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Emergency: testimony scomody

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(16 Aprile 2010) Enzo Apicella
Il consulente alla difesa USA Luttwak a Anno Zero: Emergency sta dove non deve stare e vede cose che non deve vedere

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70 ANNI DOPO: PIU' CHIARE LE IMPLICAZIONI DI YALTA

(22 Febbraio 2015)

Dal n. 26 di "Alternativa di Classe"

yalta

Esattamente settanta anni fa (fra il 4 e l'11 febbraio 1945), i principali Alleati contro le potenze dell'Asse (Germania, Italia e Giappone), e cioè Gran Bretagna, Stati Uniti ed Unione Sovietica, nella II° Guerra Mondiale, si ritrovarono a Yalta, in Crimea, nel Palazzo di Livadija, vecchia residenza estiva dello Zar Nicola II°, per definire, nel secondo di una serie di tre incontri tra i massimi leaders, i nuovi assetti del mondo postbellico.
A partire dal mese di Ottobre 1943, la Terza Conferenza di Mosca aveva visto la partecipazione dei soli Ministri degli esteri di USA, Regno Unito ed Unione Sovietica ed al centro dei colloqui, oltre alla prosecuzione delle operazioni belliche, si era avviato il discorso sugli assetti internazionali post-bellici; da essa, infatti, era scaturita una “Dichiarazione delle potenze”, in vista della creazione di “un altro nuovo ordine mondiale” a guerra conclusa, nella quale l'URSS, di fatto, riconosceva le “Nazioni Unite”, come si erano autodefiniti gli “Alleati” nella “Carta Atlantica” del '41, in contrapposizione al Patto Tripartito dell'Asse. Si cominciavano così a delineare prospettive verso le nuove “zone di influenza”, reale obiettivo degli incontri.
La Conferenza di Teheran, tenutasi poi dal 28 Novembre al 1° Dicembre 1943, era stato il più importante dei vertici tra i leader delle potenze dell’Alleanza prima di Yalta, il primo dei “3 Grandi” ai massimi livelli; in esso si verificò la prima sostanziale convergenza di prospettive tra USA ed URSS. I loro presidenti, F. D. Roosevelt (1882-1945) e J. Stalin (1879-1953), insieme a W. Churchill (1874-1965), primo ministro britannico, in quell’occasione avevano gettato le basi sui futuri accordi, destinati a condizionare in maniera concreta tutto il dopoguerra. In sostituzione della obsoleta “Società delle Nazioni”, era stata proposta dall’amministrazione americana la creazione di una nuova “Organizzazione delle Nazioni Unite”, con riferimento a quanto già definito nella Carta Atlantica ed a presidio del nuovo ordine mondiale; allo stesso modo, oltre agli ultimi indirizzi bellici da perseguire, fu abbozzato il destino della Polonia, ponendo le premesse per uno spostamento ad ovest dei confini sovietici, mentre, per quanto riguarda la sorte della Germania vinta, i tre leader si mostrarono, già da allora, intenzionati, sia pure con modalità e obiettivi differenti, ad un suo smembramento.
I primi mutamenti, infatti, “videro la luce” fin dal Luglio ’44 alla Conferenza di Bretton Woods (USA), che stabilì, alla presenza dei rappresentanti di quarantaquattro (44) nazioni, quale moneta di riserva internazionale, il dollaro, pur se convertibile in oro, a cambio fisso, tramite le riserve USA, e con il Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.), per la gestione dei prestiti, e la Banca Mondiale, allora adibita al finanziamento di progetti economici, pur se, inizialmente, non riconosciuti come istituzioni dall’URSS.
Anche sul piano direttamente politico si confermò e rafforzò la leadership internazionale dell’imperialismo USA che, riducendo Europa e Giappone a suoi debitori, affermò, prima di tutto in Occidente, il proprio modello di riferimento socio-economico. Infatti “ (gli USA - ndr), dopo aver tenuto anche questa Guerra Mondiale lontano dai propri confini, limitando le perdite umane, durante l’equilibrio instabile tra “isolazionisti” ed “interventisti”, traevano il massimo beneficio da questa guerra, ottenendo di fatto il riconoscimento della propria supremazia, finanziaria e politica, nell’Occidente imperialista, con una presenza militare nella stessa Europa e la circoscrizione della temuta influenza sovietica all’interno dell’altra, ben delimitata, “sfera d’influenza”. Anche l’URSS usciva sostanzialmente rafforzata dalla guerra... [da “La guerra”, Cap. 2, Par. 2.2, pag. 22 – Opuscolo tematico di ALTERNATIVA DI CLASSE]
