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Dignità operaia

Dignità operaia

(9 Marzo 2012) Enzo Apicella
Oggi sciopero generale dei metalmeccanici convocato dalla Fiom e manifestazione nazionale a Roma

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    (Per un sindacato di classe)

    Primo congresso del SI Cobas

    L’intervento del nostro compagno

    (16 Maggio 2015)

    Si è svolto a Bologna, l’1, il 2 e il 3 maggio, il primo congresso nazionale del SI Cobas. È stato preceduto dai congressi provinciali a Milano, Brescia, Torino, Bologna e in altre città. I nostri compagni sono intervenuti nel congresso provinciale di Torino e, in quello nazionale, hanno partecipato alle giornata del 2 maggio e al pomeriggio di quella successiva, dedicato agli interventi delle organizzazioni politiche, sindacali e sociali esterne al sindacato.

    primocongressosicobas

    A Torino l’attività locale del sindacato è iniziata nell’ottobre del 2011 ma è sostanzialmente decollata con lo sciopero ai mercati generali (CAAT) il 22 maggio 2014. Al congresso provinciale un nostro compagno è intervenuto ribadendo, come fatto ripetutamente fino ad oggi, la necessità di dare effettivo seguito al proposito di formare un coordinamento provinciale dei delegati e dei lavoratori più attivi del sindacato, dando preminenza alle riunioni inter-aziendali, rispetto agli incontri limitati ai dipendenti della singola azienda. L’esperienza storica a cui richiamiamo il movimento operaio organizzato è quello delle originarie Camere del Lavoro, come nacquero e si svilupparono a fine Ottocento e nei primi due decenni del Novecento: organismi territoriali dove si organizza la lotta difensiva dei lavoratori e dove essi si incontrano in quanto membri di un’unica classe, rafforzando i legami di fratellanza e affossando uno dei principali ostacoli all’unità di classe, l’aziendalismo.

    Nel nostro intervento al congresso di Bologna, il 3 maggio, ci siamo limitati a pochi punti essenziali:

    1) i meriti del SI Cobas: effettiva disponibilità a organizzare la lotta difensiva di classe, lavoro sindacale teso al superamento dell’aziendalismo, indirizzo tattico del fronte unico dal basso;

    2) la necessità di dare maggior impulso all’azione sindacale per il superamento dell’aziendalismo ponendo a fondamento della struttura del sindacato la sua organizzazione territoriale e sancendo questo indirizzo modificando il punto 5.1 dello Statuto, dove recita «Il Comitato di Base (Cobas) è la struttura portante del SI COBAS», con la formula «Il sindacato nasce all’interno dei posti di lavoro, dove sono fondati i Cobas, ma ha la sua struttura portante nei suoi organismi territoriali interaziendali, i coordinamenti provinciali»;

    3) raccolta diretta delle quote sindacali, abbandonando il metodo anticlassista della raccolta per delega.

    Per ragioni di tempo, e soprattutto di stanchezza dei presenti, al volgere del termine della terza giornata del congresso, abbiamo limitato il contributo che avevamo intenzione di esporre, che qui riportiamo, integrato dopo aver ascoltato l’intervento conclusivo del coordinatore nazionale del SI Cobas, che, a replica della ventina di interventi del pomeriggio, pur non apportando elementi che non fossero già noti, ha spiegato con chiarezza i caratteri che la dirigenza intende imprimere a questa organizzazione sindacale.

    * * *

    Nella stampa del nostro Partito, anche in quella internazionale, da tempo abbiamo riferito con attenzione e continuità dell’attività del SI Cobas – dalla lotta alla Esselunga di Pioltello a fine 2011 e inizio del 2012, che portò alla prima manifestazione nazionale, il 1° Maggio di quell’anno a Pioltello, e dallo sciopero a Basiano coi duri scontri con le forze dell’ordine il giugno successivo – e il suo sviluppo, commentando le principali battaglie. Molti compagni ricorderanno i nostri interventi in esse.

    Ciò perché abbiamo attribuito notevole importanza a questo movimento organizzato di una porzione della classe operaia in Italia e a testimonianza del nostro entusiasmo per esso.

    Il SI Cobas e il sindacalismo di classe

    Per la prima volta nella storia del difficile processo di rinascita del sindacato di classe – che da quasi 40 anni indichiamo poter avvenire fuori e contro i sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) – dai suoi primi passi nella seconda metà degli anni ‘70, poi maturati nella nascita di vari Sindacati di Base negli anni ‘80 e nei primi anni ‘90, una di queste organizzazioni, il SI Cobas, nata recentemente, nel 2010, da uno scissione dallo SLAI Cobas, è riuscita ad organizzare un autentico movimento operaio, esteso a una intera categoria della classe lavoratrice, quella della logistica.

