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Lo scoglio basco di Zapatero

(17 Aprile 2005)

versione integrale dell'articolo pubblicato dal quotidiano "Il Manifesto" domenica 17 aprile

Al di là di quanti seggi prenderà, la sorpresa delle regionali del 17 aprile si chiama Partito Comunista delle Terre Basche. EHAK dovrà rappresentare nel prossimo parlamento della Comunità Autonoma Basca le rivendicazioni della sinistra indipendentista espulsa dalle istituzioni. Come già in passato, la lista di Batasuna è stata infatti rispedita al mittente dagli uffici elettorali. Ma anche la lista composta da tecnici, intellettuali e artisti spesso estranei alla storia e alla cultura della sinistra patriottica, Aukera Guztiak, è stata vietata, in quanto ritenuta da magistrati e servizi segreti un’emanazione di Batasuna e in fin dei conti dell’ETA. All’indomani dell’esclusione di “Tutte le scelte” (AG), è spuntata una lista che nessuno aveva notato, quella di EHAK appunto. Chi sono questi comunisti baschi? Non certo quelli della locale sezione di Izquierda Unida, che si è affrettata a negare ogni legame con questa formazione che invece è nata nel 2002, quando alcuni militanti della coalizione indipendentista di sinistra Euskal Herritarrok decisero di unirsi ai transfughi proprio di Izquierda Unida e del PC Basco “ufficiale” per dar vita a un partito che, dentro il movimento indipendentista, privilegiasse il cambiamento sociale e la lotta contro il liberismo.

Nessuno si era però accorto di loro fino a quando, in una conferenza stampa, i tre capolista di EHAK hanno affermato che, di fronte a uno “scenario di apartheid politico nel quale a un enorme settore della società basca viene impedito di partecipare alle elezioni”, il partito rinunciava al proprio programma elettorale per assumersi il compito di portare nelle istituzioni autonome la richiesta di risolvere il conflitto basco attraverso la via negoziale, tentando di ristabilire un minimo democratico. Dopodiché sia Batasuna che Aukera Guztiak, oltre a gruppi della sinistra comunista spagnola, hanno chiesto ai propri elettori di convergere su EHAK, l’unica opportunità legale per concorrere alle elezioni. Sabato scorso il primo meeting pubblico di EHAK ha riempito un campo di pelota con 2000 persone, entusiasmate dal canto dell’inno basco e dell’Internazionale. Se è vero che non tutti i simpatizzanti di Batasuna fanno i salti di gioia all’idea di infilare nell’urna una scheda con la falce e martello, altri si sono sentiti invogliati a riprendere l’iniziativa proprio dopo la scesa in campo di una opzione ideologicamente più connotata a sinistra.

Per ora i sondaggi assegnano a EHAK dai 4 ai 6 seggi, mentre nel consiglio appena sciolto Batasuna ne aveva 7. Un risultato non entusiasmante ma comunque preoccupante per i partiti nazionalisti “moderati” che, con Esker Batua, reggono il governo locale e sono ormai quasi sicuri di perdere la maggioranza assoluta. Qualcuno insinua il sospetto che la presenza di EHAK a queste elezioni faccia comodo al Partito Socialista Basco di Patxi Lopez e per questo sia stata tollerata. In fondo, accusano i popolari di Maria San Gil, EHAK dice le stesse cose di Batasuna, e alcuni suoi candidati anni fa erano militanti indipendentisti. Le stesse “prove” addotte dalla magistratura quando ha escluso Aukera Guztiak dalla contesa, applicando una “Legge dei partiti” varata nel 2003 col voto determinante del PSOE. Perché quindi escludere AG e non EHAK? Non ci sono prove, ribattono i socialisti, e promettono che continueranno a indagare sui legami tra comunisti e Batasuna. Ma intanto i Popolari continuano ad attaccare Zapatero, reo secondo loro di aver intavolato una trattativa segreta sia con Batasuna che con l’ETA. I socialisti, per ora, negano.

Da parte sua l’ETA ha fatto sapere che appoggia la proposta lanciata a novembre da Batasuna, denominata “Orain bakea, orain herria” (Ora la pace, ora il popolo), basata su due tavoli separati di negoziazione: uno tra le forze politiche, sociali e sindacali basche per concordare uno scenario condiviso da sottoporre poi alla cittadinanza attraverso un referendum; un altro tra l’ETA e gli Stati spagnolo e francese attinente esclusivamente alla smilitarizzazione del conflitto, ai prigionieri, ai deportati, ai rifugiati e alle vittime.

