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Violenza sulle donne

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    ANCORA SUL CONCETTO DI DEMOCRAZIA

    (5 Marzo 2015)

    corradostajano

    Corrado Stajano

    Un intervento di Corrado Stajano pubblicato oggi, 5 Marzo, sulle colonne del “Corriere della Sera” ritorna sul tema del concetto di democrazia, individuando in questo elemento il punto vero della crisi del sistema politico italiano.
    Stajano ripercorre tutti i passaggi della storia più recente segnalando, come a suo giudizio, il concetto di democrazia sia messo in crisi dall’assenza di dialogo e che, ormai per la politica il modello è la velocità futurista dei tweet e delle battute.
    I partiti, nell’analisi sviluppata nel corso dell’intervento, sono ormai da considerare come “battaglioni personali” in un Parlamento che conta poco: “.. i decreti legge, i voti di fiducia pesano come cappe di piombo e i casi straordinari di necessità e urgenza sembrano invenzioni linguistiche. Nel PD guai a disturbare il manovratore e i garzoncelli scherzosi che lo attorniano..”.
    L’intervento contiene dunque molti spunti condivisibili, ma non si sfugge all’impressione che qualche cosa, nella riflessione, sia sottovalutato o addirittura manchi: non ci riferiamo, semplicemente, all’assenza di un cenno ai meccanismi elettorali e a quanto questi hanno significato per entrambe le logiche negative che sovraintendono all’idea di “agire politico” oggi prevalente, la “vocazione maggioritaria” e la “personalizzazione” che si accompagna, ovviamente, all’elezione diretta e alle (disgraziate) primarie.
    Per cercare di realizzare un confronto maggiormente approfondito con le argomentazioni sostenute nell’intervento citato sembra proprio il caso di riproporre alcuni punti di fondo di un’espressione di orientamento politico che è necessario mettere in campo chiedendo alla sinistra di assumerli e di costruirvi sopra un’opposizione di tipo sistemico alla deriva autoritaria che sta impetuosamente egemonizzando il nostro sistema politico.
    Sono presenti, infatti, due fenomeni di grandissima portata che, particolarmente nella situazione italiana assumono una specifica importanza: il divorzio sempre più crescente tra le forme considerate “classiche” della democrazia e l’affermarsi di nuove forme di aggressione capitalistica e l’emergere di una concezione “darwiniana” della politica che prevede l’abolizione della dialettica e della conseguente espressione di rappresentanza.
    Questo secondo elemento, dell’affermazione di questa concezione –appunto- di tipo “darwiniano” di agire della politica costituisce l’elemento più concretamente visibile che agisce nel quadro della vicenda politica italiana e si riflette con grande pesantezza sull’insieme dei rapporti sociali, la sopraffazione, la crescita delle diseguaglianze e delle ingiustizie in un quadro di sostanziale limitazione delle possibilità di azione democratica.
    Nella sostanza si tratta del collante che tiene assieme questo nuovo regime che la sinistra non ha saputo riconoscere e all’interno del quale si muove con la stessa ignavia (o la stessa complicità?) già verificatasi in altri tragici frangenti della storia.
    Non è questione di regole da mantenere o da riaffermare (anche se questa parte del discorso non può essere sottovalutata) ma dell’accorgersi dell’assenza di una qualsiasi possibilità di espressione di un’effettiva dialettica politica e non tanto di dialogo, come invece sostiene Stajano.
    Dialettica politica intesa come fattore e luogo della contraddizione nel rapporto tra forze produttive e rapporti di produzione nello stadio dell’economia capitalistica: luogo nel quale si sviluppa l’integrazione delle classi sociali nel processo politico.
    E’ nella dialettica che la storia umana coincide naturalmente con la storia del conflitto di classe che si esprime attraverso la tensione e la pratica politica attraverso le quali si delinea una nuova società alternativa all’esistente.
    In questo quadro, naturalmente, per sfuggire all’irrazionalismo, emerge il concetto di “mediazione” (interpretato acutamente, sul piano filosofico, da Luckàs sull’asse Hegel-Marx) sulla base del quale si sono formate le soggettività politiche.
    Emergeva così il concetto di rappresentanza: quello che oggi appare superato dall’affermazione di uno scambio tra “società dello spettacolo” e “società politica”.
    La riflessione sul nesso inscindibile tra dialettica e rappresentanza rappresenta il punto vero su cui dovrebbe essere capace di esercitarsi una nuova sinistra.
    L’elemento che ci troviamo di fronte e che sta all’origine della degenerazione dell’azione politica e della “deriva autoritaria” è quello della riunificazione del concetto di rappresentanza con quello di governabilità, realizzato attraverso l’esaltazione impropria del processo di personalizzazione della politica e il mutamento di natura, logica d’azione, composizione dei soggetti politici.
    Questo fattore appena individuato ha portato al verificarsi di due situazioni entrambe fortemente negative: la prima al riguardo del ruolo dei partiti, rimasto assolutamente svincolato da qualsiasi rapporto con precise “fratture sociali” e configuratosi, di conseguenza, quale centro esclusivo dell’elargizione di quel potere di nomina e di spesa che produce quegli “incentivi selettivi” solo motore possibile dell’espressione prevalente del dominante “individualismo competitivo”.
    In questo senso il tema della legge elettorale non è secondario, anzi diventa decisivo proprio nell’ottica del ristabilire elementi di dialettica sociale e politica e al riguardo del ruolo dei partiti rispetto alla logica della democrazia parlamentare, così come questa disegnata dalla Costituzione Repubblicana.
    Il secondo elemento riguarda la delega totale dell’agire politico all’immediatezza della tecnologia e della comunicazione di massa nella forma prevalente dell’improvvisazione e della propaganda ormai portata a dimensioni parossistiche portando a trascurare anche gli stessi elementi fondamentali della coerenza di un possibile impianto legislativo con le norme vigenti sia sul piano giuridico, sia su quello finanziario.
    Sono questi i fenomeni più evidenti nell’attualità della nostra vicenda politica all’interno di un quadro riguardante il divorzio in atto tra le forme democratiche borghesi e il capitalismo: lo dimostra la gestione del ciclo in atto sul piano globale, l’emergere di nuovi fondamentalismi nell’economia e nella cultura, l’affermarsi di opzioni poste al di fuori dalla logica razionale dell’illuminismo.
    Un vero e proprio punto di “arretramento storico”.
    Naturalmente i fenomeni denunciati sono di dimensione globale e si riflettono su di un quadro collocato ben oltre la nostra dimensione nazionale: però è da questa che è necessario partire per una riflessione più accurata che porti all’elaborazione di una proposta politica compiuta che rimane, comunque, quella della costruzione di una soggettività organizzata che rappresenti una concezione politica “altra” (qualcuno direbbe “aliena”) dal quadro di vera e propria degenerazione fin qui presentato e che abbia dentro di sé quei connotati d’identità di fondo che la portino ad affermare la necessità dell’opposizione, il rapporto diretto con la storia del movimento operaio nell’idea di una radicale trasformazione di sistema con al centro l’idea dell’eguaglianza sociale e della dialettica politica.

    Franco Astengo

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