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(20 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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(Capitale e lavoro)

Facciamo arrivare la nostra solidarietà ai lavoratori e ai compagni della Grecia,
contro l’internazionale del capitale, dell’usura e del terrore

(1 Luglio 2015)

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(LOUISA GOULIAMAKI/AFP/Getty Images)

E dunque: i molti passi indietro fatti dal governo Tsipras rispetto alle posizioni di partenza non sono bastati a raggiungere un compromesso, fosse pure un compromesso al ribasso, con la Trojka. La gang FMI-BCE-Commissione europea non voleva il compromesso, bensì la resa totale con la sottoscrizione di un diktat perfino più pesante, se possibile, dei vecchi memorandum.

Poiché non ci piace la demagogia (neppure quella di estrema sinistra), dobbiamo dire che, a suo modo, il governo Tsipras – pur accettando la clausola capestro fondamentale dell’attivo di bilancio crescente (dall’1,5% al 3,5%) per gli anni fino al 2022 – aveva cercato di ridistribuire un po’ i pesantissimi sacrifici messi in preventivo, con un incremento di tasse sulle grandi imprese, sulla pubblicità, sulle licenze televisive e i beni di lusso. Le “istituzioni”, ovvero le istituzioni del capitale globale, dell’usura e del terrore, precisiamo noi, non ne hanno voluto sapere. Niente incremento delle tasse sui capitalisti e su quelli che possono vivere nel lusso; bisogna colpire solo e soltanto dall’altra parte: pensionati, lavoratori, disoccupati, giovani nati senza camicia, poveri, così imparano che lottare contro i comandi dei “mercati” e affidarsi ad un governo, in qualche modo, di sinistra non paga, anzi è controproducente.

Le ragioni per cui la Trojka è stata così inflessibile con Atene da alzare di continuo la posta e costringere Tsipras a “rompere” sono diverse e concatenate, e rispondono anche ad interessi discordanti tra loro, perché nella Trojka non c’è solo l’Europa, c’è anche – e quanto pesa! – il grande fratello/nemico che agisce da Wall Street e dal Pentagono.

La prima ragione è che il capitale europeo, il progetto imperialista europeo non può reggere alla competizione con gli Stati Uniti da un lato, con i capitalismi emergenti dall’altro, senza peggiorare drasticamente le condizioni di lavoro e di esistenza dei lavoratori europei. E dallo scoppio della grande crisi del 2008, non può più pensare di conseguire questo risultato in modo processuale, è dovuto passare a terapie shock. La Grecia è stato, ed è, il primo laboratorio di queste terapie.

La seconda ragione è che Bruxelles e Francoforte, ma anche Obama e soci, vogliono dare una lezione politica ai lavoratori greci, “colpevoli” di avere troppo resistito e protestato contro queste terapie e di avere condizionato Tsipras fino al punto da indurlo a dare al “popolo” l’ultima parola sull’accettazione o meno del diktat strangolatorio della Trojka. Devono abbassare la cresta, loro e anche Tsipras, alla cui destituzione, in modo perfino trasparente, miravano e mirano i pescecani di tutto l’Occidente, quelli greci in primo luogo. Se Tsipras è oggi il nemico pubblico n. 1 dei grandi poteri capitalistici non è certo perché possa essere scambiato per un capo rivoluzionario che mira a sovvertire il capitalismo globale; è perché non sta facendo tutto il necessario per spegnere il fuoco greco, meno forte oggi di ieri, ma ancora vivo.

La terza ragione è che imporre la resa ai lavoratori greci e all’attuale governo greco deve servire ad ammonire, impaurire, terrorizzare, se possibile, i lavoratori di tutta l’Europa - “ecco cosa capita a chi ci si mette di traverso”. Questo, specie in un momento in cui sono scoppiati in Germania diversi scioperi settoriali duri; si è accesa, in qualche modo, in Spagna la speranza di “fare come in Grecia” (lo diciamo, si capisce, sapendo bene che Podemos è formazione assai più moderata di Syriza); in Inghilterra c’è qualche segno di reazione al massacro neo-liberista che continua, specie da parte dei salariati del pubblico impiego; e anche in Italia sembra allargarsi lo scontento contro il governo del sottopancia della P2 Renzi.

La quarta ragione chiama in causa direttamente gli Stati Uniti, e le loro quinte colonne dentro l’Unione europea (Londra, Varsavia, i governi baltici, etc., sostenuti attivamente da altri governi di destra come quello di Rajoy e Passos Coelho) che giocano sporco – in particolare attraverso il FMI, che in tutta questa vicenda ha operato per la rottura delle “trattative” – allo scopo di creare dentro l’UE il massimo di caos possibile, il massimo di contraddizioni possibili, così da indebolire in modo permanente il proprio concorrente, e far passare alla Merkel in particolare, ammesso che la avesse ben radicata in testa, la velleità di “guardare verso Est”, ai possibili partner Russia e Cina. In questione, non dimentichiamolo neppure per un istante, c’è il processo di accerchiamento della Russia sul lato dell’Ucraina con un crescendo di misure belliche e di sanzioni (altro strumento di guerra) nel quale Washington non vuole essere ostacolato dai dubbi e dagli interessi europei.

