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Moody's vivendi

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(18 Maggio 2010) Enzo Apicella
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GLOBALIZZAZIONE E "STATO NAZIONE": TRA POLITICA ED ECONOMIA

(21 Marzo 2015)

globalstate

Il titolo del Corriere della Sera di oggi nella pagina “Economia” recita: “Pirelli, accordo su riassetto e nuovi soci. Arriva l’Opa CHemChina da 7 Miliardi”.
Nel relativo commento, più sotto, tra l’altro, si legge: “…se ne va un altro pezzo dell’aristocrazia industriale del Paese. E più specificatamente di quella milanese. L’acciaio della Falck e la chimica della Snia sono storie di altri tempi. Montedison si è frantumata, Edison è della francese Edf, perfino la gloriosa Comit ha ammainato la bandiera. Verrebbe da commentare “E’ il capitalismo bellezza !”. D’altra parte, il capitalismo italiano è sempre stato un capitalismo senza capitali, protetto dai confini nazionali. Difficile reggere in tempi di globalizzazione. La scommessa è difendere il difendibile e mantenere le aziende radicate in Italia. L’impresa è difficile, ma non ci sono alternative. Scelte chiare e incisive di politica industriale, che toccano al governo possono aiutare”.
E’ bene far notare subito che ChemChina è un colosso a controllo statale: uno dei frutti più importanti del nuovo corso cinese.
Per chi si sta esercitando da anni sul nesso tra globalizzazione, cessione di sovranità dello “Stato- Nazione”, rovesciamento nel rapporto tra politica ed economia questo episodio presenta elementi di contraddizione che vanno analizzati con cura.
Sicuramente siamo di fronte ad un’espressione del processo di globalizzazione nel quadro di uno spostamento di tiro da parte della Cina che dall’Africa si sta orientando verso il mercato europeo: d’altro canto siamo di fronte ad una iniziativa frutto, da parte cinese, di una gestione pubblica dell’economia e nel quadro di una logica di un rafforzamento ulteriore di questo elemento che s’inserisce, nella fattispecie, nella debolezza di un sistema industriale come quello italiano per il quale, da parte di uno dei più autorevoli giornali espressione del settore industriale privato, s’invoca un intervento statale.
Insomma non c’è male: la Cina, potenza economica globale si muove sull’input del capitalismo di stato mentre l’Italia arretra dopo aver accettato la logica del liberismo dentro ad un quadro di indebolimento nel concetto stesso dello “Stato – Nazione”.
L’Europa, dal canto suo, impostata su di una logica strettamente monetarista è ancora in una situazione di deficit (che appare a prima vista incolmabile) sui rispettivi piani nazionali in materia –appunto- di politica industriale.
Intanto, mentre si verificano questi imponenti spostamenti di capitale, la condizione materiale dei lavoratori peggiora e la situazione economica complessiva del Paese appare in una situazione di arretramento complessivo sicuramente non certificata dalle percentuali di crescita o di decrescita del PIL.
L’Italia si trova dunque in una situazione di incapacità di difesa del proprio residuo patrimonio industriale dovuto a un intreccio perverso tra politica ed economia che finisce con il paralizzare scelte di fondo che sarebbero necessarie, soprattutto dal punto di vista dell’intervento del pubblico sia sul piano degli investimenti che della gestione in un quadro complessivo di insufficienza grave anche dal punto di vista della realtà finanziaria(pensiamo alle difficoltà del sistema bancario, stretto anche dalla “questione morale”) e delle infrastrutture.
Un tempo si discuteva sulla natura del capitalismo italiano dividendoci, a sinistra, tra chi lo considerava un “capitalismo straccione” e chi invece lo riteneva capace di una “forte innovazione” al riguardo della quale andava presentato un progetto di alternativa radicale e complessiva.
Erano tempi però nei quali le prospettive di sviluppo erano ben diverse da quelle di adesso e soprattutto era molto diverso il sistema politico.
Lo squassamento del sistema politico che stiamo verificando ai nostri oggi, la sua assoluta subalternità alle istanze più bieche della finanziarizzazione a livello europeo e mondiale, la stessa natura “speculativa” dell’agire politico e dell’autoreferenzialità dei suoi esponenti reclamerebbero una immediata inversione di tendenza di cui non s’intravvedono le linee di prospettiva e i soggetti portanti.
