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In campo borghese sono considerate con una certa attenzione le teorie geopolitiche esposte da due studiosi che danno una spiegazione delle grandi manovre strategiche delle potenze imperialiste del tempo. Uno è l’ufficiale di marina americano Alfred Thayer Mahan (1840-1914), poi insegnante al War College del suo paese, l’altro è il geografo esploratore inglese Halford John Mackinder (1861-1947), insegnante a Oxford e socio fondatore e direttore della prestigiosa London School of Economics and Political Sciences. Quei prestigiosi incarichi furono il riconoscimento della borghesia ai loro migliori teorici.

Qui ne diamo un breve cenno perché danno un contributo a capire i movimenti strategici di oggi.

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Alfred Thayer Mahan

Mahan, marinaio, sosteneva che le vie marittime erano a quel tempo il mezzo più rapido per i grandi traffici commerciali e per questo studiò attentamente la contrapposizione tra le potenze marittime e quelle continentali, da lui ritenute più deboli e vulnerabili. Sostenne la necessità per le prime di assicurarsi, nei paesi verso i quali sono rivolti i loro traffici, il controllo delle vie marittime attraverso la salda tenuta di punti d’appoggio, basi navali, controllo degli stretti ecc. L’espansione americana nei Caraibi e specialmente nell’oceano Pacifico verso la Cina si allinea con questa teoria. Sosteneva, sulla base dell’esperienza storica, che le potenze marittime tendono a unirsi tra loro, come reciprocamente quelle continentali e, secondo lui, difficilmente una potenza poteva essere egemone contemporaneamente sia in campo terrestre sia navale, come tentò inutilmente la Francia del 1700. Ovviamente negli ultimi anni dell’Ottocento non si parlava ancora del controllo dei cieli e di quelle rotte. Ad oggi solo gli Stati Uniti sono contemporaneamente potenza continentale, navale e aerea.

Una sua affermazione appare premonitrice: «Chiunque controlli l’Oceano indiano, domina l’Asia. Quest’oceano è la chiave dei Sette Mari. Nel XXI secolo il destino del mondo sarà deciso nelle sue acque». La Cina da qualche tempo sembra seguire quel consiglio attuando la politica della “collana di perle”, ovvero una linea di basi e porti commerciali che si sviluppano in tutto l’Oceano Indiano a protezione dei suoi traffici marittimi, a cui l’India cerca di rimediare costituendo una flotta militare di adeguate dimensioni, tra cui una portaerei e un sottomarino nucleari. Gli Usa da tempo si sono insediati in punti strategici e hanno allestito basi militari su quelle rotte in appoggio alle sue potenti flotte aero-navali.

Mackinder invece presentò il suo studio Il perno geografico della storia la sera del 25 gennaio 1904 alla Royal Geographical Society. L’intento era di spronare i comandi britannici ad abbandonare lo “splendido isolamento” e ad acquisire maggior potenza militare sulla terraferma, prima che dall’Europa continentale giungesse una minaccia alla sua supremazia. L’Inghilterra, anche se grande e potente, è sempre un’isola che necessita di adeguati traffici marittimi per il suo esistere ed il mantenimento dell’Impero. Nel 1909 la superficie complessiva delle colonie, dominion e protettorati sottomessi all’Impero britannico era 94 volte maggiore della superficie del Regno Unito, con una popolazione di 7,7 volte. Con il 20% della superficie del pianeta e il 23% della popolazione quello inglese fu l’impero più vasto e popoloso di tutta la storia.

La teoria del Mackinder si basava sulla contrapposizione tra terra e mare e individuava nell’Heartland, o Cuore della Terra, il centro vitale di tutte le sue civiltà, logisticamente inavvicinabile da qualunque potenza navale, o talassocrazia. Questo Heartland corrisponde alla zona centrale dell’Eurasia, delimitato a ovest dal Volga a est dal Fiume Azzurro, a nord dall’Artico e a sud dalle cime occidentali dell’Himalaya, una zona che comprendeva e superava l’intero Impero russo del tempo. Sosteneva anche la necessità di creare e controllare Stati cuscinetto allo scopo di evitare fusioni tra potenze continentali, temendo una imbattibile alleanza tra gli imperi tedesco e russo, in altre parole tra il sistema produttivo industriale più sviluppato tedesco e lo sterminato bacino di risorse minerarie russe.

Questa l’estrema sintesi delle sue idee: «Chi controlla l’Est Europa comanda lo Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola Mondo, chi controlla l’Isola Mondo comanda il Mondo». L’Isola Mondo, o Eurafrasia, comprendeva per Mackinder il vasto territorio compreso tra Lisbona, Vladivostock e Capo di Buona Speranza. Il resto del pianeta era suddiviso in aree di secondaria importanza, Americhe, Australia, Giappone, Isole Britanniche comprese.

