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Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza

(19 Febbraio 2015)

Massimo Recchioni, Giovanni Parrella, "Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza"
Milano, Milieu, 2015, pp. 208, € 14,90

gobborecchioni

Ci sono autori che si occupano di Storia contemporanea cui va il merito di attaccare il revisionismo strumentale, o il cosiddetto rovescismo, nelle retrovie, giocando d’anticipo e di sorpresa, mettendo le mani su quegli episodi e personaggi che l’Antifascismo di tenore istituzionale ha trascurato od omesso fornendo in seguito nutrite argomentazioni alla controparte. Tra questi c’è sicuramente Massimo Recchioni. Lo studioso che vive tra Praga e l’Italia noto per la feconda opera con cui ha approfondito le vicende della Volante rossa e, successivamente, del Partigiano Francesco Moranino. Questa volta, con il giornalista Giovanni Parrella come coautore, ci si sposta dal Nord a Roma per trattare la fisionomia umana e politica d’un personaggio tra i più controversi nella galleria resistenziale e post-resistenziale capitolina, vale a dire il Gobbo del Quarticciolo, al secolo: Giuseppe Albano. Originario del Reggino, Albano è ascrivibile a quella umanità immigrata dal Meridione che si troverà spiantata a Roma, emarginata nelle baracche e nei nascenti quartieri degradati frutto delle ristrutturazioni urbanistiche promosse dal Fascismo. Un sottoproletariato politicamente ineffabile che vive di espedienti, arruolato nella criminalità comune ma, nell’evenienza, capace di prestarsi alla ribellione contro i poteri costituiti. E il momento della cospirazione fattiva arriva nella Città eterna con l’8-9 settembre 1943. La Resistenza coglie questo ragazzo del Quarticciolo non ancora diciottenne; la bassa statura e i lineamenti delicati del volto lo fanno apparire ancor più giovane, mentre una protuberanza sulla spalla destra gli fa guadagnare il soprannome cui sarà per sempre associato. Il Gobbo entra nella banda, di orientamento socialista, di Franco Felice Napoli, con cui compie azioni ardimentose contro i nazifascisti, a seguito delle quali si occupa di distribuire, almeno parzialmente, beni e derrate sottratti tra la gente affamata del suo quartiere. Diviene tra i principali ricercati dalle Ss e, infatti, finisce a via Tasso dove sarà scarcerato alla Liberazione, il 4 giungo 1944. Da qui Albano si pone fuori dai dettami della Ricostruzione e forma una banda di criminalità comune ma non cessa le proprie frequentazioni politiche. Bazzica l’Unione proletaria di Umberto Salvarezza, uno di quei tanti partitini dalle prerogative poco limpide che hanno proliferato prima dell’affermazione della Repubblica, popolati da faccendieri, ex fascisti, ed avventurieri d’ogni risma. Il Gobbo cade in circostanze va da sé misteriose, il 16 gennaio 1945: si spezzava lì una breve esistenza in cui niente pare tornare del tutto. Sulla sua figura cala la damnatio memoriae. I partiti antifascisti avevano, attraverso i rispettivi organi d’informazione, qui ampiamente trascritti, reclamato la neutralizzazione di Albano ed accoliti, personaggi di sicuro poco lineari per chi intendeva immortalare la Guerra partigiana come un’epica lotta di cavalieri senza macchia. Ma la Resistenza, ci dicono giustamente gli autori, fu un fatto umano di persone in carne ed ossa, con pregi e difetti, slanci e debolezze. Significative quanto incisive sono, a tal proposito, le conclusioni tratte in questo lavoro.
La leggenda del ragazzino che aveva mandato in tilt i tedeschi e spadroneggiato nei quartieri di Roma per mesi, non si era tuttavia smorzata. A rievocare la figura sarà, nel 1960, il regista Carlo Lizzani con un film, intitolato appunto Il Gobbo, ispirato alla figura di Albano e con la partecipazione di Pasolini, doppiato in romanesco, nella parte del popolano Leandro er Monco. La sceneggiatura è qui confutata in un apposito paragrafo. Poi, nel 1977, ci sarà una sorta di rifacimento ad opera di Umberto Lenzi, La Banda del Gobbo, dove Tomas Milian interpreta un gobbo - e suo fratello, er Monnezza - boss della mala romana negli anni Settanta.
A fare da sfondo a questo volume di piacevole lettura, la Roma dei tempi, le borgate, via Rasella, le fosse Ardeatine, i Gap, Bandiera rossa, tra le cui fila il Gobbo viene spesso erroneamente annoverato, e i luoghi della memoria cui è dedicata gran parte dell’appendice. Alcuni paragrafi sono introdotti da componimenti in romano. A supporto della pubblicazione, la cui prefazione spetta a Walter De Cesaris, principalmente fonti a stampa e testimonianze dei superstiti di quell’epoca o dei loro parenti. Nella bibliografia la fa da padrone Il Re, Togliatti e il Gobbo di Silverio Corvisieri (Odradek, 1998).

Silvio Antonini

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