    Anche nelle sue esperienze positive, che non sono mancate, il sindacalismo di base sinora non aveva raggiunto un tale risultato, o perché la sua forza è rimasta limitata all’interno di alcune aziende, come ad esempio lo SLAI Cobas all’Alfa di Pomigliano ed Arese, o perché alla crescita organizzativa, frutto delle episodiche e rarefatte ondate di lotta di settori della classe operaia degli ultimi tre decenni – come negli scioperi contro l’abolizione della scala mobile nel 1992 e contro la introduzione della nuova politica dei redditi nel 1993, o come la lotta dei tranvieri nel dicembre 2002 – è seguito un declino e una stagnazione. In generale, il sindacalismo di base non è riuscito a togliere la direzione delle lotte ai sindacati confederali, se non in modo episodico.

    Gli scioperi generali nella logistica organizzati dal SI Cobas hanno colpito effettivamente l’attività del settore, a differenza di quelli del resto del sindacalismo di base che sono stati quasi sempre minoritari, riducendosi spesso non a prove di forza col padronato ma a manifestazioni di opinione.

    Il SI Cobas non solo è stato capace di organizzare queste mobilitazioni. Ha ottenuto un risultato ancor più lontano dalla portata, fino ad oggi, del sindacalismo di base, costringendo aziende di dimensioni internazionali – SDA, TNT, GLS e Bartolini – a trattare con esso, giungendo a siglare un accordo nazionale che va a rimpiazzare e migliorare un altro accordo, firmato il 13 febbraio 2014 dai confederali – Filt-CGIL, Fit-CISL, Uilt-UIL – con Fedit e Confetra, due sindacati padronali della logistica.

    Interessano, oltre che i risultati in sé, soprattutto le ragioni che li hanno consentiti.

    È vero che gli altri sindacati di base sono organizzati in categorie della classe lavoratrice attualmente meno combattive di quella in cui si è radicato il SI Cobas, e nelle quali è più asfissiante la cappa del sindacalismo di regime. Lo stesso SI Cobas, laddove è presente in altri settori – come fra i tranvieri, i metalmeccanici, gli ospedalieri, gli statali, le poste – non è riuscito a organizzare mobilitazioni paragonabili a quelle della logistica. A rovescio, però, gli altri sindacati di base non sono riusciti a organizzare la lotta nella logistica come fatto dal SI Cobas, nemmeno dopo che le prime dure battaglie fra i facchini hanno mostrato a tutto il movimento sindacale come vi fosse la disponibilità a una vera lotta di classe da parte di molti lavoratori di questo settore.
    La ragione di questa capacità del SI Cobas la individuiamo nella disponibilità a battersi coi metodi della autentica lotta di classe: scioperi ad oltranza, picchetti, che si sono scontrati con la polizia anche duramente, creazione di una cassa di resistenza per sostenere i lavoratori in sciopero e licenziati. Il SI Cobas non ha avuto timore di organizzare tali lotte fronteggiando la reazione padronale, coi licenziamenti, le minacce, i pestaggi dei loro scagnozzi, e da quella del loro Stato, coi massicci dispiegamenti di forze dell’ordine davanti ai cancelli, le denunce, gli arresti, i processi, i fogli di via per i dirigenti. Gli altri sindacati di base, pur richiamandosi tutti al metodo della lotta operaia, in contrapposizione a quello della concertazione, questa forza, in linea generale, non l’hanno avuta, o è venuta loro a mancare.

    Rileviamo altri due meriti di grande importanza nell’azione del SI Cobas.

    Il primo è la volontà di superare uno degli ostacoli più duri e insidiosi all’unità della classe operaia: l’aziendalismo. Questa necessità, questa nozione fondamentale della lotta di classe, del sindacalismo di classe, è emersa dagli interventi nella giornata di sabato del congresso. A questo scopo il SI Cobas ha agito principalmente su due leve: da un lato chiamando a partecipare ai picchetti i lavoratori di altre aziende; dall’altro promuovendo la formazione di coordinamenti provinciali dei delegati, cioè di organismi sindacali territoriali e non aziendali.

    Il secondo merito, molto importante, è l’adozione della tattica del fronte unico dal basso, richiamata nel documento congressuale. Questo indirizzo è stato sempre propugnato dal nostro partito, nonché dalla corrente di cui siano espressione, la Sinistra Comunista, che su di esso incardinò la sua azione nel proletariato finché ebbe la maggioranza nel Partito Comunista d’Italia, nella prima metà degli anni Venti del Novecento, gli anni di fuoco della lotta di classe in Italia e nel mondo.

