieg zwischen Russland und dem Westen ist denkbar - La guerra tra la Russia e l’Occidente è concepibile, 6 febbraio), alla domanda se la guerra con la Russia fosse impensabile ha risposto “Purtroppo no. Dovremmo evitarla a tutti i costi. Ma la situazione è pericolosa. Si tratta non solo del futuro dell’Ucraina, ma anche del futuro della Russia e dell’Europa”. Ma Bildt, sempre nella stessa intervista, alla domanda se Putin fosse intimidito dall’invio delle armi americane a Kiev ha risposto “Non lo sappiamo. Ma quello che sappiamo è che le prospettive per la Russia sono sempre più complicate. Ogni volta che incontro uomini d’affari russi, e sono appena tornato da una incontro con questi, mostrano la loro crescente preoccupazione”. Il bonapartismo di Putin non è più sostenuto dagli uomini del capitalismo russo. Il grande rivoluzionario francese Blanqui, in un discorso alla Société des Amis du Peuple, del 2 febbraio 1832, così spiegò le ragioni del crollo di Napoleone: “nel 1814 e 1815, la classe borghese stanca di napoleone, non a causa del suo despotismo(essa si preoccupa poco della libertà che ai suoi occhi non vale una libbra di buona cannella o un effetto bancario ben girato) ma perché, esaurito il sangue del popolo, la guerra cominciava a prendere i figli e soprattutto perché essa nuoceva alla sua tranquillità ed impediva al commercio di prosperare, la classe borghese, dunque ricevette i soldati stranieri come liberatori e i borboni come gli inviati di Dio”(Antologia del pensiero socialista vol. I, pg. 331).
Questa è la direzione di marcia dell’imperialismo che il Segretariato unificato vuole nascondere diventando così l’ala sinistra del fronte imperialista. Nel numero 611 di Inprecor viene riportata l’intervista di un soldato dell’esercito di Kiev, apparsa sul sito anarchico Nihilist. L’intervistato il cui pseudonimo è Andrij M. alla domanda se attualmente si definisce marxista risponde: “Per quanto riguarda le mie convinzioni, la mia visione del mondo - sì, certo. E 'vero che, se si considera che il marxismo è soprattutto pratica politica, si può ribattere che, secondo questo criterio, io non sono un marxista. Non voglio discutere questo, mi limiterò a porre la domanda: forse che i bolscevichi erano marxisti, quando difendevano il governo Kerensky contro la rivolta di Kornilov (1)?”. Sulla rivista non appare nessun commento a questa grossolana menzogna. La ragione sta nel fatto che la rivista sostiene la tesi della Rivoluzione nazionale ucraina, come asse della rivoluzione socialista mondiale e il ragionamento successivo di Andreij M. s’inquadra in questa tesi: “ritornando all’analogia con il kornilovismo io voglio ricordare che un mio buon amico, socialista, dice che oggi noi vediamo una guerra tra i petliuristi e le guardie-bianche. L'analogia è probabilmente un pò traballante, ma nella situazione dove in questa guerra noi non abbiamo il nostro proprio campo, comunista, per me in quanto marxista la scelta tra le guardie bianche e pétliuristi è evidente – in favore di questi ultimi. Allo stesso tempo, deve essere chiaro che non siamo nemmeno alleati, ma compagni di viaggio, fino al primo incrocio”. Andreij M., e gli altri autori del Dossier Kowalewski, Présumey hanno un solo interesse non fare la lotta al governo fantoccio di Kiev. Kowalewski è autore di due articoli , uno di questi ha per titolo “La ribellione oligarchica del Donbass”. Il pensiero di costoro, ma anche il linguaggio, ripete le formule della cosiddetta sovietologia. Questi autori commettono gli stessi errori di quelli che interpretavano la politica estera dell’Urss alla luce della categoria dell’imperialismo “una mistificazione grossolana e foriera di pericolosi abbagli”, come scriveva 35 fa anni fa Antonio Moscato (dal quale chi scrive ha imparato molte cose) su Critica comunista (aprile-maggio 1980).

Sosteniamo il proletariato in armi del Donbass, costruiamo legami fraterni con le forze marxiste russe, andiamo avanti nella via tracciata dalla Seconda Conferenza Operaia di Atene

10 Febbraio 2015

Franco Camboni sezione di Sassari PCL

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