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(30 Maggio 2012) Enzo Apicella

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(24 Luglio 2015)

Editoriale del n. 31 di "Alternativa di Classe"

crisis

Tra la popolazione fra i 15 ed i 64 anni di età, l'occupazione è scesa, secondo i dati più recenti, al 55,5%, dato sensibilmente inferiore alla media europea; l'occupazione giovanile (fino ai 34 anni di età), in particolare, dal 2004 ad oggi, è diminuita di quasi 3 milioni di persone. Nello stesso tempo, la retribuzione media lorda dei lavoratori dipendenti è di circa 23mila Euro (€), mentre l'84% di tali “risorse” serve “ai malcapitati” per fare fronte al “costo della vita”: trattandosi di valori medi, che ricomprendono perfino le “retribuzioni” dei manager (almeno quindici - venti volte un salario medio operaio), si capiscono le terribili condizioni che la crisi sta inducendo per i proletari. In più, il salario reale (cioè quello misurato in base al “potere d'acquisto”), secondo dati OCSE, è il più basso tra quelli dei Paesi industrializzati.
Non si tratta di dati sulla Grecia, che ci viene presentata come “il” punto di caduta in Europa, che “gli italiani”, secondo Renzi e gli altri fautori di una presunta iniziata “ripresa”, vedrebbero soltanto da lontano, ma del nostro Paese! Sono questi i dati che, seppur statistici, individuano la condizione della nostra classe, non certo gli “spread” o i valori della Borsa di Milano: ...gli unici dati pubblicizzati quotidianamente dai media!! Moltiplicando il salario medio, al netto delle tasse, versate da chi lavora (che finanziano le spese dello Stato), per il numero dei lavoratori dipendenti occupati, abbiamo un'idea, grossolana ma significativa, del “salario sociale complessivo”, cioè della fetta di risorse (servizi esclusi, visto anche che sono sempre più ridotti “all'osso”...) di cui usufruiscono i proletari: una parte sempre meno consistente del PIL in questi ultimi anni! E' il segno tangibile di come e quanto il capitale nostrano ed il suo governo facciano “pagare la crisi” ai proletari.
Quali siano gli effetti di tutto ciò, lo vediamo nella realtà quotidiana. Da recenti dati statistici di Eurospes, calcolati senza tenere conto della situazione lavorativa, risulta che il 47% della popolazione non “arriva a fine mese”: ben il 16,4% in più del 2014!! Il 71,5% ha visto poi diminuire il proprio potere d'acquisto, a testimonianza del coinvolgimento nella crisi anche di parte della piccola borghesia. Per fronteggiare la situazione, risultano senz'altro ridotti soprattutto i regali, i pasti consumati fuori casa, viaggi, vacanze ed articoli tecnologici, mentre aumentano i pagamenti rateali, e, di conseguenza, anche il ripugnante fenomeno dell'usura, insieme alla diminuzione di chi continua a contare sull'aiuto di genitori ed, eventualmente, altri parenti.
Bombardati dai media, raggiunge il 40% la quota di persone che attribuisce la colpa di questa situazione all'attuale moneta: l'Euro. Come se non fosse, invece, aldilà del mezzo utilizzato, una costante del sistema capitalistico quella di rifarsi i margini di profitto soprattutto sul “costo del lavoro”; in questo senso, dispiace che vi sia anche una opinione sovranista “di sinistra” a propagandare simili fandonie! Ed è su questa “lunghezza d'onda”, che viene vissuta da troppi, anche la “questione greca”...
Lo Stato greco è rimasto strangolato da un debito (il vecchio meccanismo capitalistico – vedi ALTERNATIVA DI CLASSE n. 26 a pag. 2 - che, in ultima analisi, opera per “privatizzare gli utili e socializzare” i costi, e perciò “le perdite”), che oggi è cresciuto proprio con gli “aiuti”, fornitigli dalla “ex troika” (FMI, BCE e Commissione UE, in rappresentanza dell'Unione), fino a diventare di pari entità degli stessi. Basti, infatti, qui ricordare che "Il debito pubblico, ossia l'alienazione dello Stato - dispotico, costituzionale o repubblicano che sia - imprime il suo marchio all'era capitalista. L'unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei popoli moderni è... il loro debito pubblico [da “Il Capitale” di K. Marx, Libro I°, cap. 24]”. Tale meccanismo, ovviamente preesistente la crisi, si è sviluppato di più nei Paesi più deboli, dove il capitale finanziario internazionale ha dovuto ricorrere di più alla “spremitura” dei lavoratori dipendenti.