    Anche in ciò il SI Cobas si distingue dal resto del sindacalismo di base, che sostiene l’indirizzo tattico opposto, anti-classista, delle azioni separate da quelle del sindacalismo di regime, e spesso persino fra le varie sigle al suo interno. I sindacati di base hanno quasi sempre, tranne poche eccezioni, sabotato gli scioperi dei sindacati tricolore (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), promuovendo mobilitazioni in concorrenza con essi. In questo modo il sindacalismo di regime non viene indebolito ma rafforzato. Gli scioperi separati sono più deboli e fiaccano il morale dei lavoratori. La forza dei sindacati confederali riposa sulla debolezza della classe operaia. Le masse di lavoratori che Cgil, Cisl e Uil riescono a mobilitare sono ancora molto superiori a quelle messe in moto dai sindacati di base, le cui azioni risultano nettamente minoritarie.

    In tal modo, la parte della classe lavoratrice inquadrata nei sindacati di base, che generalmente coincide con quella più combattiva, è tenuta separata dagli altri lavoratori, protetti così dalla sua influenza nelle manifestazioni di piazza dei sindacati confederali. Scioperare insieme ai sindacati di regime non significa essere confusi con essi dai lavoratori, se in piazza si scende con spezzoni definiti e diffondendo le proprie parole d’ordine. Significa al contrario favorire il successo delle mobilitazioni, dando forza e morale ai lavoratori, così istintivamente portati ad abbracciare indirizzi e rivendicazioni più radicali.

    Lo ha confermato, in questi giorni, il successo dello sciopero dei lavoratori della scuola, del 5 maggio, inizialmente proclamato dalla Confederazione Cobas, cui si sono aggiunte CUB e UNICobas, poi i sindacati confederali Flc-Cgil, Cisl-Scuola, Uil-Scuola e quelli autonomi Snals-Confsal e Gilda-Unams, infine il Coordinamento Autoconvocati Scuole Roma. I sindacati confederali hanno proclamato lo sciopero nella stessa data per “coprire” l’azione del sindacalismo di base e non lasciargli l’iniziativa e la direzione del movimento. Ma dallo scio­pero la rivendicazione di questo – il rigetto completo della riforma della scuola – è uscita con maggior vigore. L’USB, che aveva scioperato insieme a CUB e UNICobas il 24 aprile, a differenza di questi non ha sostenuto lo sciopero del 5 maggio.

    Il sindacalismo di base deve distinguersi da quello di regime non per scioperare in date diverse ma per farlo più a lungo, più duramente, con picchetti e manifestazioni agguerrite che rigettino il principio del pacifismo sociale. Deve spiegare la fondamentale differenza fra “unità sindacale” e “unità d’azione della classe operaia”.

    Il SI Cobas, fin dalla sua fondazione, ha abbracciato il principio dell’unità d’azione dei lavoratori. Leggiamo, ad esempio, dal suo comunicato in vista dello sciopero generale dei sindacati di base del 15 aprile 2011 e dello sciopero generale indetto dai sindacati di regime il 6 maggio successivo: «Chiediamo ai comitati di lotta, ai lavoratori e ai delegati più combattivi, di impegnarsi per cominciare a costruire una mobilitazione comune e collettiva, che prescinda dall’iscrizione a questo o quel sindacato, che si prefigga di costituire una rete nazionale per la difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro (con rivendicazioni e piattaforme comuni nei posti di lavoro) e per lo sciopero generale. Per riuscirci è necessario … cercare di imporre ai “sindacati di base” che … non ci siano più proclamazioni di sciopero “generale” differenziate … spingere perché tutto il “sindacalismo di base” proclami collettivamente … 8 ore di sciopero generale il 6 maggio».

    Il maggiore successo di questo indirizzo d’azione si è ha avuto nella manifestazione a Milano per lo sciopero generale FIOM del 14 novembre. Gli operai metalmeccanici hanno potuto vedere coi loro occhi l’esistenza di una forza organizzata fuori dalla CGIL, con uno spezzone del SI Cobas di oltre un migliaio di operai, nonché la sindacalizzazione dei lavoratori immigrati, il loro essere compagni di lotta, fratelli di classe, dando un colpo alla divisione borghese della classe operaia fra lavoratori italiani e stranieri. Ugualmente il SI Cobas ha partecipato allo sciopero generale proclamato da CGIL e UIL del 12 dicembre. Un’altra azione molto positiva è stata la partecipazione alla manifestazione davanti ai cancelli della FIAT SATA di Melfi il sabato 24 marzo – cui ha aderito tutto il sindacalismo di base – a sostegno dello sciopero contro lo straordinario comandato organizzato da una minoranza dei delegati FIOM della fabbrica e sabotato dalla FIOM territoriale e nazionale. Questo indirizzo tattico è stato pienamente confermato dal coordinatore nazionale del SI Cobas nel suo discorso conclusivo del congresso, domenica 3.

