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(30 Dicembre 2010) Enzo Apicella

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Benedetto XVI: un tedesco di guardia ai roghi

(21 Aprile 2005)

Sullo sfondo di un ventennale conflitto epocale, d’un regolamento di conti immaginificamente in bilico tra il vecchio western e la guerra fredda, l’umile lavoratore della vigna del Signore ha conquistato il feudo più imponente del mondo. E se le luci della ribalta del suo pontificato non diventeranno fuochi dell’Inquisizione spagnola sarà solo per limiti tempo. Quel tempo che manca a Joseph Ratzinger, Papa di transizione, settantottenne pastore tedesco.

il libro bianco

Nativo di Marktl, in Baviera, dove la locale pro-loco si affretta a lucidare, per i turisti della fede, le pagane vestigia della sua vita precedente (unghie e incrostazioni calcaree comprese), aviatore tardivamente antinazista, prete negli anni Cinquanta e teologo successivamente, ex-progressista folgorato sulla via di Damasco, pupillo delle sette più oscurantiste, cardinale.

Arcivescovo di Monaco di Baviera, come rappresentante in capo della influente e potentissima “ala tedesca”, capeggiò da grande elettore la nomina di Karol Woytjla al soglio pontificio, opzionato a sorpresa in quanto papa debole e facilmente manipolabile, adatto alla contingenza dello scontro interno e perciò stretto come preda tra le ragnatele del potere ecclesiastico diviso in fazioni.

Da una parte la loggia massonico-curiale, dall’altra la crescente, inarrestabile Opus Dei, reazionaria e medievale.

È del cardinale tedesco la regia della prima decisa svolta autoritaria e restrittiva della gestione del polacco. Bersaglio: le suggestioni conciliari più avanzate, i teologi che – bontà loro – ritenevano il Vaticano II viatico dell’ecumenismo moderno e – eretici! – individuavano nelle istanze del Concilio una giusta integrazione del cattolicesimo con le istanze più moderate del protestantesimo, un’apertura alla modernità.

Che il Concilio Vaticano II fosse pietra dello scandalo e pesasse – come pietra – sulle scelte delle fazioni in lotta entro le mura, non è mai stato un segreto per nessuno. Settori dell’integralismo vi intravedevano finanche la “morte della Chiesa” e, nell’attesa di smantellarne i precetti, provvedevano ad eroderne i contenuti.

Capofila della battaglia al riformismo, la santa piovra dell’Opus Dei, congregazione segreta che annovera Ratzinger tra le punte di diamante.

Nella seconda metà del 1979 la Congregazione per la dottrina della fede (l’antica Inquisizione) guidata dal cardinale croato Franjo Seper, dopo aver attaccato il teologo francese Jacques Pohier e l’olandese Edward Schillebeeckx, trascina sotto processo lo svizzero Hans Kung, docente progressista presso l’Università di Tubinga. In cabina di regia: Joseph Ratzinger. Kung, giudicato “deviazionista” dalla “verità integrale della Chiesa” perse la cattedra. Ratzinger ipotecò la poltrona di prefetto dell’ex Sant’Uffizio, che ottenne il 25 novembre del 1981. L’Opus Dei ne gioì vistosamente. Da tempo il Panzerkardinal aveva avuto modo di farsi conoscere per le sue tesi anticonciliari ed antimoderniste e, con dalla sua una laurea honoris causa dell’Università dell’Opus di Pamplona, si era già meritato il soprannome di Adolf.

digressione

Ma i più accorti compagni, da qualche settimana apertamente adoranti verso ogni feticcio che sappia di potere temporale ecclesiastico, tirano il freno e mettono in guardia dal giudicare troppo affrettatamente simili dettagli e dal relegare un pontificato nei parametri della politica. L’ultimo avviso in tal senso è venuto dal compagno Nichi Vendola, neo-governatore delle terre di Puglia. Rispondiamo, ossequiosi come sempre, che costoro non hanno nulla da temere dal nostro ostinato lavoro di ricerca: solo perché uno è tedesco, volava con la Luftwaffe, combatteva in tonaca il comunismo sul fronte orientale, scomunicava i teologi progressisti, rinnegava il modernismo e nelle cerchie vaticane lo chiamano Adolf, non è detto che non possa essere un buon papa compatibile con i precetti del socialismo! (ironia da sottolineare, vista la tristezza che dilaga nel movimento).

la scalata

All’inizio del 1983 esplode, nei ranghi ecclesiastici, la polemica sulla “deterrenza nucleare” reaganiana. L’episcopato statunitense gradirebbe una critica aperta del Vaticano alla corsa al riarmo e nell’attesa fa da sé, con un documento in cui giudica “immorale” la minaccia nucleare. Gli Usa si irritano. Ratzinger è fuori di sé dalla rabbia. Chiude a doppia mandata le porte dell’assemblea vaticana e presiede, accanto al “progressista” Casaroli, una due giorni con esponenti dell’episcopato europeo, dal quale esce brandendo un documento che all’unanimità obbliga i colleghi di tonaca americani a prendere atto della “moralità” della politica di Raegan. Il pastore tedesco, a margine della sudata, commentò: “Credo che l’etica, per essere seria, non possa prescindere da un certo realismo”.