Per queste ragioni la Trojka non ha lasciato a Tsipras alcuno spazio per un
compromesso anche pessimo, e ha preteso invece la (impossibile) resa.

La resa di Tsipras è divenuta impossibile a causa delle piazze greche e della opposizione interna alla stessa Syriza. E’ vero: le piazze greche non sono più ribollenti come anni fa, perché anche in Grecia le elezioni, il meccanismo democratico, è stato abilmente usato da tutti, Syriza inclusa, per spostare dalle piazze alle istituzioni il confronto-scontro con i creditori-gangster. Ed anche perché il peso della disoccupazione, dell’impoverimento, dell’emarginazione, della lotta quotidiana per la sopravvivenza ha allontanato dalla lotta molti. Ma le piazze non sono deserte. Anzi, man mano che è stato chiaro che le pretese della Trojka erano strangolatorie, come sempre e più di sempre, e che il governo Tsipras indietreggiava a vista d’occhio seppur recalcitrando, le piazze hanno ripreso a popolarsi di lavoratori e di giovani, sono fioccate le prese di posizione decise di alcuni tra i più importanti sindacati (l’Adedy e il Pame per tutti) e si è fatta sentire sia la sinistra interna a Syriza sia quella esterna ad essa (Antarsya, etc. – incluso il Kke, su cui sarebbe e sarà da fare un discorso a sé), molto critiche entrambe, fin dall’inizio, sulla “trattativa” e i suoi possibili esiti. Questa pressione, attiva in molti casi (da ricordare, tra le prime, la vibrante presa di posizione del novantenne ex-partigiano Glezos), ma anche passiva, ha bloccato gli ulteriori arretramenti di Tsipras, e l’ha convinto a giocare la carta del referendum.

E’ stata una mossa obbligata da un lato, abile dall’altro, perché gli ha consentito di mettere in evidenza quanto dure fossero le pretese della Trojka a fronte della “ragionevolezza” del governo di Atene, e insieme di esibire il suo senso della “dignità nazionale” (non dimentichiamo che Tsipras guarda al centro e a una certa destra – che, peraltro, è già nel suo governo). La decisione è stata a tal punto sgradita dai boss della Trojka che, da un momento all’altro, Tsipras è diventato, come dicevamo, il nemico pubblico n. 1, l’avventuriero, l’irresponsabile, il traditore, il baro, l’affossatore dell’economia europea, il sabotatore della ripresa economica in atto (sai che ripresa!), l’eversore, quello che ruba soldi dalle nostre tasche, il bieco nazionalizzatore (anche se non ha finora nazionalizzato un bel nulla) – da battere a tutti i costi. Ed ecco partire la macchina del terrorismo massmediatico a favore del sì al referendum dal momento che, a differenza che nel 2011, la Trojka non può impedirlo. Lo ricorderete, no? Il vecchio trombone sfiatato del Pasok, Papandreu, fu democraticamente licenziato dalla Trojka per aver osato ventilare un referendum sui memorandum; al giugno 2015 la replica dell’estate 2011 è stata impossibile, e questo – insieme con la proposta last last minute presentata da Juncker, intesa ad evitare il referendum - dimostra che i poteri forti che hanno scatenato la guerra contro i lavoratori greci sono oggi più deboli e più delegittimati di quattro anni fa. Ora, anche se lo vorrebbero, i custodi del capitale globale non possono ripetere il licenziamento di Tsipras da Bruxelles, non possono vietare formalmente il referendum, ma egualmente stanno facendo e faranno nei prossimi giorni l’impossibile per silurare Tsipras attraverso la vittoria del sì al referendum.

Non è ovviamente una buona ragione per far diventare il capo di Syriza il nostro eroe buono. Ciò che pensiamo di lui e di Syriza lo abbiamo scritto altrove (e lo si può leggere sul n. 2 de “Il cuneo rosso”). Del resto è lo stesso Lapavitsas, un economista deputato di Syriza, a definire il programma approvato da Syriza a Thessaloniki nel 2014 un programma di keynesismo moderato, ed anche questo programma è stato dimenticato in questi mesi da Tsipras nelle “trattative”. Inutile ripeterci. Qui è semmai il caso di dire che il referendum popolare non è e non può essere un terreno privilegiato dell’iniziativa di classe. Per un banale dato di fatto: a votare sulle misure strangolatorie per i proletari e le proletarie occupati/e e disoccupati/e sono chiamati anche la classe sfruttatrice e quei settori della società che, in modo diretto o indiretto, beneficiano dello sfruttamento del lavoro salariato. E nelle società ricche, e la Grecia, per quanto da fanalino di coda, resta pur sempre parte dell’Europa ricca di profitti coloniali e neo-coloniali, il rapporto proletari e simili/sfruttatori e parassiti non è quello, assai semplicistico, 99 a 1; è un rapporto assai più complicato, specie se si tiene conto degli apparati clientelari delle classi abbienti e del quasi-monopolio che hanno sui mezzi di comunicazione di massa.