    Questi tre fattori sopra descritti – metodi della lotta di classe, lavoro per l’unità di classe contro l’aziendalismo, tattica del fronte unico dal basso – sono a nostro avviso i punti di forza del SI Cobas, quelli che ne hanno consentito lo sviluppo, sulla base dell’incontro con operai disposti alla lotta, condizione senza la quale nessun sindacalismo di classe è possibile.

    Con l’approfondirsi della crisi del capitalismo, che è solo al suo inizio, nuovi strati della classe operaia saranno risvegliati dalla passività e dalla rassegnazione che da tempo li affligge. Nella misura in cui saprà mantenere questi caratteri il SI Cobas potrà superare i confini del settore logistico, cosa che in alcuni incoraggianti casi è già avvenuta, e marciare sui binari che conducono alla ricostruzione del Sindacato di Classe.

    La dirigenza del Si Cobas, però, esprime anche due indirizzi che a nostro avviso possono rallentare o compromettere questo sviluppo: 1) la pretesa di costruire un organismo non puramente sindacale bensì un ibrido fra sindacato e partito; 2) la volontà di unire il movimento operaio ai cosiddetti movimenti sociali.

    Se finora queste inclinazioni hanno recato poco danno nella sostanziale azione sindacale, poiché sono considerati dalla dirigenza del SI Cobas dei punti di forza del sindacato, con valutazione opposta alla nostra, la loro pericolosità crediamo che sussista e sia destinata ad aggravarsi.

    O sindacato o partito

    Come già si era manifestato in vari comunicati e discorsi dei dirigenti del SI Cobas, come è emerso dal documento pre-congressuale, come infine è stato compiutamente spiegato dal coordinatore nazionale nel suo discorso a conclusione del congresso, il SI Cobas non vuole essere un “semplice” sindacato. Leggiamo dal documento congressuale: «La mancanza di una forza politica che sia in grado di dirigere la lotta per la difesa economica ha imposto al sindacato il compito di supplirne l’istanza per ... condurre il proletariato sul terreno dell’autonomia di classe». Altrove, e spesso, sono stati denunciati da parte del SI Cobas i limiti di una lotta “puramente tradunionista” e la necessità di “passare a un piano politico”. Ad esempio, in un comunicato del marzo 2014 sulla lotta alla Granarolo di Bologna: «Si tratta ... di creare dei quadri consapevoli, altrimenti si rischia di limitarsi a una lotta radicale ma tradeunionista, senza un quadro più generale ... La mancanza di una coscienza politica dei lavoratori può essere la forza come spinta e la debolezza in prospettiva: praticano una lotta dura, aggregano i loro amici nell’azienda, però bisogna anche collegare le lotte. Per questo motivo abbiamo iniziato a fare formazione interna al SI Cobas, non solamente sulle buste paga, ma anche dal punto di vista politico. Non possiamo assumere una concezione gradualista, per cui prima si fa la lotta sindacale e poi verrà quella politica: dove abbiamo fatto questo errore, è più difficile riprendere una battaglia generale».

    Questi brani, scelti fra altri analoghi, manifestano una errata concezione del rapporto fra sindacato e partiti, fra lotta sindacale e lotta politica.

    Va detto innanzitutto come sia errata la tesi che la politica non abbia a che fare col sindacato, che possano separarsi i due campi, che possa esistere un sindacato indipendente dai partiti politici, né che il sindacale possa quindi venire “prima” del politico. Al contrario, ogni indirizzo sindacale deriva da un indirizzo politico. I sindacati le cui dirigenze si definiscono apolitiche, in Italia generalmente i sindacati autonomi, sono, ugualmente a quelli di regime, succubi della ideologia dominante, quella della classe dominante, la borghesia. Una loro caratteristica, generalmente, è il gretto aziendalismo.

