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RENZI E LA BUONA SCUOLA - PER E DEL LIBERO MERCATO

(27 Aprile 2015)

Premesso che la pubblica istruzione non è mai stata uno dei grandi temi della nazione, bisogna dire che essa è da sempre oggetto dei tagli più assidui da utilizzare per qualsiasi altra cosa le cui risorse risultino insufficienti. Soggetta a un continuo svilimento della sua qualità e delle sue funzioni, messi nell’angolo i docenti al punto che nell’attuale collettività diventa imbarazzante dire che il proprio lavoro è quello dell’insegnamento, a partire da Tullio De Mauro, ministro nel governo Amato nel 2000, che affrontò quello che è definito il passaggio dalla vecchia alla nuova scuola, la pubblica istruzione è stata oggetto di una serie di riforme e controriforme il cui comune denominatore è stato il continuo degrado.

Da De Mauro in poi si e passati, per differenti colorazioni politiche, attraverso una serie di ministri che hanno brillato, alcuni per incompetenza, altri per opacità, altri ancora per cattiva volontà; due nomi su tutti, una garanzia: Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti e Mariastella Gelmini. La prima ha a suo tempo varato una controriforma della scuola abolendo quanto in maniera timida e insufficiente era stato fatto da Luigi Berlinguer, suo predecessore, ma il capolavoro lo si è avuto con Mariastella Gelmini che dette il via a una politica di tagli al personale riuscendo a ridurre gli organici di circa 87.000 insegnanti e 44.000 tecnici. Ma poiché al peggio non vi è mai fine, tra incompetenze e opacità siamo finalmente arrivati a Stefania Giannini, (ex PD ora Scelta Civica) attuale ministro del Governo, Renzi, sì, proprio lei, quella che per dirla in maniera gioiosa è il ministro della “Buona Scuola”. Tra job act, tutele crescenti e performance di varia natura, adesso il governo Renzi mette mano anche alla scuola, peccato solo, che la “Buona Scuola”, abbia sin qui prodotto un malumore diffuso tra gli addetti ai lavori, malumore che riempie le piazze e non solo di proteste sindacali.

Oltre a scioperi e cortei, c'è la protesta silenziosa, spontanea e auto-organizzata dei lavoratori della scuola, che si è espressa in un flash mob, che ha celebrato il funerale della scuola statale in oltre cento piazze d’Italia per poi proseguire con uno sciopero nazionale in cui un corteo di diecimila tra docenti e personale ATA, ha sfilato a Roma per dire che "la scuola la cambiamo noi".
Come se ciò non bastasse alla Festa dell'Unità di Bologna, il ministro Giannini è stata contestata da alcune decine di persone, studenti e insegnanti del Cobas scuola, che rumoreggiando con pentole e coperchi le hanno, di fatto, impedito di parlare, sino al punto, che dopo una ventina di minuti, il dibattito è stato annullato, ma in tutto questo il governo va avanti: Davide Faraone, sottosegretario all'Istruzione, promette che il ddl diventerà legge a giugno. Se si ragiona su quelli che il governo contrabbanda come punti qualificanti della sua riforma non è difficile capire come, per l’ennesima volta, ci si trovi di fronte a una storia di diritti calpestati.

Fiore all’occhiello della “Buona Scuola” è quella che gli addetti ai lavori di riforma definiscono l’ottimizzazione del lavoro da parte di ogni docente; in effetti, tutto parte da qui, viene espressamente citato il fatto che questi dovranno esser messi in condizione di “svolgere il proprio lavoro nelle condizioni migliori”, con orari e organizzazione del lavoro adeguati alle esigenze educative. In realtà si stabilisce un premio per una ristrettissima minoranza di “docenti eccellenti”, valutazione lasciata alla totale discrezione del Dirigente Scolastico, cosa questa che giocoforza innescherà una logica di competizione tutta tesa a entrare nei favori della dirigenza per accedere all'eccellenza, suddivisa per gradi tra staff, mentor e tutor.

Nella “Buona Scuola” sono previsti Albi Provinciali, dai quali i dirigenti sceglieranno i docenti da assumere per poter poi formulare il POF (piano offerta formativa) triennale, i docenti, il cui incarico sarà triennale, potranno alla fine esser riconfermati, dopo esser passati per il giudizio di un nucleo di valutazione, una commissione - di altri docenti - nominata dal Dirigente e da lui presieduta, mentre in tutto questo, coloro che non saranno confermati, privi di collocazione saranno utilizzati per coprire eventuali supplenze fino a dieci giorni, anche in ruoli diversi da quello di appartenenza, praticamente andranno a mantenere il 'silenzio in classe', o per usare un termine del gergo scolastico, faranno da tappabuchi, il tutto nello spregio totale di qualsiasi primordiale idea della funzione didattica.

Sostenere che tale concentrazione di potere nelle mani di un Dirigente sia una cosa indecente è dir poco e a tutto questo si aggiunge che la stessa logica di "conquista dell’eccellenza" è prevista anche per gli studenti con meccaniche premiali e percorsi esclusivi. Una volta stabilita quale sarà la dinamica che riuscirà a rendere la scuola un luogo di feroce e positivista esclusione e selezione, l’altro punto qualificante è (così come la raccontano Renzi e il suo ministro) il fatto che il sistema formativo dovrebbe essere parte integrante del territorio. Questa è questione esiziale, perché dal momento che comunque il governo non ha intenzione di investire soldi nella scuola, o comunque di metterci il minimo indispensabile, il pensatoio del ministero si è inventato l' espressione di "simbiosi con il territorio" per chiamare in maniera diversa il fatto che le scuole, se vogliono soldi, devono cercarsi uno sponsor.

Tutto ciò condizionerà fortemente la formazione, perché, linee generali a parte, la scuola sarà sempre più tesa a compiacere gli sponsor, ottica nella quale, si è comunque già entrati, se si tengono presenti i nuovi sistemi di valutazione messi a punto dall'INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) ispirati, senza alcuna incertezza, a una logica d’azienda, che favorisce e attiva la competizione come metodo, perché solo così potranno emergere quelle “eccellenze” di cui il Paese ha bisogno, tutto questo, ovviamente, frantumando le esigenze e le aspirazioni di chi, per un motivo o un altro, (studenti, Istituti, lavoratori) non è riuscito a correre come gli altri, rimanendo quindi, in un limbo di emarginazione sociale.
L’elenco dei guasti previsti è lungo, ma il tutto può esser riassunto in unico concetto: il modello cui si ispira il governo Renzi è quello della scuola impresa e a questo concorrono una serie di meccanismi premiali che disperderanno una volta e per tutte quelle che sono le già disattese istanze collettive, rendendo il docente un mero esecutore di direttive e di ordini stabiliti altrove, “impiegati dediti al lavoro esecutivo di somministrazione di programmi e moduli didattici preparati, fin nel dettaglio, da altri”.

La “Buona Scuola” non ha tenuto conto di una peculiarità determinante: il docente è della classe lavoratrice, quell'espressione a cui è affidato il compito delicato e complesso ad un tempo, dell'edificare coscienze, aspetto della questione che si fa evidentemente secondario, infatti, un docente che sia in grado di educare i propri studenti nel faticoso esercizio del pensiero, alla fine produce un danno al sistema, tanto da diventare prioritario ed urgente, costruire una scuola che si tenga lontana dalle reali esigenze della società e che piuttosto, complice e miope e distante da un pur minima ridefinizione di giustizia sociale, faccia da buona guardia di valori borghesi, sottesi tutti, oramai pienamente, alle regole del libero mercato.

PCL FIRENZE

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