Il 26 novembre 1983 è lui ad avere l’onore storico di vergare la parola “fine” nell’antica controversia tra cattolicesimo e massoneria, infliggendo un colpo semi-mortale alla fazione curiale, da sempre attiva in Vaticano con metodi che rasentavano l’agire delle Logge. In pratica il Santo Uffizio di Ratzinger corregge la posizione tollerante del Codice di diritto canonico woytjliano e ribadisce l’inconciliabilità tra Chiesa e massoneria. Da quel momento in poi ogni avversario dell’Opus nelle cerchie infernali del Vaticano potrà essere etichettato come “massone” e ricevere il benservito tramite sempiterna scomunica. Colpo di classe.

A distanza di un anno, il 6 novembre 1984, prosegue l’opera di restaurazione dichiarando pubblicamente chiusa la “primavera conciliare”, madre di decadenza, degenerazioni inaccettabili, fino alla paventata “autodistruzione”: “dopo le esagerazioni di una apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo agnostico e ateo” Ratzinger definisce la restaurazione “auspicabile” e “già in atto”. Ribadirà il tutto, rincarando la dose, nel suo libro-intervista Rapporto sulla fede, pubblicato nel maggio del 1985. L’Opus Dei plaude al suo pupillo e, da quel momento in maniera definitiva, lo candida alla successione di Woytjla.

Il dissidente Hans Kung commentò: “Per Ratzinger, oggi esiste al mondo un unico buon teologo: Joseph Ratzinger. È l’orgoglio dell’uomo di potere che del potere si è impossessato”. Ebbe inoltre il tempo, il silurato Kung, di sottolineare come l’Opus Dei fosse “un’organizzazione segreta, un’istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici” sottratta al dominio dei vescovi grazie allo status di “prelatura personale” concessole da Giovanni Paolo II.

Dopo il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, qualcuno osservò: “è stato seppellito il Vaticano II, ma senza certificato di morte né funerale”. Lo strapotere della fazione opusiana era evidente e straripante.

Un ex-membro dell’organizzazione scrisse: “Non ci sono dubbi che l’obiettivo dell’Obra è di conquistare il potere politico, bancario, militare. Il sogno, la cospirazione machiavellica che muove gli uomini dell’Opus è di entrare in tutti i gangli vitali della vita del Paese, per condizionarli”.

la successione

Nel 1992 il mondo si accorse, suo malgrado, delle precarie condizioni di salute di Karol Woytjla. Il Sommo Pontefice era malato del morbo di Parkinson. Quella stessa estate la guida del pontificato venne di fatto assunta da un direttorio composto da sei eminenti personaggi della curia: Ratzinger c’era. Con lui Dziwisz, Re, Navarro-Valls, Sodano e Ruini.

Il 22 febbraio 1996 al febbricitante Pontefice fu fatta firmare la costituzione apostolica Universi Dominaci Gregis, contenente innovazioni importanti sul futuro conclave e disposizioni sull’elezione del nuovo Papa della cristianità, la più importante delle quali prevedeva l’annullamento del quorum dei due/terzi dei votanti già alla trentaquattresima votazione. In sostanza si facilitava l’avvento della maggioranza semplice. E con la pioggia di Concistori del pontificato polacco, con la nomina di più di un centinaio di nuovi cardinali a maggioranza opusiana, l’Opus si garantiva la successione. Semmai ce ne fosse stato bisogno, giacché a Papa infermo, dal Giubileo in poi, le consultazioni sono avvenute a Papa vivo, in un clima grottesco e tragico. Ciò giustifica la brevità da record del Conclave a cui abbiamo assistito per ventiquattro ore. Un conclave a lungo preparato, preconfezionato, inscatolato dalla macchina bellica dell’Opus Dei per riaffermare la propria assoluta padronanza dell’Impero papale e – secondo qualcuno – organizzato senza un valido avversario dell’aviatore tedesco, per via della debacle della fazione curiale, residuale dopo il pontificato di Woytjla, il Papa dell’Opus.

Magari esclusivamente orientato contro le mire del cardinale Carlo Maria Martini, progressista e innovativo, definito una “sventura” dalla mafia spagnola togata.

Di cui un suo ex-membro dice: “L’Opus è come una droga, e fa anche male alla salute mentale. Ci sono molti che hanno perduto la salute psichica vivendo dentro l’Obra. Ho conosciuto personalmente due casi di persone che hanno avuto gravissime crisi psichiche, vivendo nell’Opus…”Ho un problema di vocazione, padre”, annunciava ogni tanto qualche giovane socio. E loro, quelli dell’Opus, rispondevano a tutti nello stesso modo: “Vai a letto, figliolo, e prenditi un Valium”.

Seguite il consiglio del buon padre e buon pontificato a tutti.

20 aprile 2005

La redazione di “Plebe” – riverente e foggiana

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