    Ma dicendo strettamente legati assieme non si è spiegato nulla di questo legame, fra due organismi necessariamente separati e diversi. Un sindacato può nascere spontaneamente, dalla volontà di ribellione di un gruppo di lavoratori, ma come si accresce si trova inevitabilmente a dover affrontare problemi di indirizzo generale, di rapporto con le altre classi, con i partiti borghesi, con lo Stato, che sono affrontati e risolti in modo diverso, e spesso opposto, dai diversi partiti operai.

    Non si chiede ai partiti presenti nel sindacato di nascondere le proprie opinioni politiche e di non propagandarle al suo interno, così come fanno al di fuori di esso. Ma il sindacato, che ciascuno di essi si propone di dirigere, è necessariamente composto di lavoratori delle più diverse opinioni politiche, anche reazionarie, i quali nella loro generalità, nella loro grande maggioranza, non convengono affatto con i principi e gli assunti generali di quel dato partito, in particolare del comunismo, tanto meno del marxismo.

    Compito specifico, possibile e necessario che anche i comunisti si danno nel sindacato non è quindi “insegnare” il marxismo ai proletari organizzati, bensì i principi e i metodi del sindacalismo classista, come si conduce la lotta di oggi e le lotte in generale. Questi principi e metodi di lotta non sono esclusivi di un partito, né del comunismo rivoluzionario, ma comuni a molte delle ideologie che hanno campo nella classe e sono comprensibili immediatamente da tutti gli sfruttati.

    Dalla confusione degli ambiti, delle situazioni, dei tempi deriva l’illusione di poter in qualche modo sovrapporre, in tutto o in parte, le funzioni del partito e del sindacato. Non è un sofisma ma un confine, una impostazione fondamentale che sarà necessario chiarire perché ne conseguono importanti effetti prettamente pratici e che condiziona addirittura quello che vogliamo costruire, se saremo davvero in grado di esprimere quello che i lavoratori, esplicitamente o meno, chiedono e si attendono da noi.

    Un sindacato a base ideologica, che pone agli aderenti, di fatto se non statutariamente, delle preclusioni politiche generali, come potrebbe essere il marxismo, o l’anarchismo, o la democrazia per esempio, si precluderebbe da se stesso la capacità di divenire domani un vero e grande sindacato della classe operaia. Il sindacato, quello di domani come di tutti i gloriosi esempi della storia della nostra classe, si sono sempre caratterizzati per la loro incondizionata apertura a tutti gli sfruttati. È invece sicuramente destinato a fallire o a vita oltremodo stentata il progetto di un sindacato di partito.

    I partiti borghesi alla testa dei sindacati di regime fanno lottare gli operai, ad esempio, in difesa della costituzione e della democrazia, della patria. Questa è una strumentalizzazione della lotta operaia, che viene sviata e indebolita: infatti il suo sviluppo conduce inevitabilmente allo scontro con l’ordine democratico-costituzionale. Per evitarlo i partiti operai-borghesi frenano la lotta operaia e la sviliscono indicando ai lavoratori di affidarsi per la tutela dei loro interessi allo Stato democratico, che noi sappiamo essere borghese, cioè la macchina di dominio della classe dominante sul proletariato.

    I comunisti, invece, non hanno necessità di utilizzare le leve dell’organizzazione sindacale per mobilitare i lavoratori, oggi, dietro alle parole d’ordine programmatiche, per esempio, dell’abbattimento del capitalismo e della dittatura del proletariato. La difesa della classe lavoratrice impostata sui binari classisti condurrà nella pratica i lavoratori a questo compito supremo, a condizione che siano diretti dal partito comunista.

    Il processo di crescita dell’unità e della forza del proletariato sale – non in modo lineare – dalla lotta all’interno dell’azienda, alla lotta di categoria, all’unione delle lotte per gli aumenti salariali, all’unione delle lotte con rivendicazioni unificanti di tutta la classe lavoratrice: riduzione dell’orario di lavoro, salario ai lavoratori disoccupati.

    Questa curva ascendente della forza della classe espressa nel sindacalismo di classe va ad intersecarsi con quella discendente del capitalismo in crisi, sempre meno in grado di sfamare i suoi schiavi salariati. Ad un certo svolto storico la lotta in difesa del salario, per il salario ai disoccupati, per la riduzione dell’orario, permane lotta sindacale ma è di tale forza e con tali rivendicazioni dal risultare insostenibile per il regime capitalista, portando perciò allo scontro decisivo con esso. Diviene allora possibile il passaggio dalla lotta in difesa del salario a quella per la distruzione del salariato, per l’emancipazione sociale della classe operaia. Lo sciopero diviene insurrezione. Questo trapasso è “politico”, nel senso che riguarda la questione del potere statale, e quindi richiede un partito rivoluzionario.

