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Unire la sinistra, rompere col centro

Intervento all'Assemblea nazionale del 15 gennaio promossa dal Manifesto

(24 Gennaio 2005)

La grande importanza di questa nostra assemblea sta nel fatto di unire in un comune confronto la sinistra sociale e politica di questo paese.

Un insieme di forze diverse, espressioni di diverse tradizioni, culture, orientamenti, ma accomunate da un fatto prezioso: l'aver difeso, nonostante tutto, dentro la svolta d’epoca internazionale e nazionale degli anni ‘90 un'appartenenza di campo; l'aver conservato una comune radice nelle classi subalterne, nel movimento operaio, nei movimenti di lotta; e quindi l'esser state insieme in questi anni dalla stessa parte della barricata, in quella nuova stagione che dopo quasi 30 anni di arretramenti e sconfitte ha visto riaffacciarsi una giovane generazione in Italia e nel mondo portatrice di un vento nuovo.

E' stata certo in Italia una stagione di lotta in primo luogo, contro il governo di Berlusconi, quell’ibrido reazionario di cesarismo e populismo di cui tutti insieme rivendichiamo la cacciata incondizionatamente (anche col ricorso, se necessario, a forme di accordo tecnico-elettorale).

Ma è stata anche - ecco il punto - una stagione di lotta che ha visto le direzioni dominanti del centrosinistra dall'altra parte della barricata, o estranee o assenti, quasi separate da uno spartiacque, che ha attraversato, persino simbolicamente, tutti i luoghi e i passaggi dei movimenti: dalle strade di Genova del luglio 2001 al referendum per l'estensione dell'articolo 18; dalla domanda del ritiro immediato e incondizionato delle truppe dall'Iraq al rifiuto di quella Costituzione europea del libero mercato che ha visto e vede in Romano Prodi il massimo sacerdote e custode.

E se noi oggi siamo qui, in questa assemblea, con questa sua composizione, è perché qui ci ha portato non solo la spinta dei movimenti ma la contraddizione enorme tra le loro domande e il centro liberale dell'Ulivo.

Ecco allora, a me pare, il primo interrogativo che ci sta di fronte.

Non tanto come organizzare le relazioni tra noi, al di là della giusta proposta di una camera permanente di consultazione che è stata avanzata e che condivido. Ma dove andare.

Chiedo serenamente: può una sinistra che si vuole alternativa o radicale, perseguire nel nome dei movimenti, una prospettiva di governo con forze opposte ai movimenti stessi e alle loro ragioni?

Possiamo, in nome della pace e magari della non violenza, stringere un patto di governo con chi ha rivendicato in questi giorni le guerre umanitarie degli anni '90 dichiarandosi pronto a rifarle, o con chi chiede l'aumento delle spese militari, l'esercito europeo, l'Europa come potenza, tutti punti programmatici presenti non ieri ma oggi, nero su bianco, nel programma della Margherita e della FED?

Possiamo, in nome dell'antiliberismo, realizzare o sostenere un governo comune con chi rimprovera a Berlusconi un'eccessiva timidezza nelle liberalizzazioni?

Si dice che non si debbono avere pregiudiziali al confronto e che quel che conta sono i programmi. Ma la vera pregiudiziale, a me pare, sta nell'aver costituito una “Grande alleanza democratica” di governo senza la parvenza di un programma comune su nessuna - dico nessuna - delle ragioni poste dai movimenti. La vera pregiudiziale sta nel continuare a invocare il confronto formale con i liberali dell'Ulivo, ignorando l'esito del confronto reale che in tutti questi anni vi è stato, nei movimenti e nelle lotte.

Vorrei chiedere qui a tutti i compagni/e presenti: se dopo la più grande stagione dei movimenti degli ultimi 30 anni, Romano Prodi rivendica letteralmente una "ventata di mercato e concorrenza", D'Alema loda il maggioritario, Rutelli equipara scuola pubblica e privata, possiamo continuare a parlare di possibile contaminazione dei liberali da parte dei movimenti, o dobbiamo finalmente elaborare il lutto?

La verità, a me pare, è che tra le ragioni dei lavoratori e i programmi di Prodi non c'è un’insufficienza di confronto: c’é una diversa ragione sociale, un'opposta rappresentanza di classe. E ciò che abbiamo sperimentato nella legislatura precedente, sotto i governi Prodi, D’Alema, Amato, non è “una politica sbagliata”, ma la politica di un’altra classe.

Attenzione, il rischio è enorme.

Mentre noi affidiamo a Prodi le chiavi immaginarie di un altro mondo possibile, nel mondo reale della società e della politica italiana si sta dispiegando un processo di alternanza guidato dai poteri forti che mira al cuore dei movimenti di questi anni.

La Confindustria di Montezemolo, tutte le grandi banche, i vertici della grande stampa rimproverano a Berlusconi di aver rialimentato il conflitto sociale e chiedono il ritorno alla concertazione. Per questo puntano a un nuovo governo di centrosinistra che ricostruisca il patto sociale con la Cgil, metta in riga la Fiom, subordini ogni conflitto al rilancio dell'impresa e del capitalismo italiano.

