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Primo Maggio 2015 - I proletari non hanno da perdere che le loro catene e un mondo intero da conquistare

(1 Maggio 2015)

Il capitalismo porta il proletariato alla miseria e prepara una nuova guerra mondialeI lavoratori devono difendere oggi le proprie condizioni di vita per poter domani distruggere il potere mondiale del capitale!
Il Primo Maggio è il giorno in cui i lavoratori di tutto il mondo, al di sopra dei confini di nazione, razza, religione, ribadiscono di appartenere ad una stessa classe, di essere legati dagli stessi interessi, di condurre la stessa battaglia per l’emancipazione dallo sfruttamento e dalla miseria.
Questo primo maggio 2015 trova i proletari, in tutti i paesi, in una situazione che da molti anni peggiora a causa della crisi che ha colpito il capitalismo mondiale.
I piccoli segnali di ripresa della produzione industriale che provengono dagli Stati Uniti d’America sono amplificati dalla propaganda borghese per annunciare la fine della crisi; al contrario essa è solo al suo inizio, già si sta estendendo ed approfondendo e colpisce adesso anche la Cina, mentre le manovre finanziarie attuate dagli Stati Uniti, dal Giappone, dalla Cina stessa e infine anche dall’Europa per “rilanciare“ la produzione serviranno solo a far scoppiare tra pochi mesi una nuova bolla finanziaria, molto più grave di quella che nel 2008 rese evidente lo stato comatoso dell’economia capitalistica in piena crisi di sovrapproduzione.
Questa crisi, prevista e attesa dal marxismo rivoluzionario perché derivante dalle contraddizioni interne del sistema produttivo capitalistico, già sta producendo decine di milioni di disoccupati in tutto il mondo e in tutti i paesi spinge all’abbassamento dei salari e allo smantellamento della cosiddetta “sicurezza sociale”. E la concorrenza tra i lavoratori continuerà ad esasperarsi se il proletariato non si mostrerà capace di fermarla con la sua mobilitazione, con la sua riorganizzazione e lotta di classe.
La crisi economica inoltre acuisce lo scontro tra gli Stati imperialisti, grandi e piccoli, per acquisire nuovi mercati di smercio della loro sovrapproduzione, per il controllo delle zone dove si trovano le materie prime necessarie per la riproduzione dei capitali e per acquisire posizioni di forza in vista del terzo conflitto mondiale cui il capitalismo condurrà gli Stati. La guerra per il petrolio, che i “terroristi” combattono finanziati dalle opposte centrali dell’imperialismo, ha devastato l’intero Medio Oriente e in particolare l’Iraq, la Siria e la Libia, costringendo decine di migliaia di profughi ad abbandonare le loro case in fuga dalla morte. La contesa fra i vecchi e i nuovi imperialismi si estende anche all’Africa.
L’Europa, dopo la bestiale spartizione della Iugoslavia col pretesto di divisioni religiose e nazionali, ha visto tornare la guerra ai suoi confini orientali, dove la fragilità dello Stato ucraino ha permesso agli Stati Uniti di interporsi tra Germania e Russia, provocando scontri sanguinosi che ancora una volta vorrebbero dividere il proletariato e aggiogarlo agli interessi dei diversi Stati borghesi.
In Estremo Oriente la corsa al riarmo della Cina, borghese, capitalista, ben decisa a conquistare uno spazio adeguato alla sua potenza economica spezzando gli equilibri stabiliti alla fine della Seconda Guerra imperialista, entra in urto con gli Stati confinanti, da Taiwan, al Giappone, alle Filippine, alla Corea del Sud, al Viet Nam, in spregio agli Stati Uniti che dominano quei mari con le loro flotte atomiche.
I miti borghesi del progressivo disarmo degli arsenali e della coesistenza pacifica fra gli Stati, sopravvissuti a due micidiali guerre mondiali, sono sbugiardati dal crescere continuo degli armamenti, compreso quello atomico, e da questi scontri sempre più aspri fra i giganti imperialisti, anche se condotti per ora da interposte forze mercenarie irregolari, come sono le milizie dello Stato Islamico.
I piccoli Stati sono i primi a fare le spese di questa politica di forza ma il proletariato, di questi paesi e internazionale, non deve lasciarsi coinvolgere nella difesa di alcun interesse nazionale, come sta invece cercando di fare il governo “di sinistra” in Grecia, soffiando sul patriottismo e sulla resistenza all’aggressione economica della Germania, o quello del Venezuela chavista contro l’imperialismo degli Stati Uniti d’America, né, la dove già vi è la guerra, deve schierarsi su uno dei due opposti fronti borghesi, come ad esempio accade in Palestina, dove la sola prospettiva rivoluzionaria è quella di un solo Stato della classe operaia, contro la borghesia israeliana e quelle arabe che da decenni si combattono usando come carne da macello i proletari, in primis quelli palestinesi.
Solo con un proprio partito, fondato su di una sua solida teoria, una sua integrale visione del mondo, che chiamiamo marxismo, la classe operaia può effettivamente respingere queste influenze opportuniste e la corruzione delle ideologie delle classi nemiche, può cioè essere classe che lotta per i propri interessi. Questo partito è il partito comunista, rivoluzionario, internazionalista, che fin dal suo nascere ha negato ogni falso principio borghese, primo fra tutti quello democratico, interpretando il motore della storia non nelle opinioni ma nella forza delle classi in lotta.
La borghesia non rinuncerà mai ai suoi meschini privilegi senza esserne costretta dalla forza. Preferirà la guerra. Al proletariato mondiale accettare la sfida: guerra economica in difesa del salario, organizzato in veri sindacati di classe, contro la guerra economica per i suoi profitti della classe borghese; guerra rivoluzionaria di classe contro la guerra fra gli Stati nazionali borghesi, inquadrato e diretto da un suo unitario e disciplinato partito comunista internazionale.
Noi non sappiamo quanto si potrà prolungare ancora l’agonia della bestia capitalista ma abbiamo appreso, anche dalle lezioni del secolo appena trascorso, che gli organi della rivoluzione, Partito seppure minoritario, e Sindacato, debbono prepararsi per tempo, ben prima del precipitare della crisi rivoluzionaria, per essere riconosciuti ed utilizzati dalla classe. Lavorare oggi, in piena perdurante controrivoluzione, alla formazione degli organi politico e difensivo della classe operaia è già Comunismo, è già Rivoluzione.
L’embrione di questo partito esiste, ed è il Partito Comunista Internazionale.

Partito Comunista Internazionale

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