La Grecia è risultato l'anello debole della “catena imperialista” europea, in cui il “Fiscal compact”, che prevede il pareggio del bilancio statale e meccanismi definiti di riduzione del rapporto deficit/PIL, ha costretto gli Stati, nella crisi, a politiche di forte restrizione del welfare, e quindi del salario indiretto ai lavoratori, ha causato un aumento relativo del debito “intra-europeo” (all'interno dell'Europa), che, ovviamente, avvantaggia la BCE e gli imperialismi più forti, quello tedesco in primis. Questo ha provocato la diffusione popolare di un predominante sentimento antitedesco tout court, che tanto fa comodo ai diversi capitali nazionali, compreso quello tedesco stesso, perché va a compattare i proletari con ogni relativo Stato nazionale! Esattamente il contrario della unità dei proletari tutti, che servirebbe!!
A differenza dell'Italia, dove, alla fine, è passata anche una “riforma” autoritaria come la “buona scuola”, in Grecia si sono susseguite manifestazioni di piazza, e finanche processi di presa di coscienza collettiva sulle necessità proletarie, ma ciò non è bastato per la costruzione di una o più forze consistenti conseguentemente classiste. Molte sono state le speranze riposte nel nuovo partito “di sinistra”, Syriza, che da pochi mesi è arrivato a costituire il Governo Tsipras insieme, non va dimenticato, ad una forza della destra “moderata”. Da allora in poi vi è stata una trattativa continua con la UE per continuare ad accedere a nuovi prestiti allo Stato, scandita da concessioni ed arretramenti del Governo sul piano sociale, rispetto al, già blandamente riformista, programma elettorale di Syriza, fino all'ultima proposta di Juncker, a seguito della quale, con una “Lettera ai greci”, peraltro piena di retorica “social-nazionalista”, il premier Tsipras annunciava la decisione di sottoporla a referendum.
Fissatolo per il 5 Luglio u. s., nei giorni precedenti si è assistito ad una drammatizzazione, interessata, dei rapporti, da parte dei leaders della UE, che “paventavano” addirittura una possibile uscita della Grecia “dalla moneta unica”, con Tsipras ed il governo che, da un lato incitavano a votare per il NO, qualificandolo come se dovesse essere “il popolo” a decidere a favore o contro “l'austerity”, e, dall'altro, continuavano a tenere cordiali rapporti con la UE, promettendo le dimissioni in caso di vittoria dei SI. “ La proposta delle “istituzioni” (la ex “troika” - ndr) comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l'aumento dell'IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l'abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia. Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all'eguaglianza ed alla dignità; e sono la prova che l'obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle “istituzioni” non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti...omissis...” sono testuali parole tratte dalla “Lettera”.
In Grecia, oltre alle forze governative di “sinistra” e di destra, ad indicare il NO era la formazione neonazista “Alba dorata”, che attende Syriza “al varco”, mentre tutto il resto delle forze parlamentari, di formale “osservanza europeista”, consigliava il SI; l'astensione, invece, oltre che dal partito “stalinista”, il KKE, era indicata, principalmente, dagli anarchici. Nel resto d'Europa, ed in particolare in Italia, le forze che si richiamano al movimento operaio hanno quasi tutte abbracciato la posizione del NO, sottolineando una presunta opposizione alla “austerity” e dimenticando che, come ha poi ricordato un esponente del PD, si tratta solo di una “consultazione popolare”, e, come tale, non certo vincolante di fatto, com'è per qualsiasi votazione nella democrazia borghese (come insegnano i referendum italiani sull'acqua...). Il risultato ha visto prevalere il NO ad oltre il 57% (dei votanti), anche se, quantitativamente, sono stati di più (il 37,5% degli aventi diritto), e significativamente, coloro che non si sono, pur con diverse motivazioni, recati alle urne...