    Questo processo sarebbe invece inibito qualora, cadendo nella tentazione di percorrere scorciatoie che accorcino i tempi dello schieramento della classe nel campo rivoluzionario, si pensasse di approfittare della posizione dirigente negli organi sindacali per portare gli iscritti ad abbracciare una particolare dottrina politica, con gli strumenti della propaganda o dell’indottrinamento, o mobilitandoli per fini programmatici al di fuori della realtà.

    Ogni partito prevede le sue norme di azione, che sono la traduzione dei suoi principi politici nel campo della lotta economica. I lavoratori saranno convinti a respingerle o ad adottarle non per motivi teorici o ideologici o morali ma perché si dimostrano le migliori per le esigenze pratiche della lotta.

    I comunisti intendono dimostrare nella lotta come il loro indirizzo d’azione sindacale sia il più efficace anche ai suoi fini immediati. In questo senso «non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato» (Il Manifesto del Partito Comunista).

    I comunisti non intendono sottomettere la funzione sindacale e i suoi strumenti organizzativi alla propaganda politica, discriminando i lavoratori con parole d’ordine programmatiche proprie di situazioni avvenire, o facendo formazione teorica di partito; il risultato sarebbe opposto a quello sperato di “condurre il proletariato sul terreno dell’autonomia di classe” perché si agirebbe, nei fatti, in senso opposto al principio essenziale che nel sindacato sono organizzati i lavoratori, non solo al di sopra delle divisioni aziendali, di categoria, di sesso, razza e nazionalità, ma anche di opinione politica e di fede religiosa.

    Non rispettare questa natura propria del sindacato significa alienare i lavoratori non comunisti, o non anarchici, o non democratici dal sindacato di classe e abbandonarli al sindacalismo di regime.

    La nostra critica, quindi, non è “politicantismo”, dogmatismo, astrattismo, o come lo si voglia chiamare, ma solo risponde alle esigenze pratiche della organizzazione e della lotta proletaria.
    Occorre sfatare alcuni pregiudizi. Una banalizzazione del problema vuole che la divisione fra il sindacato e il partito sia solo tipica del riformismo, e ad esso utile. Limitare il sindacato alla funzione tradeunionista, si dice, giova a chi non vuol portare i lavoratori nel campo della rivoluzione. In vari comunicati del SI Cobas si sostiene la necessità di superare la lotta tradeunionista per salire a un livello politico. Se per livello politico si intende l’azione unitaria dei lavoratori al di sopra delle aziende e per tradunionismo l’aziendalismo, possiamo convenire. Ma sarebbe più corretto dire che l’aziendalismo fa parte di un indirizzo sindacale anti-classista e la battaglia per l’unità delle lotte dei lavoratori contro l’aziendalismo è invece uno dei principi fondamentali del nostro sindacato.

    Certo tutto è “politico”, anche salire un gradino nel rafforzamento e nell’unità della classe. E questo è ciò che ha fatto – ed anche bene – il SI Cobas nella generalità della sua azione sindacale. Ma definire questo un “elevamento al livello politico del movimento operaio” manifesta un’errata concezione del rapporto fra lotta sindacale e lotta politica. Un sindacato che sia riuscito a divenire di categoria o intercategoriale non per questo è diventato, o può diventare, un mezzo partito.

    Per facilitare la comprensione del problema riportiamo tre esempi di presentazione impropria dell’organo sindacale.

    1) Il documento pre-congressuale è in buona parte condivisibile. È la prima volta che un sindacato di base, che per giunta ha conseguito un maggior successo pratico, esprime posizioni in buona parte corrette. Ma in alcuni passaggi si presenta più come un documento di un partito marxista che di un organismo operaio. In esso si tratta più di teoria marxista che di norme operative e organizzative del sindacato che si intende costituire. Nonostante le pretese, infine poco vi si dice di politica sindacale.

    2) Nel suo intervento conclusivo il coordinatore nazionale ha raccontato come in alcune sedi del SI Cobas si sia iniziato a fare lezioni sul “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels. Riunioni dalle quali sono implicitamente esclusi gli iscritti di opinioni anti-marxiste, che, tutti noi dobbiamo riconoscere, sono molti dei lavoratori e anche degli iscritti, e la quasi totalità se vi contiamo gli indifferenti.

