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(26 Maggio 2010) Enzo Apicella
Varata la manovra economica da 24 miliardi di euro: sotto attacco gli stipendi e le pensioni.

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Nasce la "Rete 28 aprile" per costruire una piattaforma innovativa della sinistra sindacale in Cgil.

Temi per il dibattito Congressuale in Cgil

(9 Maggio 2005)

RETE DEL 28 APRILE PER L’INDIPENDENZA E LA DEMOCRAZIA SINDACALE

Chi siamo

Ci si è dati appuntamento il 28 aprile tra militanti che hanno vissuto varie esperienze, che sono interpreti di varie culture, nelle sinistre della Cgil. Cinque componenti del direttivo nazionale dell’organizzazione si sono assunti il compito di riassumere il senso della discussione avvenuta. Questo non definisce né un gruppo organizzato, né tantomeno un suo gruppo dirigente. Ciò che ora si vuole rivendicare e garantire, è lo sviluppo di una discussione partecipata che coinvolga la più vasta area possibile di persone nelle sinistre della Cgil.
E’ questo un percorso parallelo a quello che dovrà svolgersi nelle sedi formali dell’organizzazione. Serve a raccogliere idee, proposte, punti di vista. Alla fine di questo percorso, un’assemblea nazionale raccoglierà gli esiti di questa discussione capillare. In quella sede si misureranno le opzioni e si assumeranno le scelte rispetto al congresso della Cgil, fermo restando che gli orientamenti che verranno assunti, impegneranno esclusivamente le persone che li faranno propri. Sulla base dei temi raccolti da questo documento e su quant’altro vorrà proporre la discussione, si svolgeranno assemblee e riunioni aperte, a partire da incontri territoriali e regionali.

Le ragioni di un percorso

Si avvia il congresso della Cgil, ma finora non è apparso chiaro su cosa siamo chiamati a discutere e a decidere. Naturalmente si può obiettare che la semplice scadenza statutaria giustifichi la convocazione del congresso. Tuttavia non si può ignorare il passaggio di fondo nel quale si trova tutta la situazione sociale e politica del paese. Ogni giorno che passa si aggravano le condizioni di lavoro e di vita di lavoratori e pensionati. Cresce la precarizzazione e al Sud anche la vera e propria disoccupazione. Crisi industriale e degrado sociale avanzano, senza una risposta adeguata. In questo contesto la crisi del governo e della politica di Berlusconi, può in breve tempo dare il via a scenari diversi, persino opposti. Un’mprobabile, ma sempre possibile, ripresa elettorale della destra, darebbe il via ad un nuovo tentativo di attacco frontale ai diritti dei lavoratori e alla Cgil. Il, più probabile, risultato favorevole al centrosinistra individuerebbe nuovamente nel sindacalismo confederale un interlocutore privilegiato del governo. Scenari diversissimi, che comporterebbero in ogni caso adeguamenti delle scelte e delle pratiche sindacali. Decidere di fare il congresso prima delle elezioni non può ignorare questi diversi sbocchi della crisi politica e sociale. Invece sinora si è presentato il congresso più con l’occhio rivolto alle passate lotte di tutta la Cgil contro il tentativo del governo e della Confindustria di scardinare da destra il quadro concertativo del 23 luglio 1993, che con l’intenzione di affrontare davvero le prospettive future.

Inoltre non ha permesso di chiarire gli scopi del congresso, il fatto che si sia aperta una discussione sulla sua forma, con la proposta della segreteria confederale del documento unico, prima ancora che sui suoi temi di fondo. A questo si agginge il dibattito che si è aperto sulle garanzie e sui “patti politici” tra i gruppi dirigenti. Ci pare inaccettabile che si ipotizzi il ritorno alla Cgil delle “componenti garantite”, senza che gli iscritti possano decidere il peso delle diverse posizioni.

Invece il congresso della Cgil deve rispondere non solo alle domande più urgenti, ma deve definire le scelte di fondo dell’organizzazione per i prossimi cinque anni. Per queste ragioni abbiamo deciso di promuovere una discussione diffusa individuando questi primi temi.