Senza cedere a facili semplificazioni, proviamo a trovare qualche analogia tra l’odierna fase politica del capitalismo mondiale e quella del periodo a cavallo tra Otto e Novecento, partendo dalla teoria dello Heartland. All’inizio del nuovo secolo l’Inghilterra, che con le basi di Gibilterra, Malta, Cipro, Alessandria, Suez, Kuwait, Aden, Città del Capo, Mauritius, India, Ceylon, Penang, Singapore, Hong-Kong circondava l’intero continente euroasiatico, si trovò nella necessità di condurre una guerra difensiva per la vita o per la morte contro la fame di plusvalore degli altri zombi capitalisti, che attentavano al suo dominio, ancora incontrastato. L’interrogativo che assillava le menti più accorte della politica inglese si può semplificare così: nell’assalto al potere mondiale era più pericolosa la Weltpolitik del Kaiser Guglielmo II o l’avanzata lenta ma inesorabile della colata lavica russa? Bisognava attuare una strategia di contenimento della Russia o neutralizzare a breve la spinta bellica della Germania?

La Germania guglielmina aveva dato inizio, ad opera dell’ammiraglio von Tirpitz, alla costituzione di una flotta d’alto mare. Questo significava che la nazione che era già la più grande potenza terrestre organizzata e che occupava la posizione strategica centrale in Europa, diventando anche una potenza marittima avrebbe in breve tempo messo in pericolo il dominio inglese. I cantieri navali del Mare del Nord e del Baltico erano la punta dell’industria tedesca che spingeva verso una politica coloniale aggressiva e che portò la Germania tra il 1891 e il 1906 a conquistare nuovi possedimenti in Africa, in Cina e nel Pacifico. Ma l’evento che più spaventò gli inglesi fu il progetto della ferrovia Berlino-Baghdad (al 1898 data la concessione della Turchia alla Germania per la costruzione del ramo Baghdad-Costantinopoli) che avrebbe consentito ai tedeschi di affacciarsi nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano, ossia nei territori di caccia esclusivi della Gran Bretagna.

Quanto alla Russia, il problema al centro di ogni dibattito era sempre lo stesso, ossia che il sea power britannico aveva il suo nemico naturale nel land power russo. Dall’epoca di Pietro il Grande la Moscovia, un tempo solo uno iato tra Europa e Asia, liberandosi del dominio mongolo aveva acquisito un ruolo che si sarebbe rivelato decisivo anche per le sorti europee. Ma come diceva Marx, soltanto la trasformazione di una potenza continentale come la Moscovia in un impero attestato saldamente sui mari avrebbe proiettato la politica russa oltre i suoi limiti tradizionali. Da sempre la diplomazia russa traeva la sua linfa vitale dalla fusione tra la atavica perizia nell’arte dell’intrigo ereditata dagli schiavi dei mongoli e la tendenza dei padroni mongoli alla conquista del mondo. Non c’è da stupirsi se in ogni bisbiglio proveniente da Costantinopoli o in ogni disordine tribale lungo la frontiera indiana gli inglesi vedessero intrighi della Russia.

In realtà, come ben aveva visto Marx e come hanno confermato in seguito le rivelazioni degli archivi diplomatici, fu la patria del libero-scambismo a compromettersi in un’alleanza segreta con gli stessi russi attraverso una ragnatela di patti, intese e accordi il cui scopo era da una parte di contenere l’espansione russa verso il mare, dall’altra mantenere sottomessi i popoli dell’Europa. La connivenza anglo-russa rappresentava per Marx un grave pericolo controrivoluzionario per l’intera Europa, come testimoniano le dure critiche con cui sferzò la maniera troppo blanda con cui le potenze occidentali conducevano la guerra di Crimea.

Il ruolo di baluardo controrivoluzionario a favore della stabilità capitalistica è stato una costante nella storia russa, prima della Russia zarista poi di quella stalinista. Oggi possiamo affermare che il crollo dello zarismo del 1917 e l’implosione dell’Urss del 1990 sono gli avvenimenti che hanno decretato l’inizio della fine dell’egemonia della potenza imperialista americana. Fosse dipeso dalla volontà politica degli Stati, anziché dalla cieca legge dell’accumulazione di plusvalore, la formula del condominio ancora sopravviverebbe quale sistema più idoneo ad assicurare la signoria pressoché illimitata al capitale a base americano.

In questo contesto, con un buon mezzo secolo di ritardo da Marx, viene abbozzata per la prima volta la dottrina di Mackinder. Dando per scontate le prerogative imperialistiche della maggiore potenza dell’epoca, egli superava concettualmente la scelta tra Germania e Russia quali minacce principali al dominio inglese, facendo notare che nel cuore dell’Eurasia vi era un’area strategica che, se controllata da un’unica potenza o da una coalizione, le avrebbe dato vantaggi a lungo termine. Veniva in tal modo delineato il reale obiettivo della futura strategia estera britannica (e oggi americana): impedire che le forze navali e terrestri tedesche e le risorse continentali russe (o cinesi) dessero vita ad una sola potenza politico-militare che controllasse il Cuore della Terra.

