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Paradiso perduto

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(2 Aprile 2010) Enzo Apicella
Al Cern di Ginevra si ricostruisce in laboratorio la creazione dell'universo

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Giulio Laurenti, La Madre dell’uovo

Milano, Effigie, 2015, pp. 258, € 19,00

(14 Luglio 2015)

la madre dell'uovo

Metti una sera a cena tra amici, con questa raffigurazione inizia quello che nella grafica di copertina appare come un giallo, nella definizione un romanzo ma, nella realtà, è qualcosa di più. A redigerlo è Giulio Laurenti, romano, classe 1964, letterato con incursioni nella poesia, novizio editore su tecnologie ottocentesche ed agitatore culturale. Si potrebbe definire il lavoro come un’inchiesta autobiografica, in cui l’autore parte da aneddoti e considerazioni sulla propria quotidianità presi a paradigma per indagare sui misteri che circondano il Paese da qualche decennio a questa parte. Per essere meno vaghi: dalla nascita della cosiddetta Seconda repubblica ai giorni nostri. Se si vuol essere ancora più circostanziati: il decennio 1991 - 2001. Tra questi estremi, due avvenimenti: la Strage del traghetto Moby Prince, quel fatto terribile a largo del Porto di Livorno in cui morirono arse vive centoquaranta persone, se non sottaciuto comunque, in relazione alle proporzioni, mai considerato abbastanza, e il G8 di Genova. Il tutto ruota attorno a due figure, all’apparenza distanti ed estranee tra loro ma accostate dai fatti, in quell’Italia che Churchill ebbe a definire “paese dai tanti misteri senza alcun segreto”, cioè Ilaria Alpi e Carlo Giuliani. In ciò che lega le due morti c’è, se si vuole, la chiave di lettura per spiegare il tutto, per dimostrare come anche nell’Italia post - Tangentopoli ha continuato ad operare la stessa mano invisibile della Strategia della tensione, tra i politici, il capitale, l’Esercito, le forze dell’ordine e quella burocrazia parassitaria che, cambiassero i governi (anzi: più hanno rinomanza di ostili più sono servizievoli), ha conservato intatto il proprio modo di pensare e di agire, appreso e adottato nella notte dei tempi. Come e perché accumunare la Somalia e Genova? Innanzitutto rappresentano due momenti che hanno palesemente dimostrato l’involuzione autoritaria della politica italiana, il venir meno del fragile equilibrio democratico costruito a seguito della Liberazione. Nel conflitto somalo, l’Italia scopriva che la sua pazienza nel Corno d‘Africa, dopo un altro quarantennio o poco più, andava mostrando nuovamente i suoi limiti e si buttava a capofitto in una vera e propria guerra dal sapore coloniale, a soddisfare i desideri nostalgici dei molti, soprattutto con lo sfruttamento e la devastazione di quelle terre e le violazioni dei diritti di quei popoli. In questo scenario, nel 1994, vengono assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A Genova, sette anni dopo, con delle anticipazioni avutesi già da diversi mesi prima, in quella che è stata definita dagli organismi internazionali come sospensione dello stato di diritto e, dagli stessi responsabili, macelleria messicana, con riferimento alla rappresaglia della Diaz, si viene a palesare un mutamento di rotta presso gli apparati di sicurezza e d’ordine. La violenza dispiegata in quei giorni, spropositata e senza precedenti, se si considerano i momenti assai più difficili passati dall’Italia repubblicana, faceva emergere essenzialmente un dato: la fine dell’afflusso dei giovani democratici nelle forze dell’ordine che, a partire dagli anni Settanta, aveva portato alla sindacalizzazione della Polizia, e la ritrovata sintonia con i peggiori istinti reazionari tornati in auge con l’ariete del berlusconismo. Mogadiscio e Genova, dunque, quasi come due prove generali di guerra in vista degli scenari futuri - soprattutto pensando alla nascente Gendarmeria europea cui qui si dà ampio risalto -, e in piazza Alimonda a comandare i defender ci sono dei carabinieri che si erano fatti le ossa proprio laddove si applicavano gli elettrodi sui testicoli dei prigionieri, pratica, beninteso, tutt‘altro che inusuale nella repressione e in guerra. Siamo dinanzi a quelle magnifiche presenze sui luoghi del delitto che potrebbero sembrare dettate dal caso ma che sempre si ripropongono a partire da Portella della Ginestra.
In questa sede è imprudente descrivere oltre riguardo le circostanze e, soprattutto, i nomi citati, con il rischio di commettere imprecisioni e inesattezze. Si dà comunque ampia assicurazione che Laurenti è uno scrittore tutt’altro che in vena di complottismi e men che mai è animato dal desiderio di buttarla in caciara. Nella lettura non ci si può non immedesimare in lui, con le difficoltà trovate in questa indagine e le, diciamo, stranezze capitategli, rischio da mettere in conto quando si va a toccare l’intoccabile, quando si cerca quel nesso tra cause ed effetti racchiuso nella citazione scelta a titolo dell’opera.

Silvio Antonini

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