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[Roma] Dipendenti comunali al voto

(23 Marzo 2015)

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Niente piove dal cielo. Nulla è casuale, per lo meno se ci limitiamo al campo del lavoro salariato e della sua regolamentazione. Se poi questo campo è caratterizzato da una delle crisi sistemiche più violente mai manifestatisi e se la stessa mette al centro della sua irrazionale natura proprio la questione lavorativa e di conseguenza salariale, possiamo sgomberare la mente da ogni ombra di dubbio.

A meno di due mesi di distanza dal voto dei dipendenti del Comune di Firenze[1], il prossimo 25 Marzo gli oltre 24000 dipendenti di Roma Capitale sono chiamati ad esprimersi con un referendum sull’accordo firmato dai sindacati confederali sul nuovo CCDI (Contratto Collettivo Decentrato Integrativo)[2].


Da quando, l’estate scorsa, è stato redatto unilateralmente dalla Giunta capitolina il nuovo contratto decentrato e lo spettro della sua applicazione si è manifestato in tutta la sua logorante natura agli occhi dei lavoratori capitolini, per questi ultimi è stato un periodo di fuoco fatto di scioperi, lotte, proteste. Se ne è parlato forse molto, o forse poco, ma quello che viene da chiedersi è: come cambierà concretamente la vita lavorativa con le nuove regole contrattuali?

Prima di tutto andiamo a capire meglio cos’è questo contratto decentrato.

Contratto decentrato

In breve, il contratto decentrato è la disciplina con cui vengono regolamentati prestazioni aggiuntive, straordinari, indennità, lavoro festivo, buoni pasto e in generale tutto quello che non è normato nel contratto collettivo nazionale ed è legato a quella parte di retribuzione nota come “salario accessorio”.

Le risorse destinate all’erogazione del salario accessorio vanno a costituire un fondo che è determinato da precise disposizioni del contratto nazionale che, ad ogni rinnovo contrattuale, individuano le percentuali di incremento del fondo rispetto all’ammontare complessivo del salario dei dipendenti di un determinato ente. Le risorse monetarie di questo fondo sono divise in risorse “stabili” che servono a finanziare gli impieghi aventi carattere di stabilità (progressioni economiche orizzontali[3], indennità di comparto, ecc.) e risorse “variabili” che finanziano il resto del salario accessorio (produttività, indennità di disagio, progetti, ecc.).

Ma la storia del contratto decentrato non comincia oggi…

Il contratto decentrato di ogni singolo Ente è derivato dalla stratificazione decennale di accordi sui vari istituti che il contratto nazionale demandava alla contrattazione di secondo livello e che hanno impegnato negli anni le singole RSU a dare risposte normative e di riequilibrio salariale a specifiche gravosità lavorative.

Da tutti i Governi degli ultimi 20 anni è stato portato avanti un fortissimo attacco salariale nei confronti dei dipendenti pubblici che si è concretizzato da un lato con il blocco della contrattazione nazionale, dall’altro con l’utilizzo a tappeto delle ispezioni del MEF (Ministero Economia e Finanze). Ispezioni che hanno spulciato anche le virgole dei contratti decentrati siglati nei singoli Enti alla ricerca di pretesti per contestarne la legittimità sia rispetto all’entità dei fondi che rispetto alle modalità di ripartizione degli stessi, arrivando a mettere in mora i singoli dipendenti chiedendogli la restituzione di quanto, a loro avviso, essi avevano indebitamente percepito[4].

In questo lavoro sporco il MEF è stato aiutato dalle interpretazioni restrittive dell’ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) che ha dichiarato molti istituti contrattuali incompatibili con dettati di legge o contrattuali, obbligando le singole amministrazioni a sanare queste difformità.

A tutto questo c’è da aggiungere lo stravolgimento del sistema delle relazioni sindacali che ha sottratto alla contrattazione importanti materie consegnandole interamente alla disponibilità della dirigenza che su molte materie può ormai decidere unilateralmente.

E’ questo il quadro che ha permesso alla totalità delle amministrazioni comunali di ogni bandiera e colore di sferrare l’attacco non solo alle retribuzioni ma anche a molti diritti acquisiti negli anni dai lavoratori.

Va detto, infine, che questo attacco alle retribuzioni è stato sferrato attraverso due vie parallele, c’è un attacco ‘assoluto’ che consiste nella decurtazione del fondo per la contrattazione, ed un attacco ‘relativo’ che consiste nel ridurre o addirittura eliminare molte delle indennità generalmente percepite dalle categorie lavorative più basse subordinandone l’erogazione alla valutazione “meritocratica”.


1. Contratto ‘alla romana’

Per quel che riguarda la situazione romana, dopo un periodo di forte mobilitazione in opposizione al nuovo contratto decentrato proposto dalla Giunta, a Gennaio di quest’anno i sindacati confederali hanno firmato una pre-intesa che smorza leggermente quanto previsto dal contratto unilaterale lasciandone inalterata la struttura, con buona pace delle richieste dei lavoratori.