Industriali e banchieri vogliono rimpiazzare Berlusconi, ma dal versante dei propri interessi, contro i lavoratori, i movimenti, le loro lotte. E per fare questo hanno bisogno di eliminare in Italia l'opposizione sociale e politica. Chiediamoci perché tutti i dirigenti liberali della Gad ignorano ogni ipotesi di patto elettorale contro Berlusconi e offrono invece ministeri alla sinistra di alternativa; è perché vogliono dissolvere l'opposizione col metodo antico dell'integrazione; è perché vogliono privare i movimenti di canali di espressione e di resistenza; è perché vogliono corresponsabilizzare la sinistra per un'intera legislatura, mani e piedi legati, a una politica di concertazione contro i movimenti.

A chi pone giustamente, come tutti noi, il primato della cacciata di Berlusconi, vorrei dire che proprio il perseguimento della Gad ha indebolito e non rafforzato l'opposizione al Governo.

A giugno-luglio Berlusconi e la sua maggioranza erano a pezzi. Ma nessuna forza della sinistra ha puntato alla sua caduta. Nessuno ha promosso iniziativa e mobilitazione. Nel mentre Prodi, incensato a sinistra, augurava pubblicamente a Berlusconi di durare fino al 2006: magari per completare il lavoro su pensioni, sanità, enti locali, in modo da garantire al futuro eventuale governo della Gad, un rapporto di forza più favorevole a fronte di un movimento operaio piegato e sconfitto.

Il risultato di tutto questo è stato disastroso: il governo Berlusconi non solo è sopravvissuto ma ora rilancia la propria offensiva, mentre tutte le preziose dinamiche di movimento della primavera scorsa segnano il passo.

Vedo allora, e concludo, l'esigenza di un cambio di rotta.

Il tema centrale che la situazione politica ci pone, a me pare, non è quale "contributo programmatico" dare a un governo Prodi-Montezemolo nell’eterna illusione di condizionare il Centrosinistra, ma come rilanciare, da oggi, un'opposizione di massa che miri non solo a partecipare ma a vincere; un’opposizione che recuperi e rilanci le potenzialità di quelle lotte radicali e a oltranza, che tanti – anche tra noi - ritenevano impossibili, ma che a Scanzano, in Fincantieri, a Melfi, hanno dimostrato di saper piegare il governo o il padrone; un'opposizione che finalmente unifichi attorno a una comune vertenza generale la domanda di salario, di salario sociale, di abolizione di quelle leggi di flessibilità e precariato, a partire dal Pacchetto Treu, che proprio il centrosinistra ha introdotto e che Berlusconi ha esteso e aggravato; un'opposizione che non si limiti a chiedere “pace” in Iraq, ma riconosca il diritto di resistenza e di autodeterminazione del popolo iracheno, denunci gli interessi italiani in Iraq a partire da quelli dell'Eni, sollevi lo scandalo dei crimini di guerra in Iraq, quelli americani e inglesi di Falluja, ma anche quelli che sono avvenuti all'ombra della bandiera tricolore…

Ecco: solo il rilancio di un’opposizione vera, di una vera e propria prova di forza, può ambire a cacciare Berlusconi dal versante dei movimenti e non di Montezemolo. Solo lo sviluppo di questa opposizione radicale e di massa può rovesciare i rapporti di forza e aprire la prospettiva di un'alternativa vera, basata sulle ragioni dei lavoratori e dei movimenti, sulla loro autorganizzazione, sulla loro forza e quindi in prospettiva sul loro potere.

Ad Asor Rosa che qui ha rivendicato un “riformismo radicale” di governo, vorrei dire che da trent’anni il riformismo è una parola vuota; che sotto i cosidetti governi “riformisti” che tanti a sinistra hanno esaltato, da Jospin a Lula, sono passate controriforme sociali e politiche, quelle sì radicali, tanto più pesanti perché prive di opposizione; che le uniche conquiste e riforme parziali ottenute dalle masse oppresse a qualunque latitudine del mondo sono venute non dai governi di coalizione con i liberali ma dall’opposizione a quei governi; che solo le lotte di opposizione radicale che si ponevano di fatto in rottura con le classi dominanti hanno portato risultati concreti, come nell’autunno caldo degli anni ’70, nello sciopero ad oltranza dei lavoratori francesi del gennaio del ’95, nelle sollevazioni popolari di Argentina e Bolivia.

Oggi, più di ieri, le riforme possibili non sono figlie del riformismo ma di una lotta per un’alternativa di società e di potere che minacci il potere delle classi dominanti. Perché oggi più di ieri le classi dominanti sono disposte a concedere qualcosa solo quando hanno paura di perdere tutto.

Per tutto questo c'è bisogno di una sinistra alternativa, e della sua unità.

Non di una ennesima sinistra del centrosinistra, ma di una sinistra alternativa al centro.

Non di una sinistra che si aggrappi al pendolo del bipolarismo, ma di una sinistra che si assuma la responsabilità di rompere con Prodi, di unire le proprie forze in un polo autonomo anticapitalistico, di candidarsi a rappresentanza di un blocco sociale alternativo a partire da quegli undici milioni di lavoratori, giovani, donne, che un anno e mezzo fa si schierarono per l'estensione dell'articolo 18 contro tutte le forze dominanti del paese, di Centrodestra e di Centrosinistra.

Undici milioni di lavoratori, giovani, donne che non chiedono solamente di essere contati nelle urne, ma chiedono a tutte le proprie rappresentanze e direzioni, nessuna esclusa, di non essere traditi nelle proprie speranze come tante volte in passato.

Questa è la domanda semplice e vera a cui tutti dobbiamo rispondere.

Marco Ferrando

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