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Ucraina: giocando alla roulette russa

(13 Febbraio 2015)

ucrainaroulette

di Augusto Zamora R. (*)

Dalla sua fondazione nel 1949 e fino al 1999, la NATO non ha mai fatto alcun tipo di operazione militare contro alcun paese. Creata, tecnicamente, come alleanza difensiva, il suo proposito era “contenere la minaccia comunista” e preservare l’Europa occidentale dalla presunta “minaccia sovietica”. Nel 1992 l’URSS si auto-distrusse e, con la sua sparizione, si dissolse il Patto di Varsavia.
Sembrava che, alla fine, dopo tremila anni passati ad ammazzarsi tra loro, l’Europa sarebbe entrata in un’era di pace, smilitarizzazione e unione. Non è successo così.
All’improvviso, come un cavallo che, trattenuto dal freno (sovietico) si trova libero dalle pastoie, la NATO si scatenò ed entrò in una spirale militar-imperialista che la portò ad aggredire la ridotta Yugoslavia di Serbia e Montenegro nel 1999; ad invadere l’Afganistan nel 2001, l’Iraq nel 2003 e a distruggere la Libia nel 2011.
Ogni nuova guerra di aggressione serviva da scenario all’ampliamento della NATO.
Nel 1999 entrarono Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia. Nel 2004 Bulgaria, Romania, Slovenia, Slovacchia e i paesi baltici. Nel 2009 Croazia e Albania. La NATO approfittava del collasso della Russia, sotto la presidenza dell’ubriacone Boris Yeltsin, per estendere le sue posizioni fino alle frontiere russe, nonostante la promessa degli USA a Michail Gorbaciov, ultimo presidente dell’URSS, che la NATO non si sarebbe ampliata verso i territori dell’ex Patto di Varsavia. Sprofondata la Russia, cominciava la festa e i membri della NATO, con gli USA alla testa, si nominarono poliziotti del mondo.

La continua espansione della NATO provocò estremo allarme in Russia anche se la sua prostrazione economica, politica e militare rendeva inutili le proteste. Nel 1993 il nazionalista estremista Vladimir Zhirinovsky dichiarò che l’ampliamento della NATO fino alle frontiere della Russia avrebbe portato alla terza guerra mondiale. In Europa risero.

L’arrivo al potere di Vladimir Putin avrebbe cambiato le cose. Con Putin la Russia sperimenta uno spettacolare rinascimento, che la riporta ad essere una grande potenza mondiale. Con Putin Mosca sotterra la grottesca e atroce era Yeltsin e inizia a riposizionare il paese più grande del mondo. Il primo scenario fu la Cecenia, dove l’esercito russo schiaccia, con una guerra sanguinosa e brutale, il movimento separatista.

La guerra con la Georgia, nell’agosto 2008, non si può spiegare senza il referendum del gennaio dello stesso anno, con il quale la Georgia decideva di unirsi alla NATO. L’attacco georgiano contro Abkazia e Ossezia del Sud era legato all’avvicinamento agli USA del governo di Michail Saakashvili, eletto nel gennaio 2004. Saakashvili emerse da una rivolta chiamata “rivoluzione delle rose” che depose l’ex ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevarnadze. Quanto prima è evidentemente in relazione all’arrivo in Georgia, a partire dal 2002, di centinaia di consiglieri militari USA, con il compito di preparare, organizzare e armare il nuovo esercito georgiano. E’ impossibile credere che gli USA di George Bush II non sapessero dei preparativi della Georgia per invadere l’Ossezia del Sud e l’Abkazia, vista la quantità di militari USA nel paese. Di più, sarebbe ingenuo credere che Washington non avesse dato il via libera a quella guerra.

Anche in Ucraina c’è stata una “rivoluzione arancione” – di poca gloria e molta corruzione – e quindi un’altra rivolta (l’ “Euromaidan”), dopo la firma del presidente Yanukovich di un accordo commerciale con la Russia e dopo il suo rifiuto di entrare nella UE. Con il nuovo governo l’Ucraina girò la frittata e, consigliata dagli USA, passò, da amica, a nemica della Russia.
Il cittadino comune ha tutto il diritto di chiedersi da dove escono alcuni politici perché la peggiore e più disastrosa politica che un paese come l’Ucraina poteva scegliere era allinearsi con i nemici della Russia. Per fare un esempio, se il Messico, casualmente, avesse chiesto di entrare nel Patto di Varsavia, gli Usa se ne sarebbero stati con le mani in mano?
Nel 1983, in un discorso davanti al Congresso, il presidente Ronald Reagan giustificò la guerra contro il Nicaragua e l’intervento in Salvador con queste parole: “L’America Centrale, molto semplicemente, è molto vicina e gli interessi strategici sono troppo importanti per ignorare il pericolo che governi con legami ideologici con l’Unione Sovietica occupino il potere”. E il Congresso concesse i fondi, molti fondi, perché gli USA distruggessero il Centroamerica.