Alla base della riflessione di Mackinder vi furono due episodi bellici specifici: la guerra britannica in Sudafrica e quella russa in Manciuria. Fino ad allora era sembrato che qualunque Stato intenzionato ad entrare in competizione imperialistica avrebbe dovuto dotarsi dell’arma sinonimo stesso di potenza: la forza navale. Chi controllava l’Oceano non conosceva rivali potendo contare sulla maggiore velocità di spostamento e sulla capacità di intervenire in qualsiasi conflitto aggirando gli ostacoli terrestri. Ma un nuovo prodotto della grande industria – le ferrovia – era entrato prepotentemente in scena, rendendo oltremodo conveniente il trasferimento di merci e uomini sulle lunghe distanze terrestri. In Sudafrica e in Manciuria si combatterono i primi conflitti di una nuova era: l’epoca colombiana delle grandi navigazioni a vela, che avevano permesso di scoprire l’esistenza di nuovi mondi, poteva dirsi conclusa a favore della mondializzazione del sistema politico frutto dell’avvenuta appropriazione geografica del pianeta.

La cultura occidentale ha ereditato dalla classicità greca il connubio tra potenza marittima e libertà da un lato, e potenza continentale e dispotismo dall’altro, mutuato dall’esperienza del secolare confronto, assurto a modello, tra la piccola Atene e il grande Impero persiano. Il comune denominatore che lega le antiche guerre greco-persiane ai moderni scontri anglo-russo e americano-russo è l’opposizione elementare di terra e di mare, la lotta di potenze marinare contro potenze di terra e viceversa. Questa visione di un mondo da sempre coinvolto nell’antitesi di terra e mare è presente in Mackinder, il quale riesce tuttavia a evitare la trappola di un ferreo determinismo naturale: sono infatti gli uomini e non la natura a dare inizio ai processi storici, anche se la natura in larga misura li condiziona. Insomma, una caratteristica fisica dell’ambiente umano, come ad esempio la divisione del pianeta in terra e mare, pur rappresentando un vincolo non è certo l’unica causa dello sviluppo della civiltà.

Mackinder utilizzò, quale strumento fondamentale per la sua analisi, una carta geografica ideale centrata sulla Siberia, e considerò l’Europa non come il centro del mondo, ma come una delle tante penisole della massa terrestre eurasiatica. L’Isola-Mondo, la World-Island, è tutto quel vasto continente indiviso costituito da Europa, Asia e Africa. Quest’ultimo, base della potenza terrestre e del dispotismo, nel caso riuscisse a divenire una ”isola” e una unità, cioè a conquistare l’oceano con le proprie forze di terra, altererebbe irrimediabilmente i rapporti di forza e l’essenza stessa della politica internazionale.

Scopo non troppo velato di Mackinder era quello di esaminare la storia passata per scoprire in essa le condizioni che avevano reso possibile la vittoria dello Stato insulare inglese, e scrutare nell’avvenire se le circostanze che gli avevano permesso di assurgere a incontrastata potenza mondiale fossero destinate a scomparire. Ma egli non poteva sapere allora che ad un altro imperialismo sarebbe spettato il compito di mantenere e consolidare il dominio anglosassone sui mari, quando l’Inghilterra, da sola, non sarebbe più stata in grado – per forza e dimensioni – di mantenere lo status di potenza globale, quando le coste di quell’isola dalla quale era partito il più potente terremoto economico e tecnico della storia dell’umanità sarebbero diventate troppo anguste per contenere una nuova epoca. Un nuovo Leviatano, gli Stati Uniti d’America, sarebbe presto uscito dalle onde dell’oceano pronto a rivitalizzare i principi fondamentali dell’impero marittimo britannico. Ma fino a quando gli Stati Uniti – per forza e dimensioni – saranno l’ago della bilancia dell’imperialismo mondiale? quando un nuovo mostro Leviatano, di dimensioni qualitativamente maggiori, sta sorgendo in Asia?

Concludiamo con le parole finali dell’intervento di Mackinder del 1904, ancora utili forse a diradare qualche nebbia dalla scena geopolitica odierna. «In conclusione, può essere opportuno mettere in evidenza che l’avvicendamento di qualche nuova autorità nell’area interna a quella della Russia non comprometterebbe l’importante ruolo geografico della posizione-perno. Se fossero ad esempio i cinesi, organizzati dai giapponesi, a rovesciare l’impero russo e a conquistarne il territorio, essi potrebbero costituire il pericolo giallo per la libertà del mondo [id est per l’Inghilterra allora e per gli Usa oggi], proprio perché aggiungerebbero un fronte oceanico alle risorse del grande continente, un vantaggio finora negato agli occupanti russi della regione-perno».

Partito Comunista Internazionale

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