    3) Il primo maggio il SI Cobas si è accodato alla manifestazione No Expo a Milano insieme a diversi gruppi politici di varia estrazione. Si è partecipato a una manifestazione non operaia e, in essa, nel suo spezzone politico. In questo modo si è sostituita la tattica sindacale corretta del fronte unico dal basso con quella di un fronte unico politico. Sullo striscione di apertura si leggeva: “Per un Primo Maggio internazionalista. Il capitalismo non si riforma, si abbatte”. Un concetto impeccabile, per i comunisti. Ma agli altri lavoratori cosa appariva il SI Cobas? Un nuovo sindacato che lotta per la difesa degli interessi immediati della classe lavoratrice, o un gruppo, se si vuole operaio, ma costituitosi per l’affermazione del programma rivoluzionario comunista? Non vedono un sindacato di classe ma, dopo il sindacato dei partiti borghesi, dei socialdemocratici, e dopo i sindacatini degli stalinisti, degli anarchici, eccetera, un altro sindacato di partito, questa volta marxista. Sullo striscione si sarebbe potuto scrivere, ad esempio: “Per l’unità internazionale della classe operaia”, un concetto che esprime una necessità di lotta comprensibile e condivisibile da tutti i lavoratori, e “Per la riduzione dell’orario di lavoro”, tornando ad agitare fra i lavoratori questa parola d’ordine, all’origine dello stesso Primo Maggio, nonché obbiettivo del comunismo stesso, quindi, in sé, del tutto “politica”.

    L’assenza storica di un visibile e riconoscibile partito comunista non si risolve con scorciatoie o inventando strade nuove, che nuove non sono. Il sindacato non può surrogare il partito, nemmeno transitoriamente.

    Costruire un organismo ibrido fra sindacato e partito danneggia e il sindacato e il partito: 1) allontana dal sindacato i lavoratori non comunisti, indebolendolo, e rafforzando il sindacalismo riformista; 2) distoglie i lavoratori dall’aderire al partito politico comunista (che non è “operaio”, cioè non composto di soli proletari), a favore dei partiti opportunisti.

    Movimento operaio e movimenti sociali

    Il SI Cobas propugna un’alleanza del sindacato operaio con i cosiddetti movimenti sociali. Questi movimenti sono detti “sociali” perché non sono “operai”: includono elementi di diverse classi e strati. Si propone perciò un’alleanza del proletariato con movimenti interclassisti. Non si possono definire parte del proletariato strati sociali come gli studenti o gli occupanti di case. In entrambe queste categorie vi sono operai e figli di operai, ma comprendono anche non appartenenti al proletariato. Correttamente perciò sono definiti movimenti sociali, non proletari, e ad essi sono affiancati quelli in difesa del territorio, della salute, ecc.

    Il sindacato, e in genere il movimento operaio, non è ostile a questi movimenti, che reagiscono e si oppongono alle varie barbarie del capitalismo, e non li considera nemici della classe operaia, nella misura in cui non si pongono di traverso alla sua lotta.

    La solidarietà di giovani, studenti, una parte dei movimenti sociali, che intuiscono come nella classe lavoratrice stia la vera forza nella società, e partecipano ai picchetti ed alle manifestazioni, va apprezzata, ma alla condizione che essa significhi mettersi a disposizione del movimento proletario, le cui decisioni devono essere prese dai suoi organismi di classe, non da coalizioni con organismi non proletari, o, come li si chiama, sociali.

    Invece nel suo statuto il SI Cobas prevede, all’articolo 11, la possibilità di patti federativi con “organismi sindacali o sociali” pur salvaguardando “le rispettive autonomie politiche e organizzative”.

    Il classe operaia organizzata nel suo sindacato accetta la solidarietà proveniente da strati sociali al di fuori di esso, ma stabilirvi un organico patto federativo verrebbe a modificare la sua natura operaia. Le parole “salvaguardando le rispettive autonomie politiche e organizzative” (ma allora che “patto” è? cosa si patteggia?) non cambiano la natura interclassista dell’alleanza e dei suoi fini. Farlo, illudendosi di diventare più forti perché più numerosi, in virtù dell’aggregarsi di questi strati sociali non proletari, indebolisce invece il movimento operaio, al cui interno è già da combattere l’influenza dominante dell’ideologia borghese, che verrebbe rafforzata mischiando il proletariato organizzato coi movimenti sociali non proletari.