Andiamo a vedere, quindi, in cosa consiste concretamente il contratto capitolino.

Con le nuove regole si prevedono consistenti “revisioni” sul piano indennità e l’introduzione di due nuove voci che a sentirle sembrerebbero quasi una bella cosa: produttività di sistema e sistema premiale.

La ristrutturazione del contratto decentrato prevede di fatto che il salario accessorio sia legato a maggiori prestazioni. Perciò se lo scorso anno si paventava un taglio netto al salario accessorio - una parte di salario che se azzerata o ridimensionata avrebbe pesanti ripercussioni sulle buste paga dei dipendenti – oggi, con la falsa retorica del “non taglieremo nemmeno un euro agli stipendi dei dipendenti capitolini”, le quote di salario accessorio saranno erogate con modalità discrezionali, sperequative e clientelari.

Questo vuol dire che quella parte di salario spesso erogata sotto la voce di indennità e che nel vecchio contratto era esigibile da tutti i lavoratori chiamati a garantire particolari prestazioni, ora viene erogato come "premio" legato allo svolgimento di maggior lavoro. Prestazioni aggiuntive che se il dipendente è in grado di svolgere non gli daranno maggiore salario ma soltanto il salario che aveva prima!

Concettualmente è molto semplice: maggiore lavoro a parità di salario o stesso lavoro con minore salario.

Che in sostanza vuol dire minore salario per ogni ora lavorata. Qualcosa purtroppo di visto e rivisto in questi tempi di crisi (basti citare quanto accaduto con l'accordo firmato all'Electrolux, in cui i lavoratori devono produrre in 6 ore quello che prima facevano in 8). Quindi noi lavoriamo di più ma veniamo pagati come prima! Ricapitolando, dunque, nessuno verrà pagato di più, ma qualcuno verrà pagato di meno!

Anzi, oseremmo dire, più di qualcuno. Se è vero che il fondo per il salario accessorio aumenta leggermente rispetto al 2014, ci sono due considerazioni importanti da fare. La prima è che essendo erogata come premio di produttività, non tutti i dipendenti potranno ricevere questa quota di salario, ma soltanto i pochi lavoratori che saranno valutati ‘meritevoli’ dai dirigenti in base a criteri decisamente poco oggettivi. La seconda è che l’Amministrazione intende aumentare il numero delle P.O. (Posizioni Organizzative: funzionari di cat. D che svolgono il ruolo di luogotenenti dei dirigenti) sia per controllare di più tutti i dipendenti, che per raggiungere più facilmente gli obiettivi che i dirigenti devono raggiungere per avere il loro "premio" di produttività. Più P.O. significa, però, più soldi nella parte stabile del fondo, ed è matematico, quindi, che ce ne saranno di meno in quella variabile destinata a pagare la produttività.
Meno soldi per meno persone.

Ma non è tutto, anche se già questo ci fa intuire il peggioramento delle condizioni lavorative e l'arretramento dei diritti verso cui si sta andando.

Il sistema premiale prevede, inoltre, l'erogazione del salario accessorio non per intero, in quanto una parte (chiamata quota A che va dall’80% al 95% a seconda della categoria) verrà erogata mensilmente, mentre il resto (chiamato quota B) a consuntivo, cioè quando sarà appurato che il lavoro svolto è stato portato completamente a termine.

Il nuovo contratto delinea così un accentramento del potere decisionale nelle mani dei dirigenti chiamati a valutare i lavoratori e porterà alla creazione di altre figure a diretto contatto con l’Ente che si faranno carico del compito di controllare e assicurarsi che tutto fili liscio.

Questa 'meritocrazia al ribasso' farà sì, inevitabilmente, che emergano forme di competitività e di discriminazione tra lavoratori, e la retorica del diligente lavoratore contrapposto al fannullone divideranno sempre più i colleghi creando un clima di invidia reciproca e inimicizia sul posto di lavoro. Si avrà sempre più la scomparsa della solidarietà e di un'ambiente lavorativo "tranquillo".