L’Italia vive un deficit forte di qualità democratica che si riflette pesantemente anche sul piano dei rapporti internazionali a tutti i livelli, tralasciando anche per ragioni di economia del discorso l’analisi sui dati di instabilità del quadro internazionali dovuti al riemergere di tensioni belliche di carattere bipolare e della vera e propria esplosione in corso nell’area che va dall’Afghanistan al Nord Africa e nel cuore dell’Africa stessa: laddove la ripresa della politica coloniale e la lotta per l’egemonia in campo energetico stanno producendo danni gravissimi all’economia mondiale facendo crescere anche mostri nati e alimentati dallo stesso Occidente, in particolare nel periodo in cui gli USA hanno esercitato le funzioni di “potenza globale”.
Un quadro di declino complessivo e di vero e proprio pericolo di guerra al riguardo del quale la sinistra, in Italia e in Europa, non appare in grado di proporre un’alternativa, neppure nella più debole accezione riformista.
Il messaggio conclusivo è di pessimismo, essendo anche assente la capacità di esprimere una rappresentanza adeguata dei ceti sociali più deboli, dell’impostare una battaglia di fondo contro la crescita delle diseguaglianze, di collegamento a livello internazionale proprio sui temi della politica industriale, del ruolo del movimento dei lavoratori, dell’essenza stessa di ripensare il rapporto tra politica ed economia.
La sinistra è chiamata a ripensare definitivamente se stessa partendo da alcune considerazioni di fondo: esiste un punto di evidente crisi del sistema che non può non essere rimarcato con forza. Fin qui il liberismo, accettato da tutti, aveva garantito una capacità unificante attraverso lo sviluppo, comunque, delle forze produttive. Il fenomeno di quella che abbiamo definito, fin dalle soglie del millennio, come “globalizzazione” e la richiesta di cessione di sovranità dello “stato nazionale” con la crescita trasversale del potere delle multinazionali, non realizza più questo elemento, neanche attraverso, come abbiamo potuto osservare nei tempi più recenti, rilanciando pesantemente l'industria bellica.
L'incertezza nel controllo dell'uso delle risorse naturali e la difficoltà nel controllo totale dello sviluppo tecnico – scientifico oltre ad una lunga fase di dominio delle “lobby” tecno-teocratiche al vertice della superpotenza, stanno portando il sistema a un rischio, non immediato ma concreto, di implosione.
La sinistra alternativa in Italia e altrove può così disporre di nuove ragioni fondative per ricostruire, in questo difficile frangente, una propria capacità prefiguratrice fornendo, attraverso l'identità e l'autonomia della propria struttura politica, forma, coscienza, realtà sociale, analisi delle contraddizioni.
Questo è vero perché il carattere di classe, il meccanismo dello sfruttamento, non solo perdurano ma giungono, alfine, nella loro pienezza esprimendosi in forme nuove, come stiamo constatando proprio attraverso l’analisi degli episodi fin qui descritti.
Appare, per la prima volta, in evidenza la contraddizione fondamentale del sistema: quella tra il valore d'uso e il valore di scambio; quello della reificazione dell'uomo, del suo lavoro, del suo consumo, che le nuove forme di capitalismo non contemplano minimamente nel loro orizzonte di intervento senza confini.
Una iniziativa che tenga insieme la possibilità di affrontare la contraddizione di classe e l’idea di un meccanismo di crescita alternativo rispetto a quello del passato in una visione non meramente e acriticamente “sviluppista” potrebbe essere messa a punto avendo come primo obiettivo il ritorno al primato della politica.
Forse si potrebbe proporre, almeno a livello europeo, una riflessione comune delle forze della sinistra d’alternativa all’insegna del non limitarsi a difendersi dal liberismo, individuando nuovamente le coordinate di un capitalismo che potrebbe essere ancora combattuto recuperando elementi importanti di un processo teorico di riattualizzazione del marxismo nella sua visione complessiva di “trasformazione dello stato di cose presenti”.

Franco Astengo

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