Ciò non toglie, però, che ora il dado è tratto. Il referendum c’è, e la vittoria del sì o del no non è indifferente per il prosieguo della lotta e della resistenza al capitale globale in Grecia, in Europa e anche al di là dell’Europa. E non è certo per caso, o per una accorta messa in scena, che i pescecani di Bruxelles si sono letteralmente scatenati, sguinzagliando i propri cani da guardia nello sponsorizzare il sì, “altrimenti è il caos e la catastrofe, per i greci anzitutto, e poi per tutti”.

In gioco, in questo referendum, non sono certo i (presunti) “valori europei traditi” di cui straparla Tsipras: perché per l’Europa reale in cui siamo, l’Europa capitalista e imperialista, il valore di riferimento supremo è quello della competitività del proprio capitale e della partecipazione da protagonista di prima fila allo sfruttamento del lavoro e al saccheggio della natura in ogni angolo del mondo: tutto il resto è contorno variabile. In gioco non è neppure la democrazia, perché Renzi, Merkel, Hollande, Obama non intendono abolire la democrazia in Grecia - si limitano, per ora, ad abolirla in Kosovo o in Ucraina dove stanno armando e foraggiando formazioni neo-fasciste e neo-naziste. In gioco non sono neppure, in modo del tutto indifferenziato, “i greci”, il “popolo” greco senza altre specificazioni. In gioco è il via libera o NO alla continuazione e all’approfondimento del massacro delle condizioni di lavoro e di vita e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici della Grecia in nome del “sacro” pagamento del debito di stato. Ed è proprio per questo che la cosa ci riguarda da vicino integralmente. Perché non si tratta di “loro”, si tratta di loro e di tutti noi – dell’intero campo del lavoro salariato! Ed è per questo che dobbiamo fare tutto il possibile per far arrivare in questi giorni ai lavoratori e alle lavoratrici della Grecia, intimiditi, minacciati, aggrediti, la nostra solidarietà attiva, incondizionata, spezzandone l’isolamento. Non solo e, in fondo, non tanto per l’esito del referendum, comunque tutt’altro che indifferente, quanto per l’ulteriore sviluppo della lotta dei lavoratori greci e nostra.

Finora, in questo senso, abbiamo fatto poco, davvero poco. Qualcosa a Parigi, a Londra, in Irlanda, in Svizzera, qualche dibattito e qualche sit-in in Italia qua e là. Davvero poco. Ma non è mai troppo tardi per darsi una mossa e moltiplicare le iniziative. Per denunciare che il debito di stato, in nome del quale si stanno soffocando i lavoratori in Europa è un debito di classe. In Grecia come ovunque. Un debito fatto dal capitale per il capitale. Che non è dovuto alle “spese eccessive” per lo stato sociale, ma alle spese crescenti degli stati per sostenere un’accumulazione capitalistica sempre più ansimante. Che serve a foraggiare le mille cosche mafiose che imperversano nello stato e fuori dallo stato. E serve alle guerre contro le genti arabe e “islamiche”, alle guerre contro i lavoratori dell’Est Europa. Serve a rafforzare gli apparati di polizia. Serve alle “grandi opere” che sono grandi solo per la portata dei profitti e della corruzione che consentono. Serve a proteggere i grandi privilegi delle chiese (cattoliche o ortodosse che siano). E’ un debito di classe che ha ingrassato a dismisura soltanto i pescecani delle banche e delle borse! E per questo in Grecia come ovunque va denunciato e disconosciuto dai lavoratori che ne portano per intero il peso. Perché ci ruba cibo, salute, tempo di lavoro, anni di vita, diritti, potere, futuro, e ci accolla disoccupazione, tormento di lavoro, precarietà senza fine, povertà, misure di eccezione strangolatrici delle più elementari libertà di lotta e di organizzazione.

Non si tratta, per noi, di creare un movimento a sé stante che abbia questo come suo unico obiettivo. Si tratta, invece, di portare e far vivere questa denuncia politica, la necessità di una lotta accanita contro i padroni del debito, che sono i nostri nemici di classe, e per il non pagamento del debito di stato, dentro i luoghi di lavoro e dentro le lotte, a cominciare da quelle che si stanno aprendo in diverse città (Roma, Venezia, Milano, etc.) contro il brutale taglio dei servizi sociali e della spesa sociale. Per farne un elemento integrante, un elemento di forza della ripresa generale del movimento di classe, riemerso dallo sbandamento e dalla depressione politica-ideologica di oggi.

Abbasso la Trojka, e le sue protesi in Italia, da Renzi e Padoan in giù!

Abbasso l’internazionale del capitale, l’internazionale dello sfruttamento, dell’usura e della guerra!


No al pagamento del debito di stato in quanto debito di classe!

Solidarietà incondizionata ai lavoratori e ai compagni della Grecia in lotta contro i poteri del capitale globale!

Alla guerra di classe scatenata dal capitale globale contro i lavoratori in Grecia, in Europa e nel mondo contrapponiamo la globalizzazione delle lotte e dell’organizzazione di classe!


Marghera, 30 giugno

La redazione del “Cuneo rosso”

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