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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Fra la trappola della liquidità e quella della miseria che cresce

(8 Aprile 2015)

L’attuale governo Renzi, espressione degli interessi della borghesia italiana, come pure tutti quelli che l’hanno preceduto, è tutto impegnato a uscire dalla crisi economica iniziata a cavallo del 2007 e del 2008. Poiché gli “addetti ai lavori” continuano a sostenere che si tratta solo di una crisi di “sottoconsumo”, pianificano strategie economiche secondo quella convinzione.

È certo vero che centinaia di migliaia di disoccupati, cassaintegrati, sottoccupati, pensionati al minimo con le loro famiglie spendono di meno. La declamata soluzione anticrisi del loquace Matteo è stata quindi distribuire in busta paga ai lavoratori gli 80 euro mensili, spendendo i quali si sarebbero rivitalizzati i consumi interni e la produzione e infine creati nuovi posti di lavoro.

Se bastassero quelle poche decine di euro a rimettere in moto l’economia italiana significherebbe che la crisi non è poi così grave. La realtà dimostra ben altro. Inoltre, questi 80 euro vengono fuori da una riduzione della tassazione sul lavoro, ma buona parte di essi va a coprire l’aumento di tasse, imposte e tariffe, e quindi alla fine si tratta di una semplice partita di giro tra i diversi soggetti dell’amministrazione nazionale, regionale e comunale e ben poco rimarrà ai lavoratori.

Sicuro di aver trovato la formula vincente, il nostro gagliardo premier continua proponendo che ai lavoratori vada mensilmente in busta paga la quota del TFR, cioè la liquidazione. Non è ancora riuscito a superare la brillantissima proposta fatta una decina d’anni fa dall’allora ministro Tremonti quando invitò gli italiani ad aprire un’ipoteca sulla propria abitazione per destinare quei soldi ai consumi e così rivitalizzare l’economia! È chiaro che si tratta solo di palliativi, che al più ritarderebbero il precipizio della crisi.

A riprova della gravità della situazione ritornano con una certa frequenza negli articoli economici i riferimenti a due nozioni della loro economia: la “trappola della povertà” e la “trappola della liquidità”

Nei loro manuali la trappola della povertà è così descritta: «Situazione riscontrabile quando non vi è alcun incentivo per le persone con redditi bassi o nulli a cercare un lavoro, in quanto ogni reddito addizionale sarebbe compensato da perdite di benefici sociali e aumenti delle imposte». Eliminando ogni residua forma di assistenza pubblica si costringerebbero gli strati più bassi della classe operaia a cercarsi un lavoro qualsiasi, con generale riduzione dei salari. Il paradiso dei padroni.

La trappola della liquidità, cosa di maggiore sostanza, è invece così descritta: «È una situazione economica in cui gli operatori economici trattengono ogni liquidità aggiuntiva di moneta, e la politica monetaria non produce più effetti reali sull’economia e non è più in grado di influenzare la domanda aggregata. Il termine liquidity trap (trappola della liquidità) venne coniato dall’economista inglese John Maynard Keynes negli anni ‘30. Nella trappola della liquidità gli operatori economici hanno un’aspettativa negativa del futuro e, piuttosto che investire o spendere, tendono a trasformare qualsiasi aggiuntiva offerta di moneta (politica monetaria espansiva) in risparmio e in tesaurizzazione, anziché per finanziare degli investimenti produttivi».

«Questo comportamento degli imprenditori è definito da Keynes come “animal spirit” ed è perfettamente razionale dal punto di vista individuale ma irrazionale e dannoso dal punto di vista sociale. La trappola della liquidità scatta a livelli molto bassi del tasso d’interesse. In questa particolare situazione (tasso d’interesse al minimo) nessun operatore si attende un ulteriore ribasso del tasso di interesse. Quando il tasso d’interesse è già molto basso, qualsiasi ulteriore politica espansiva dell’offerta monetaria non contribuisce a ridurre il tasso d’interesse e, quindi, non genera effetti reali sulla produzione e sull’occupazione. Il mercato si dimostra poco reattivo alle variazioni del tasso d’interesse. In estrema sintesi, se in economia viene meno la fiducia, nemmeno un tasso d’interesse pari a zero può convincere le imprese a investire, le banche a finanziare e i consumatori a spendere».

Lo stesso Keynes era fortemente critico sulle politiche economiche espansive e di ribasso dei tassi d’interesse mentre sosteneva il rilancio della produzione attraverso un aumento della spesa pubblica. La costruzione del ponte sullo stretto di Messina, la barriera del Mose a Venezia, l’Alta velocità Torino-Lione, ecc. si riferiscono a politiche economiche di stampo keynesiano; quelle del continuo abbassamento del tasso di interesse delle banche centrali come la Fed negli Usa e quelle recenti di Draghi alla Bce, vanno nella direzione opposta, accentuando gli effetti negativi della trappola della liquidità.

Ma il nocciolo del problema non è lì e si confonde la causa con l’effetto. Per il marxismo l’origine di questa grande e lunga crisi è la sovrapproduzione di merci e di capitali. Le prime intasano i magazzini e i mercati, i secondi non trovano da investirsi ad accettabili tassi di profitto, ormai prossimi allo zero; ad una gigantesca estensione della massa dei capitali mondiali corrispondono profitti relativi sempre più bassi. Ma questo i borghesi non lo possono ammettere, perché dovrebbero riconoscervi il fallimento dell’intera economia capitalista.

Sappiamo come alla fine il Capitale, nazionale e mondiale, risolve la sua crisi, con una guerra generalizzata per distruggere capitali merci e capitali uomini, per poi riprendere un ulteriore ciclo di ricostruzione.

Le proposte di Renzi rivelano l’incapacità anche della borghesia italiana di approntare un qualsiasi piano economico, perché nel suo complesso la classe dominante non ha più risorse ed energie, situazione che sarebbe favorevole per il proletariato per scalzarla e abbatterne il potere!

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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