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IRAQ. Il diktat Usa alle milizie sciite a Tikrit e il doppio standard verso l’Iran

(27 Marzo 2015)

Washington accetta di partecipare alla ripresa della città in cambio della ritirata dei gruppi sciiti guidati da Teheran. La cooperazione con gli Ayatollah in Iraq fa da contraltare alla repressione della loro influenza in Yemen.

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di Chiara Cruciati

Tikrit val bene una breve ritirata: buona parte delle milizie sciite irachene ha rinunciato alla prima linea nella controffensiva governativa per riprendere la città sunnita occupata dall’Isis. Lo ha chiesto Washington in cambio del sostegno aereo finora negato a Baghdad.

Il generale statunitense Austin, capo del Commando Centrale Usa, ne ha parlato ieri al Senato: gli Stati Uniti hanno accettato di partecipare con i raid aerei alla ripresa di Tikrit, se i miliziani sciiti iracheni e le loro guide iraniane si fossero ritirate dalla prima linea, occupata fin dall’inizio dell’operazione. “Non mi coordinerò, né spero lo faremo mai, con le milizie sciite”, ha detto Austin, smentendo la realtà sul terreno: la richiesta di ritirata è stata accolta dai pasdaran iraniani e dalle potenzi milizie sciite irachene, pur di vincere definitivamente la resistenza islamista a Tikrit, comunità sunnita e città natale di Saddam Hussein.

Così in Iraq va in scena un spettacolo ben diverso da quello in corso in Yemen: se nel piccolo paese del Golfo, Washington appoggia l’operazione militare saudita in chiave anti-Iran, in Iraq il coordinamento militare con Teheran – seppur ufficioso – esiste. Perché l’obiettivo è lo stesso: cacciare lo Stato Islamico dal paese. Poco importa se il prezzo da pagare è un rafforzamento dell’asse sciita guidato dall’Iran che sta segnando più di una vittoria sul campo di battaglia iracheno. Un prezzo che va bilanciato, soprattutto se sul piatto della bilancia si mette anche il prossimo accordo sul nucleare: in Yemen l’influenza iraniana e il potere militare e diplomatico conquistato dalla leadership Rouhani vanno ridotti. Un colpo al cerchio e uno alla botte.

A Tikrit la battaglia prosegue. A inizio marzo sembrava si dovesse trattare di un’operazione lampo, ma l’esercito iracheno, sostenuto da pasdaran iraniani, peshmerga kurdi e miliziani sunniti e sciiti, è stato costretto a rallentare la marcia per permettere l’arrivo di unità speciali addestrate al combattimento urbano. La resistenza opposta dall’Isis era attesa (si parla ancora della presenza del califfato nel 40% della città), ma lo stallo stava durando troppo. Da qui la decisione della Casa Bianca di intervenire su richiesta di Baghdad, dopo il rifiuto a partecipare all’operazione ufficialmente per il timore di un acuirsi dei settarismi interni iracheni.

La condizione posta da Washington – l’abbandono sciita della prima linea – si accompagna ad una seconda imposizione: le milizie sciite non dovranno partecipare alla stabilizzazione della città una volta strappata all’Isis. Una richiesta difficilmente accettabile: Baghdad intende far sentire la propria presenza e non può farlo soltanto con l’esercito regolare, figlio delle purghe Usa nel post-Saddam e non certo pronto a gestire tali operazioni. Il premier al-Abadi ha bisogno dei miliziani sciiti, anche se questo significherà un intensificarsi delle divisioni religiose interne: le comunità sunnite in molti casi non hanno sostenuto l’avanzata delle truppe governative per timore di ritorsioni da parte sciita e di un ulteriore marginalizzazione politica.

Le potenti milizie sciite conoscono bene il loro ruolo e il potere derivante dall’eventuale riconquista di Tikrit: in città sono state dispiegate 30mila truppe, di cui ben 20mila miliziani sciiti gestiti dall’Iran. Per questo, se le Kataib Hezbollah e le Asaib Ahl al-Haq hanno sospeso la loro partecipazione all’operazione in città pur criticando il governo di Baghdad per aver accettato l’imposizione Usa, le milizie Badr (direttamente gestite e armate da Teheran) hanno già fatto sapere di non voler arretrare. Soprattutto dopo aver fatto quasi tutto da soli.

“Le nostre truppe si ritireranno dalla prima linea, ma non lasceranno il campo – ha detto Naim al-Aboudi, portavoce delle milizie Asaib Ahl al-Haq, aggiungendo che i suoi miliziani manterranno le loro posizioni intorno a Tikrit – Quando abbiamo discusso con il governo iracheno della nostra partecipazione alla battaglia, abbiamo posto come condizione che gli Usa non avrebbero interferito perché noi non ci fidiamo di loro”.

A preoccupare le fazioni sciite è che il modello Tikrit possa essere lo stesso applicato a Mosul, principale target di Baghdad. Non è un mistero che al-Abadi veda nella controffensiva nella città di Saddam la prova generale per riprendere la seconda città irachena, Mosul, da giugno roccaforte dell’Isis. L’Iran e le milizie sciite stanno compiendo un consistente sforzo per vincere da soli la guerra irachena (i risultati ottenuti in poche settimane sono di gran lunga migliori di quelli archiviati dalla coalizione guidata dagli Usa in mesi di attacchi) e non intendono regalare la vittoria a Washington.

Nena News

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