I temi in discussione

1. Prima di tutto la pace “senza se e senza ma”. Questo significa il rifiuto della guerra in Iraq e il ritiro delle truppe. Ma anche dire no, per il passato e per il futuro, a guerre come quella per il Kossovo. La Cgil deve rifiutare la guerra in quanto tale, e deve dirlo con chiarezza a tutti i governi.

La pace è un valore assoluto ma non c’è pace senza giustizia. Per questo la Cgil deve agire nella Ces e nella Cisl internazionale, affinché il movimento sindacale, a livello globale, agisca per affermare i principi di un nuovo modello di sviluppo mondiale, alternativo a quello liberista. Tutto questo significa legarsi ai nuovi grandi movimenti di massa, che da Seattle in poi lottano per un altro mondo possibile.

Occorre cambiare profondamente il giudizio sull’Europa. L’Unione europea che si va costruendo non è amica del mondo del lavoro. Essa rischia di essere invece la sede nella quale si sperimentano le politiche liberiste e si tenta di essere competitivi con il modello sociale americano sul suo stesso terreno. La direttiva Bolkestein e quella sull’orario di lavoro sono esempi di una politica comunitaria tesa a distruggere i diritti dei lavoratori. Il progetto di Convenzione europea, erroneamente chiamato Costituzione, è uno strumento per realizzare queste politiche liberiste nell’Unione. Per questo è necessaria la lotta contro questa politica dell’Europa ed è positivo che in alcuni paesi, a partire dalla Francia, lo stesso trattato europeo raccolga vasti dissensi.

Una nuova Europa antiliberista, che si affranchi dai vincoli di Maastricht e del patto di stabilità, deve essere l’obiettivo di fondo del movimento sindacale nel nostro paese e in tutto il continente.

2. La domanda immediata che si pongono i lavoratori e gli iscritti della Cgil, di fronte al peggioramento delle loro condizioni e in vista di un possibile cambiamento di governo è: “Torniamo alla concertazione, si o no?”. Noi pensiamo di no.

E’ necessario ripensare le coordinate strategiche della politica sindacale. La Cgil in ogni quadro politico e sociale ha il dovere e la necessità di affermare la propria indipendenza dal governo, dai padroni, dai partiti o dalle coalizioni politiche. Occorre passare dal concetto di autonomia a quello di indipendenza, perché il sindacato può trovarsi di fronte governi avversari, come è il governo delle destre, ma non può avere governi amici.

Né si possono fornire aperture di credito verso l’attuale presidenza di Confindustria. La Confindustria, dopo il fallimento della linea definita a Parma con il Presidente D’Amato, linea fondata sullo scontro frontale con la Cgil e sugli accordi separati, ha cambiato impostazione. La Confindustria, dopo che le lotte condotte dalla Cgil e dalla Fiom hanno fermato l’attacco ai diritti del lavoro e il tentativo di “superare da destra” la concertazione, vorrebbe oggi tornare al modello fondato sull’accordo del 23 luglio ’93. La Confindustria, i poteri forti e le forze politiche moderate e neocentriste si propongono così di affrontare la crisi italiana con un nuovo “patto sociale”, di cui dovrebbe essere primo garante il possibile governo di centrosinistra.

In realtà il patto del 23 luglio e la politica dei redditi conseguente sono tra le cause della depressione dei salari e della riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori, per questo a quel modello di relazioni sociali non si può tornare, la politica dei redditi non può più essere un vincolo o un obiettivo sindacale.