Certo, ora non c’è la guerra fredda né i blocchi militari.
Nel giugno 2014 Obama proclamò, a Varsavia, che “i giorni degli imperi e le zone di influenza sono arrivate alla fine, i paesi più grandi ora non possono più intimidire i più piccoli e imporre la loro volontà con le armi”. Bel discorso, senza dubbio, stemperato nel settembre di quell’anno dall’annuncio dei milioni di dollari per rafforzare la NATO nell’est e “costruire la capacità militare” in Georgia, Moldavia e Ucraina. Senza dimenticare, a proposito di zone di influenza, che gli USA mantengono decine di migliaia di soldati in Afganistan e Iraq, oltre a 598 basi militari in tutti i continenti del mondo, secondo le cifre del Pentagono stesso (di cui non ci sarà da fidarsi, quindi il numero delle basi sarà senz’altro più alto).
Né Obama né il Pentagono spiegano perché, se non ci sono zone di influenza né imperi, gli USA hanno bisogno di riempire il mondo di basi militari e di invadere e occupare altri paesi. Quanto all’altra frase di Obama, che non si possono cambiare le frontiere con le pistole, che domandi alla Serbia cosa ne pensa di questa affermazione, con il Kossovo sul fondo.

Quando la Russia ha reintegrato la Crimea nel suo territorio, ha voluto mandare un messaggio alla NATO: non c’è più Yeltsin al Cremlino. La Russia non permetterà che l’Ucraina entri nella NATO. Non lo farà, senza prima prendere in considerazione una guerra, che la Russia è sicura di vincere. Questa posizione è stata chiaramente spiegata dal ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, nella recente Conferenza sulla Sicurezza di Monaco: la Russia non ha intenzione di cambiare la sua posizione rispetto all’Ucraina, e l’Occidente deve “accettare la realtà”.

L’Ucraina è uno dei tanti paesi fittizi, creati dall’Unione Sovietica su buona parte del territorio russo. La metà della popolazione parla russo e si sente legata ai russi. Solo nella mente delirante del primo ministro ucraino possono germinare idee come costruire un muro che separi l’Ucraina dalla Russia o promuovere leggi che proibiscono film russi; solo in base alla follia un governo bombarda un popolo che dice essere il suo.
La dittatura somozista bombardava le città ribelli del Nicaragua perché odiava il popolo, che era suo nemico. Poroshenko, come il suo alter ego Saakashvili, agisce sperando che la NATO entri in guerra con la Russia. Nel labirinto della sua cecità, il governo ucraino dimentica che nessuno andrà in guerra per l’Ucraina. Nessuno va in guerra contro un paese di 17 milioni di km. quadrati e padrone di 15.000 testate nucleari.

Della fragilità dell’Ucraina come Stato parla il suo problema nel reclutamento di truppe. Come fosse una grande notizia, Poroshenko ha annunciato la mobilitazione di 50.000 uomini. Una cifra ridicola per un paese di 42 milioni di abitanti. In Salvador la guerriglia arrivò a disporre di 35.000 guerriglieri e il Nicaragua sandinista, con 4 milioni di abitanti, mobilitò quasi 280.000 uomini e donne nell’attesa di un’invasione degli USA.

Tra le innumerevoli insensatezze che si ascoltano sul tema, la cancelliera Angela Merkel sembra l’unica – per ora – sensata. Davanti alle pressioni per inviare armi al governo di Kiev, ha risposto: “Non vedo Putin lasciarsi impressionare dall’armamento dell’Ucraina”. Al contrario, l’invio di armi potrebbe essere la decisione che determina una guerra su grande scala nel Donbas e in altre regioni russofone dell’Ucraina.

Gli USA, che sono dietro all’incidente ucraino, sembrano i più interessati nel fornire armi a Kiev. Se ci fosse la guerra, sarebbero gli unici vincitori immediati. Dall’inizio si danneggerebbe l’economia europea, il che favorirebbe grandemente (come già è successo nelle due guerre mondiali) l’economia statunitense. Politicamente e militarmente gli USA porterebbero al limite il loro controllo sulla UE, che diventerebbe, ancor più, una neo-colonia del decadente impero, che sta perdendo la “battaglia del Pacifico” con la Cina.
Il petrolio salirebbe di prezzo, il che salverebbe le compagnie statunitensi del fracking, severamente castigate dalla caduta dei prezzi del petrolio (e favorirebbe anche l’economia russa). Gli USA farebbero, infine, pingui affari vendendo armi a tutti gli europei, che castigherebbero ancor più i loro cittadini per poter pagarle. Nel frattempo un’ondata di nazional-fascismo spazzerebbe i movimenti e le organizzazioni di sinistra, che verrebbero accusate di lavorare per la Russia.

Dell’irrilevanza del popolo ucraino fa fede il risultato dell’inchiesta elaborata pochi giorni fa dal centro Razumkov, di filiazione antirussa. Secondo gli intervistati, la priorità massima degli ucraini è la pace nel Donbas (79,4%9), il miglioramento delle loro condizioni di vita (47,9%) e la lotta alla corruzione (33,8%). Normalizzare le relazioni con la Russia è più importante (21,8%) delle relazioni con la UE (20,5%). Un’altra inchiesta, realizzata dal Research & Branding Group un anno fa, dava altri dati: un 49% degli ucraini stava con l’Euromaidan e un 45% contro.
L’Ucraina è un paese diviso in due regioni, culture e tendenze. Il conflitto renderà ancor più profonda la divisione e, se ci sarà guerra, può essere che dell’Ucraina attuale rimanga poco.

Quando alle ‘bellezze’ della UE , bisognerebbe invitare gli ucraini a guardare alla Grecia, o a questa Spagna smantellata, impoverita e indebitata.

(*) Professore di Diritto e Relazioni Internazionali dell’Università Autonoma di Madrid. Rappresentò il Nicaragua sandinista nella causa contro gli USA davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.
da: rebelion.org; 11.2.2015

Traduzione di Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”

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