Dopo la Conferenza di Yalta, la cui fama deriva dal fatto che sancì la divisione del mondo in “sfere di influenza”, chiuse la serie di incontri dei “3Grandi” tra i massimi rappresentanti delle grandi potenze alleate la Conferenza di Potsdam (dal 17 Luglio al 2 Agosto 1945); essa perfezionò gli accordi sulla questione tedesca e fu conclusa con la Dichiarazione della resa incondizionata del Giappone.
Nel dettaglio, gli accordi ufficialmente raggiunti a Yalta con la nascita della “sfera Occidentale” e di quella “filo-sovietica”, inclusero anche: una conferenza (programmata per il mese di Aprile del 1945 a San Francisco, e poi effettuata in ritardo) in cui si formalizzerà l’istituzione della nuova organizzazione mondiale, le Nazioni Unite (ONU); in particolare a Yalta si discusse dell'istituzione del Consiglio di Sicurezza; una dichiarazione che invitava allo svolgimento di “elezioni democratiche” in tutti i territori liberati dall’occupazione nazista; lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania, che prevedeva che USA, URSS, Regno Unito e Francia gestissero ciascuno una zona di occupazione a carattere provvisorio, ma, in seguito, si risolse nella divisione della Germania in Est ed Ovest, terminata, come sappiamo, solo nel 1989; riguardo alla Jugoslavia, fu approvato l'accordo fra Tito e Šubašic (capo del governo monarchico in esilio), che prevedeva la “fusione” fra il governo “comunista” e quello in esilio; si decise affinché i sovietici entrassero in guerra contro il Giappone, ed in cambio avrebbero ricevuto la metà meridionale dell'isola di Sachalin, le isole Curili e avrebbero visti riconosciuti i loro "interessi" nei porti cinesi di Port Arthur e Dalian, oltre al fatto che tutti i prigionieri di guerra sovietici sarebbero stati rimandati in URSS, indipendentemente dalla loro volontà.
Dopo la sconfitta nazista e la sua resa incondizionata, il territorio della Germania venne suddiviso in quattro parti: ad est si installarono i sovietici, a sud-ovest gli americani, i britannici a nord-ovest mentre alla Francia vennero assegnate alcune aree vicine al suo confine. Anche la capitale Berlino, pur ricompresa entro il territorio occupato dai sovietici, venne ugualmente divisa in quattro parti.
Gli Stati Uniti uscirono dal conflitto come il vero leader mondiale, sia sul piano economico (il prodotto nazionale lordo passava da 91 miliardi di dollari del 1939 a 212 miliardi di dollari del 1945 e, come già detto, dalla conferenza di Bretton Woods era stato definito un sistema monetario internazionale che ha nel dollaro il suo punto di riferimento), che sul piano militare, ottenendo, dopo lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, una incontrastata supremazia, sia reale che in funzione deterrente.
L’Unione Sovietica di Stalin, pur uscendo dalla guerra con una economia disastrata e un contributo enorme di vittime (20 milioni di persone), emergerà anch’essa come superpotenza, che caratterizzerà tutto il secondo Novecento in uno scontro tra questi due, pur diversi, imperialismi: la cosiddetta “Guerra fredda”, in un periodo in cui lo scontro interimperialistico a più protagonisti per i diversi livelli di leadership non è mai cessato, ma è stato, ovviamente, fortemente condizionato da quanto emerso a Yalta.
Il 26 Giugno '45 a San Francisco, con la sottoscrizione di un documento firmato da 50 Paesi nasce l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), con l’istituzione di un Consiglio di Sicurezza del quale inizialmente fanno parte undici Paesi, di cui i principali vincitori della Guerra divengono i cinque membri permanenti: Cina, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione sovietica, con possibilità di veto sulle decisioni dell’Assemblea.