Un esempio di tutto ciò è possibile ricavarlo dalle testimonianze, raccolte dai compagni di pane-rose, di una maestra degli asili nido (settore fortemente colpito dalla ristrutturazione contrattuale):

"Le condizioni lavorative delle educatrici sono altamente a rischio soprattutto dopo il nuovo contratto decentrato unilaterale. Intanto il malessere generale si respira in tutte le strutture, ed è un malessere dovuto all'altissimo carico di lavoro che lo stesso comporta qualora venga poi attuato (...)"
Le parole d'ordine sono produttività e flessibilità oraria. Viene prevista una figura PO, ossia una "super maestra" o "super educatrice" corrispondente alla categoria c5 che, oltre a ricoprire in pieno la sua funzione di educatrice come le altre sue colleghe, ha il compito di fare da tramite con il municipio e di organizzare l'andamento del buon funzionamento scolastico. A seguito della spending review e del Salva Roma sono previste trenta ore lavorative invece di ventisette, di cui tre da utilizzare per coprire le colleghe assenti. Perciò si richiede reperibilità di un'ora in entrata quando il proprio orario ricade a metà mattinata (cioè alle 11). Inoltre, aumentano anche le ore di formazione e monte ore annuo da centoventi ad un totale di centottanta. Non sono previste sostituzioni nel primo giorno di malattia, quindi non esisterà più un tetto massimo nel rapporto numero di bambini - educatrici. Il passaggio da asili di qualità ad asili-pollaio è inevitabile."


Aumentano gli orari, il salario si fa arduo, cresce lo stress e peggiora il servizio.

Arrivati a questo punto ci chiediamo, a chi giova questa meritocrazia?

Come offrire un servizio più efficiente se viene chiesto ai lavoratori di lavorare di più a parità di salario, come offrire un servizio qualitativamente superiore quando chi lo esegue viene massacrato da carichi di lavoro quotidiani eccessivi, in un ambiente in cui vige una competizione distruttiva e vana ed un controllo perpetuo da parte dei superiori? Tutto questo non giova né a chi il servizio lo offre né a chi lo riceve, ma soltanto a chi ci specula e guadagna, spogliandolo per intero di quell'abito sociale di cui "il servizio offerto alla cittadinanza" viene vestito dai ciarlatani dell'istituzione turno.

Da parte nostra, davanti a tutto questo, non possiamo che tentare di invertire questa logica del “lavorare di più e guadagnare meno".

In che modo? Cercando di riappropriarci del nostro tempo e del nostro lavoro, ma soprattutto del nostro salario. L'esatto contrario di ciò che prevede questa ristrutturazione contrattuale.

Facendo il verso ad un famoso impiegato totalmente annientato dalla propria realtà lavorativa, affermiamo con rabbia che "il nuovo contratto decentrato è una cagata pazzesca!"

Riprendendo le parole di un sindacalista dell’USI, “l’unico modo per cambiare davvero e migliorare sostanzialmente questo CCDI è rifiutarlo e ottenere così di riaprire la trattativa su nuove basi. Infatti, se è vero che il D.lgs. 165/2001 consente alle amministrazioni pubbliche di imporre contratti unilaterali, impone anche che esse continuino le trattative fino alla firma condivisa di un nuovo testo contrattuale.”

La partita, dunque, non è ancora chiusa, si va ai supplementari. Dalla parte di chi lotta, attendiamo l’esito di questa aspra e combattuta battaglia, nella quale ci si sta giocando molto più di quello che può apparire un cambio delle regole contrattuali, ci si sta giocando la dignità, la qualità del lavoro e della propria vita. Perché ciò che sta avvenendo a Roma è quello che è successo o sta per succedere in tutti i Comuni italiani[5], per cui è necessario dare una risposta complessiva e generalizzata che vede coinvolti i lavoratori e le lavoratrici di tutti i Comuni d’Italia.

Come sempre, davanti all'attacco dei diritti: Uniti e inflessibili!



[1] http://www.inventati.org/cortocircuito/2015/02/02/i-cobas-del-comune-di-firenze-contro-la-truffa-del-contratto-aziendale/

[2] http://www.romatoday.it/politica/contratto-decentrato-informazioni.html

[3] Le Progressioni Economiche Orizzontali o PEO sono istituti che dal CCNL del 1999 hanno sostituito gli scatti d’anzianità e sono, quindi, i passaggi economici all’interno delle categorie d’appartenenza.

[4] Nel 2013 la Corte dei Conti ha contestato al Comune di Firenze un danno erariale di 9 milioni di euro per le indennità illegittime erogate dal 2002/2003 al 2012. La procura della Corte ha ritenuto che anche i sindacalisti possono essere responsabili delle scelte della contrattazione integrativa di ente e che – se accertato il dolo o la colpa grave – devono pagare alla stessa stregua dei funzionari o degli organi di governo dell’amministrazione. La vicenda fiorentina è probabilmente il primo coinvolgimento ufficiale di sindacalisti in un procedimento di danno erariale.
Attualmente la messa in mora degli oltre 3000 dipendenti pubblici del Comune di Firenze è sospesa fino al 31 Ottobre 2015.

[5] Si veda il caso di Pisa: http://pubblicoimpiego.cobas.it/pubblicoimpiego/ENTI-LOCALI/INDICE/Volantini/Contratto-decentrato-al-comune-di-Pisa-la-parola-ai-lavoratori-e-alle-lavoratrici

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