    Sul piano sindacale, che, ripetiamo, è indissolubilmente legato a quello politico, il rigetto dell’alleanza fra movimento operaio e movimenti sociali si spiega con la necessità di dedicare le energie dei lavoratori nella ricerca della solidarietà con il resto della classe, collegandosi con i gruppi di operai in lotta sul territorio e battendosi per emanciparli dall’aziendalismo, perché è dalla capacità di dispiegare scioperi sempre più estesi e unitari che dipende la vera forza del movimento operaio. Portare i lavoratori nelle mobilitazioni dei movimenti sociali significa invece, ancora una volta, fornire una connotazione equivoca del sindacato e distogliere preziose energie operaie dal vitale lavoro di estensione e rafforzamento dell'unità di classe.

    Va notato, inoltre, come l’indirizzo di alleanza coi movimento sociali accomuni il SI Cobas, invece di distinguerlo per i suoi caratteri classisti, non solo al resto del sindacalismo di base ma anche dall’ala sinistra del sindacalismo di regime, ossia la FIOM. Quest’ultima, infatti, sostiene la cosiddetta Coalizione Sociale. L’USB, invece, la chiama Confederazione Sociale. L’idea di fondo è la stessa: un movimento meticcio, popolare, operaio e sociale. Ciò che cambia è la platea a cui ci si rivolge: la FIOM guarda all’area della sinistra cattolica; l’USB al cosiddetto “movimento”; il SI Cobas alla sua ala “di sinistra”. Evidentemente, si tratta di un criterio politico, col che si ritorna al problema della confusione fra sindacato e partito.

    Il corretto indirizzo del fronte unico dal basso deve essere seguito coerentemente fino in fondo da parte del SI Cobas e la ricerca dell’alleanza coi movimenti sociali agisce in contraddizione con esso.

    Ritornando al Primo Maggio, si sarebbe dovuto, invece che partecipare a una manifestazione non operaia – per contenuti e partecipanti – come NO Expo, al fianco di organizzazioni politiche, scendere in piazza in quelle organizzate dai sindacati di regime, come a Milano o a Torino, per mostrare agli altri lavoratori la forza raggiunta dal SI Cobas.


    Il movimento per la casa

    Un aspetto specifico di questo problema è quello della casa. Il movimento operaio questo problema deve affrontarlo essenzialmente sul piano del rapporto capitale-salario: se per pagare l’affitto il salario non basta i lavoratori devono battersi per aumentarlo. La lotta operaia rimanda il problema del livello degli affitti a questione fra capitalisti e proprietari fondiari: di fronte a battaglie per aumentare il salario saranno i capitalisti a pretendere che diminuisca la fetta di plusvalore estorto alla classe operaia di cui si appropriano i proprietari fondiari.

    Analogamente, ad esempio, a quanto si è ipotizzato di fare nella lotta di questi giorni in SDA, prospettando, se seguisse l’intransigenza aziendale, di promuovere lo sciopero generale di tutta la categoria in solidarietà a questa lotta. Al fianco di un gruppo di lavoratori si mobilita una parte di classe operaia molto più estesa: è una delle migliori realizzazioni pratiche del principio dell’unità classista cui possa tendere un sindacato. Così facendo il prezzo dell’intransigenza di SDA, dietro a cui ci sono le Poste Italiane, cioè lo Stato borghese, è fatto pagare anche alle altre aziende multinazionali del settore.

    Il movimento operaio organizzato difende il salario, piuttosto che battersi per la riduzione degli affitti, così come non lotta contro il caro-vita. Non certo si batte contro movimenti interclassisti di tal genere, ma non se ne fa organizzatore, indirizzando tutte le energie nella lotta per gli aumenti salariali, per il salario ai lavoratori disoccupati, per la riduzione dell’orario di lavoro.

    Quanto ai movimenti di lotta per la casa essi non hanno carattere proletario perché organizzano, per principio, in base a un bisogno che travalica le classi, potendo riguardare non solo i lavoratori, occupati o disoccupati, ma anche i piccoli borghesi in rovina, gli studenti, il sottoproletariato.

    Come, giustamente, il SI Cobas, nel documento congressuale, sostiene essere errata la rivendicazione del “reddito per tutti”, cui va opposta quella del salario per i lavoratori disoccupati, così non è giustificato battersi per “la casa per tutti”.

    Se nei movimenti per la casa vi sono proletari, è il sindacato che deve organizzarli e condurre una lotta contro gli sfratti o per l’assegnazione di abitazioni ai lavoratori. Gli inquilini non devono essere organizzati in una struttura interclassista ma del sindacato, quindi di soli proletari. Analogamente a quanto deve avvenire coi disoccupati. Può essere solo questa formula organizzativa a garantire un movimento di classe anche su questo fronte, non bastando certo aggiungere l’aggettivo di “proletario” a movimenti organizzati di fatto su base non classista.

    Partito Comunista Internazionale

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