Dal punto di vista di classe, con la Seconda Guerra Mondiale “...le prospettive rivoluzionarie nel mondo subivano un’altra chiara sconfitta, dopo il fallimento dell’Internazionale (sostanziale tra il ’22 ed il ’24, per il tipo di posizioni approvate, e definitivo con lo scioglimento del ’43), imprigionate nell’infernale meccanismo inaugurato a Yalta. Per quanto riguarda l’assetto geografico, ne uscì quello che si è mantenuto, sostanzialmente, fino a circa l’89…
Il bilancio di quest’altra guerra imperialista vede, come tutte le guerre di questo tipo, il solito sconfitto: il proletariato mondiale! Significative le cifre: 50 milioni di morti, di cui 35 milioni civili (il 70%); secondo le nazionalità, circa 20 i milioni di morti sovietici, 18 i milioni di tedeschi, 6 milioni gli ebrei, 4,5 milioni i polacchi, ecc. Furono spesi 1500 miliardi di dollari, di cui il 21% dagli U.S.A., il 20% dalla Gran Bretagna, il 18% dalla Germania, il 13% dall’URSS, il 4% dal Giappone, ecc. Anche dalla evidente analisi di questi dati emerge come la Seconda Guerra Mondiale sia stata anche una vittoria economica per gli Stati Uniti, che ne escono a posto dal punto di vista finanziario, con un progresso tecnologico, anch’esso trainato dalle spese militari, che li avrebbe resi competitivi per le rapide ricostruzioni necessarie all’estero, non avendo niente di compromesso all’interno, dopo un periodo, quello bellico, di aumento della domanda interna ed estera a sostenere aumenti di produzione dall’assorbimento garantito.” [da “La guerra”, Cap. 2, Par. 2.2, pagg. 22 e 23 – Opuscolo tematico di ALTERNATIVA DI CLASSE]
In Occidente, durante la “Guerra fredda”, gli Accordi di Yalta sono spesso stati visti, da parte di una opinione visceralmente anticomunista, come un cedimento alla Unione Sovietica, un Paese, poi imploso e smembratosi in una storica sconfitta, ma che manteneva una gloriosa denominazione. In realtà, invece, se tali accordi hanno garantito per più di quaranta anni una situazione di sostanziale bilanciamento internazionale, con reciproche chiusure di mercati, hanno anche significato una chiusura ermetica di tutto il sistema capitalistico a cambiamenti che si fossero spinti oltre i limiti determinati da tali Accordi.
Proprio quanto sopra ha talvolta tratto qualcuno in inganno. Dal punto di vista di classe gli Accordi di Yalta in sè rappresentano uno dei periodici accordi fra potenze imperialiste, mirato a cristallizzare una particolare situazione di bilancia di rapporti di forze. Come tale era destinato ad essere superato, come poi è avvenuto, anche soltanto per nuovi livelli di sviluppo dello scontro interimperialistico, che non necessariamente si manifesta solo sul piano militare.
Venendo ai giorni nostri, accordi come quelli di Yalta non possono certamente suscitare alcun rimpianto fra i proletari ed i comunisti, dati il prezzo che richiederebbe il raggiungimento di una nuova situazione di stabilità ed il fatto che ogni unità delle forze imperialiste ha sempre significato una forte oppressione sul proletariato. Prima che si possa affermare un eventuale nuovo periodo di pace imperialista, con tutto quello che potrebbe comportare, è sempre più necessario che si affermi una nuova vittoria del proletariato mondiale, a partire dalla rinascita di una forza comunista davvero internazionale.
Non è Yalta la “prova del nove” dell'abbandono da parte dell'Unione Sovietica dell'indirizzo classista rivoluzionario; lo era stato già l'invasione della Polonia del '39 ed il Patto Molotov-Ribbentrop! Tali iniziative rivelavano come ormai la borghesia anche in URSS fosse riuscita da tempo a restaurare il proprio dominio di classe, veicolata da linee fallimentari, come quella del “socialismo in un solo Paese”, e dalle scelte che ne sono conseguite. Non si tratta di ricercare nella Storia il momento di una deviazione sul piano politico! Si tratta, prima di tutto, di prendere coscienza del fatto che un cambiamento politico non può reggere a lungo una realtà sociale di transizione senza un cambiamento strutturale del tipo di economia che la regge, indipendentemente dalle sue dimensioni geografiche. E le dimensioni non si devono certo restringere, ma, semmai, allargare!

Alternativa di Classe

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