Aldilà di quale può essere stata la migliore indicazione tattica fra il NO ed il non voto, questione che, in assenza di una Internazionale Comunista effettiva, riguarda eminentemente chi opera in Grecia, oggettivamente l'unica funzione del referendum greco è stata quella di aumentare la “legittimazione”, agli occhi dei “grandi” della Terra, di un interlocutore inizialmente sgradito alla troika, in quanto non ancora conosciuto abbastanza, come il Governo Tsipras, che, del resto, ufficialmente non aveva mai nascosto di voler proseguire comunque l'eterna trattativa con la UE, per ottenere nuovi prestiti dal suo “Fondo salva-Stati”.
E' stato così che, pur con forme irrituali, ma dopo soli quattro giorni, il governo greco ha presentato una proposta, prima verbale, e poi scritta, per accompagnare il richiesto taglio di valore del debito, che comprendeva, fra l'altro, sul piano sociale: aumento dell'IVA dal 1 Luglio, pur differenziato tra il 23, il 13 ed il 6%, aumento della tassazione su salari e pensioni con innalzamento dell'età pensionabile, privatizzazione delle banche e di altri settori, anche con interventi esteri, attingimento ad esempi esteri europei su di un nuovo sistema contrattuale (e quello che ciò comporta...), allineamento ai dettami dell'OCSE e flessibilità nella Pubblica Amministrazione, abbandonando ogni velleità di tassazione delle imprese; tutto ciò, badando sempre a garantire che eventuali revisioni saranno da concordare con le “istituzioni”, cioè con la Troika. Addirittura peggio delle stesse, tanto vituperate, misure contenute nella “Lettera ai greci”!...
Con la pronta intercessione del presidente francese, Hollande, che ha subito giudicato “serie e credibili” le pesanti proposte del Governo greco per “rimanere in Europa”, l'apposita riunione “dell'Eurogruppo” (il famoso “Eurosummit”) ha, ovviamente, accettato in buona sostanza il Piano, aprendo agli “aiuti” richiesti. Di questi, il 50% andrà a ricapitalizzare le banche, mentre la restante metà sarà a sua volta divisa a metà fra riduzione della restituzione del debito ed investimenti: nessun taglio, ma una, molto più conveniente per il capitale, nuova spalmatura! Il tutto è finalizzato alla esigibilità del debito stesso: l'obiettivo di fondo della Troika è raggiunto!! Anzi, una maggiore spalmatura sarà “concessa” solo dopo una verifica della attuazione dei provvedimenti sociali dell'Accordo.
Naturalmente, un prestito urgente (il cosiddetto “prestito-ponte), per evitare il “default”, cioè l'insolvenza internazionale, è stato poi concesso, non senza suspance. Un capolavoro per il capitale! Quanto questo riguardi un miglioramento della condizione proletaria era facile capirlo fin dall'inizio della vicenda: PER NIENTE! A questo punto al Governo mancava solo la ratifica del Parlamento, dove, di fronte a settori riottosi di Syriza (un quarto del partito), il sostegno è venuto, secondo le “migliori” tradizioni parlamentari, proprio da esponenti della “opposizione”, cioè del “Fronte del SI”!
In realtà, se si premette la continuità del sistema capitalistico, un'eventuale uscita dall'Euro della Grecia (la famosa “Grexit”), oltre ad essere portatrice di diverse incognite in tutta Europa, non farebbe che precipitare la condizione degli stessi proletari greci, e pertanto, da un punto di vista interno a questo sistema sociale, com'è il suo, Tsipras non ha fatto altro che cercare di limitare i danni per la Grecia. Tale limitazione del danno, però, vale solo per padroni e privilegiati greci: i soli, in fin dei conti, a guadagnarci da questa situazione, mentre a pagare, Euro o altra moneta che sia, restano sempre i proletari!