Rispetto alla precedente proposta, che nel 1998 portò all’accordo di Lizarra Garazi e ad una lunga tregua unilaterale di ETA, quella attuale non prevede la creazione di un fronte nazionalista basco da opporre al nazionalismo spagnolo, bensì di un contesto politico in cui, in assenza di violenza, ogni forza politica possa adeguatamente difendere il proprio progetto politico senza esclusioni.

Difficilmente gli indipendenti potranno abbassare la posta; ogni ulteriore cedimento rappresenterebbe un’inaccettabile resa. Ma al Governo di Madrid, che pure aveva espresso apprezzamento per lo sforzo di Batasuna, la proposta non basta.

Finora Zapatero, se da una parte ha ritirato le truppe spagnole dall’Iraq e ha intrapreso una lotta titanica contro la Chiesa per la laicizzazione della società, non è stato affatto tenero con la sinistra indipendentista, anzi. Manifestazioni elettorali, politiche e sindacali caricate dalla polizia e disciolte con la forza; centri sociali chiusi e addirittura demoliti; poliziotti mandati a strappare le bandiere basche dai Municipi della Navarra; radio comunitarie in attesa di essere cancellate dall’etere perché farebbero concorrenza sleale alle radio commerciali; monaci benedettini settantenni arrestati perché considerati postini dell’ETA. Questo è il quadro di un Paese Basco assediato e sottoposto ad uno stato di eccezione permanente. Un centinaio di persone sono state arrestate solo negli ultimi due mesi, e sottoposte a un regime di isolamento che, denunciano Amnesty e Human Rights Watch, è l’anticamera della tortura.

Eppure ambienti vicini al governo avevano chiesto mesi fa la rilegalizzazione di Batasuna e almeno una sospensione della “Legge dei partiti”, non fosse altro perché non funziona. Né la repressione né la messa fuori legge di numerose organizzazioni sociali e politiche hanno eliminato la sinistra basca dalla scena politica. Con una capacità di mobilitazione politica e sociale ancora alta nonostante la criminalizzazione, Batasuna ha non solo saputo evitare una deriva militarista che molti temevano (e alcuni auspicavano) ma ha anche dimostrato ai partiti nazionalisti moderati che il suo elettorato non è così facile da conquistare se è vero che in tre elezioni di seguito centinaia di migliaia di persone hanno scelto di votare un partito espulso dalla legalità.

Pur dichiarandosi disponibile “ad ogni passo necessario alla consecuzione di uno scenario senza violenza”, l’ETA ha dimostrato di essere capace di colpire ovunque, come quando a dicembre ha fatto esplodere contemporaneamente degli ordigni in diverse città spagnole o alla Fiera di Madrid a poche ore dalla visita del Monarca. Da quasi due anni l’ETA ha smesso di mietere vittime e ha proclamato una tregua in Catalogna; anche per questo, quando Batasuna ha presentato il suo piano di pace, in molti hanno parlato di una debolezza tale da costringerla a venire a patti col governo. L’ETA vorrebbe invece dimostrare di essere viva e vegeta e che se vuole negoziare è per scelta e non per disperazione.

Che succederà dopo le elezioni? I due blocchi, - nazionalista basco e nazionalista spagnolo - dovrebbero mantenere le proprie posizioni. La sinistra indipendentista “civile” di Aralar, come ama definirla il suo leader Zabaleta, non può aspirare ad occupare lo spazio elettorale e politico creato dalla messa al bando di Batasuna; il PSE crescerà togliendo voti al PP e diventando seconda forza; la Sinistra Unita potrebbe avanzare un po’. Se la coalizione PNV-EA non ottenessero come è probabile la maggioranza assoluta, Patxi Lopez potrebbe offrire a Ibarretxe una coalizione, a patto però che il leader del PNV ritiri il Piano che porta il suo nome e si affidi invece, per il superamento dello Statuto d’Autonomia, a Zapatero, che va ripetendo di essere l’unico in grado di riformare le Autonomie regionali senza sfasciare la Spagna.
In attesa di un “Blair” spagnolo, la guerra continua. Gli elettori di EHAK voteranno con una carta di identità basca illegale, violando di nuovo le leggi di Madrid. E il Magistrato generale dello Stato Conde Pumpido ha dichiarato che potrebbe mettere fuori legge i parlamentari comunisti appena eletti.

Marco Santopadre

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