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Zingari, giudei, buo­ni­sti e cattivisti

(30 Maggio 2015)

A Roma, un’auto sulla quale viag­gia­vano, stando a quanto rife­rito dalla stampa, tre per­sone della comu­nità rom, non ha rispet­tato l’alt della poli­zia ed è fug­gita a velo­cità folle tra­vol­gendo e ucci­dendo un donna filip­pina e ferendo, anche gra­ve­mente, altre otto per­sone che si tro­va­vano sul suo cammino.

Come era pre­ve­di­bile si è sca­te­nata la usuale canea raz­zi­sta con­tro i rom in quanto tali gui­data dal lea­der della Lega Nord, Mat­teo Sal­vini e da tutta la galas­sia nera dei nazifascisti.

Il tutto con­dito dall’inevitabile fol­klore media­tico. Ieri mat­tina, il gior­na­li­sta di Libero Piero Gia­ca­lone, nel corso della tra­smis­sione di attua­lità poli­tica de La 7, con pun­tuale chia­rezza, ha inqua­drato la que­stione nei ter­mini della lega­lità affer­mando un valore impre­scin­di­bile delle civiltà demo­cra­ti­che, ovvero che tutti i cit­ta­dini e gli esseri umani in gene­rale, davanti alla legge, sono uguali. Gia­ca­lone ha pro­se­guito il suo ragio­na­mento con sapi­dità iro­nica pren­dendo a ber­sa­glio due cate­go­rie di per­sone con­trap­po­ste: «buo­ni­sti» e «cat­ti­vi­sti» i quali, a suo parere, si limi­tano a reci­tare le loro parti in com­me­dia. Ora, appar­te­nendo io alla cate­go­ria dei primi, pro­verò a rin­tuz­zare, almeno in parte, la pur legit­tima stig­ma­tiz­za­zione iro­nica di Giacalone.

Se è pur vero che fra i buo­ni­sti si incon­trano talora per­sone super­fi­ciali inclini a gene­rici embras­sons nous, coloro che ven­gono spesso defi­niti con sprezzo « buo­ni­sti » sono in linea di prin­ci­pio esseri umani che si pon­gono il pro­blema dell’altro, delle mino­ranze e si riten­gono respon­sa­bili del «volto altrui», per dirla con il filo­sofo Levi­nass, o met­tono in pra­tica il det­tato evan­ge­lico: «Ciò che fai allo stra­niero lo fai a me». Del resto, la que­stione dell’accoglienza dell’altro è la madre di tutte le que­stioni, quella la cui man­cata solu­zione è causa di ogni vio­lenza e di tutte le infa­mie che deva­stano la con­vi­venza delle comu­nità umane.

Nel mio caso, appar­tengo ad una ulte­riore fat­ti­spe­cie, sono un ex «altro» entrato nel salotto dei pri­vi­le­giati. Io sono ebreo e so che signi­fica essere gra­vato da pre­giu­dizi, calun­niato, per­se­gui­tato, deriso, mas­sa­crato e sterminato.

Oggi, molti cat­ti­vi­sti vi diranno che l’ebreo non è come il rom. Oggi ve lo dicono, ma in pas­sato i «per­fidi giu­dei» erano trat­tati allo stesso modo, con una sola dif­fe­renza che i rom non rice­ve­vano l’accusa di essere dei­cidi, in quanto cri­stiani o mus­sul­mani. Cre­dete che l’antisemitismo abbia perso aggres­si­vità a causa dell’orrore pro­vo­cato dalla Shoà? Non è così, anche rom e sinti hanno subito lo stesso destino. La vera ragione è che oggi esi­ste uno stato ebraico ( la defi­ni­zione è di Teo­dor Her­zel, suo Ideo­logo, das Juden Staat ) con un eser­cito, un governo e ser­vizi segreti che sanno essere molto «cattivisti».

Per rom e sinti non c’è nes­suno Stato che parli e agi­sca, nes­suno li difende da posi­zioni di forza e gli attac­chi raz­zi­sti con­tro di loro sono solo azioni di vigliac­chi. È raz­zi­sta chiun­que attri­bui­sca reati di indi­vi­dui all’intera comu­nità. Ma io, che appar­tengo simul­ta­nea­mente anche ad un altra cate­go­ria, i set­tan­tenni, ho buona memo­ria. E che c’entra con l’argomento in discus­sione? C’entra!

Ricordo quando sui muri della pro­spera «Pada­nia», della sua capi­tale «morale» c’erano le infami scritte raz­zi­ste «via i meri­dio­nali dalle nostre città!», «non si affitta ai ter­roni!». Mi ricordo dell’eco di Mar­ci­nelle quando i nostri ita­liani più poveri, trat­tati come bestie in quanto ita­liani, veni­vano ven­duti come schiavi da miniera per­ché tutta l’Italia avesse car­bone. Mi ricordo delle scritte «vie­tato agli ita­liani e ai cani» nel civile Nord Europa.

Allora gli zin­gari era­vamo noi. Sal­vini se lo ricorda?

Ma cosa volete che si ricordi un popu­li­sta dema­gogo alla ricerca di voti? A lui, a quelli come lui, i voti non ser­vono per fare poli­tica, ma per fare un mestiere, quello del nazio­na­li­sta da pic­cola patria, come i Kara­d­zic, gli Arkan, i Mla­dic e i loro omo­lo­ghi croati, gli ster­mi­na­tori della ex Jugo­sla­via. Un mestiere molto red­di­ti­zio che si nutre di odio, appro­fitta della paura dei più fra­gili, garan­ti­sce posti nei par­la­menti e gra­ti­fi­cante visi­bi­lità mediatica.

C’è un solo nome per chi appro­fitta di un fatto effe­rato — com­messo que­sta volta da rom, ma decine e decine di altre volte da ita­liani, padani com­presi — per semi­nare odio: sciacallo.

Moni Ovadia - il manifesto

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