Tra i Paesi europei, alcuni del Nord, con in testa la Gran Bretagna, nonostante le rassicurazioni greche, disdegnavano l'Accordo, caldeggiato, invece, dagli USA, che preferiscono la compattezza di un alleato come la UE, soprattutto in funzione anti-russa. I vincoli europei sono una garanzia per l'intero sistema capitalistico mondiale, anche se non sono certo le velleità nazionaliste di un Paese dall'economia come quella greca a creare problemi; diverso sarebbe il discorso se in Grecia i proletari, ritrovando la propria indipendenza di classe, si indirizzassero ad avviare un processo di uscita dal capitalismo, con azzeramento unilaterale del debito e contro i padroni greci ed europei, in collegamento con gli altri proletari europei! Ma non è questo l'obiettivo di Syriza.
Nella situazione data, il Fondo Monetario Internazionale (F.M.I.) si è potuto, così, “sfilare” dalla ex “troika”, lasciando i problemi, ormai in via di “risoluzione”, alla sola UE: per il FMI, nuovi prestiti sì, ma tagli del valore mai; è così che lo specifico dramma dei proletari greci si è trasformato in un nuovo aspetto della contesa internazionale. La questione greca lascia le “prime pagine” dei quotidiani, mentre il FMI rientra in gioco nella trattativa delle prossime settimane verso un, più “sostanzioso”, memorandum, e mentre Tsipras allontana dal governo i ministri più “radicali”, che, illusi dal significato che attribuivano all'esito referendario, si sono sentiti “traditi”, e non hanno apprezzato né l'attuale Accordo, né la “sovranità limitata” da esso introdotta.
L'onerosità, la pesantezza sempre maggiore, che la trattativa permanente indurrà sui proletari greci, potrebbe innescare, giustamente, altre dimostrazioni e manifestazioni sempre più radicali, ma il cui sbocco, in assenza di almeno una adeguata forza classista ed internazionalista, rischia di trasformarsi, con ogni probabilità, nel prevalere delle istanze di Alba dorata...
Proprio durante la vicenda greca, mentre i valori delle Borse cambiavano, accompagnando i suoi diversi momenti, mentre i tassi USA erano in rialzo ed il prezzo del petrolio ricominciava ad aumentare rispetto ai minimi raggiunti a Marzo, scoppiava, pur sottovalutata, anche la crisi delle Borse cinesi.
Dallo scoppio della crisi dei “subprime” in USA (2008), poi allargatasi all'intero Occidente, la Cina, dovendo ridurre le esportazioni, ha intensificato gli investimenti interni in infrastrutture, per aumentare i consumi e la domanda interna. Ne hanno beneficiato a volte anche stipendi medi e potere d'acquisto, ma soprattutto le risorse di nuovi ceti privilegiati, che hanno provocato la nascita, tollerata dalle autorità, di una “finanza parallela”, orientata dal boom di molti titoli occidentali ad investimenti speculativi. Le azioni così acquistate, spesso anche a costo di indebitarsi, sono state utilizzate dalle aziende come garanzie su prestiti bancari: il crollo delle relative Borse (quelle Occidentali) ha portato ad annullare tali “garanzie”; inoltre, aggiuntisi lo spostamento della liquidità dalla circolazione interna ed il rallentamento dei livelli di crescita produttiva, si sono creati valori fittizi, assolutamente lontani dalla realtà: una vera e propria “bolla” sui titoli cinesi! L'ammontare della perdita delle Borse cinesi è stata di 3000 miliardi di dollari in tre settimane, con un rapporto tra “quotazione di un titolo ed utili che genera” pari a quasi sei volte il suo valore standard...
E' così che l'integrazione dell'economia capitalistica internazionale si dimostra più forte degli strumenti nazionali, alla faccia dei “sovranisti”, che lo Stato cinese sta mettendo in atto, e di qualunque sia il tipo di sviluppo capitalistico in corso, economia mista compresa: l'unica via “sicura” che resta, anche per i padroni cinesi, per contrastare le prime avvisaglie della crisi, è quella di intensificare lo sfruttamento della forza-lavoro. Ma, aldilà di qualsiasi illusione ideologica, compresa quella che vede nella Cina, così com'è, la “speranza del mondo”, anche lì la lotta di classe è viva e presente! Anche per i milioni di proletari cinesi si tratta di realizzare che i propri interessi, come quelli di tutti i proletari, ovunque si trovino, non collimano affatto con quelli del loro Stato, ma sono comuni ad essi, a tutti e solo essi, in tutto il mondo.

Alternativa di Classe

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