In questi anni la ricchezza ha subito una vergognosa redistribuzione ai danni del mondo del lavoro. Gli stipendi dei supermanager sono oggi centinaia di volte superiori a quelli dei lavoratori dipendenti. La ricchezza è uscita dalle imprese che danno lavoro, ed è finita nella speculazione finanziaria. Non ha senso allora una politica di compatibilità dei salari, quando si parte da dati truccati, quelli che non misurano la ricchezza reale del paese e la sua effettiva distribuzione. Bisogna abbandonare ogni modello che comprima la capacità contrattuale del sindacato di aumentare i salari, bisogna invece rafforzare il ruolo dei contratti nazionali e sostenere i redditi da lavoro e le pensioni anche con parziali meccanismi automatici. A tal fine è indispensabile che fin d’ora si dica di no al tentativo della Confindustria e del governo di ridimensionare il ruolo di copertura salarial e del contratto nazionale, sia rispetto all’inflazione, sia rispetto alla redistribuzione della ricchezza. Va respinta ogni tentazione di scardinare l’assetto contrattuale attraverso una anomala idea della contrattazione territoriale, che aprirebbe le porte ad una inaccettabile concezione di “devoluzione contrattuale”, per alcuni versi già in atto, particolarmente nel settore delle pubbliche amministrazioni, con i processi di esternalizzazione, connessi a rapporti di lavoro a tempo determinato.

3. Assieme all’aumento dei salari reali, la lotta alla precarietà è l’altro pilastro che deve essere alla base dell’iniziativa sindacale.

In questi anni la precarietà è diventata la condizione unificante tutto il mondo del lavoro. Sono precari tutti i lavoratori, da quelli del lavoro diffuso e disperso nel territorio, a quelli della grande industria, dei servizi e della funzione pubblica. Sono differenti i gradi di precarizzazione, ma tutti i lavoratori subiscono questo attacco generale ai diritti e alla sicurezza. Lotta alla precarietà significa non solo abolire la Legge 30. Questa è una scelta indispensabile, ma non sufficiente. Occorre rimettere in discussione tutti i processi di precarizzazione realizzati con il Pacchetto Treu e avviare una nuova lotta contro la precarizzazione nella pubblica amministrazione e nella scuola. L’affermazione dei diritti delle persone deve diventare la leva per affermare un diverso modello di sviluppo.

Per questo il lavoro a tempo indeterminato deve ridiventare il rapporto di lavoro normale. I problemi di flessibilità delle imprese non possono più essere scaricati sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori. Essi vanno invece affrontati con la riduzione degli orari medi di lavoro. Il sindacato deve nuovamente rivendicare la riduzione generalizzata dell’orario settimanale.

La lotta per i diritti dei migranti è parte fondamentale della lotta contro la precarietà. Non si tratta solo di abolire la legge Bossi-Fini, che privatizza il permesso di soggiorno, affidandolo nelle mani di chi assume i migranti. Si tratta di cambiare la logica della stessa legislazione del centrosinistra, a partire dall’abolizione di strumenti odiosi di repressione, quali i Cpt.

I migranti debbono avere la possibilità di lottare per i diritti, come tutti gli altri. Questo significa diritto al voto, diritto alla pensione, diritto al ricongiungimento familiare, diritto alla casa. Occorre considerare i migranti non un problema, ma una grande leva con la quale far crescere i diritti di tutto il mondo del lavoro nel nostro paese.

4. Un diverso modello di sviluppo è l’obiettivo fondamentale su cui impegnare l’iniziativa della Cgil e di tutto il movimento sindacale.

Questo significa in primo luogo partire dalla realtà sociale concreta del paese, dalle diversità nello sviluppo e dal degrado di intere aree del Mezzogiorno. Si deve affermare l’obiettivo di una crescita giusta, compatibile con l’ambiente e con i diritti delle persone. Tutto questo non può avvenire subendo l’attuale ideologia della competitività, che impone la messa in vendita delle persone, dei sistemi economico-sociali, di interi territori. Occorre invece affermare l’esigenza di una crescita che garantisca servizi e diritti avanzati in tutto il paese. Il fallimento di un’intera classe industriale italiana, nelle sue strategie competitive fondate sulla compressione del costo del lavoro e dello stato sociale, implica che si scelga davvero una strada diversa da quelle seguite negli ultimi vent’anni. Non si tratta quindi solo di cambiare politica rispetto alle scelte dell’attuale governo di destra, ma anche rispetto a quelle dei governi di centrosinistra. La crisi industriale, a partire dalla Fiat, deve diventare un punto centrale delle politiche economiche del paese. Occorre fermare i processi di delocalizzazione e i licenziamenti, investire nella ricerca e nello sviluppo. In questo senso le direttrici di fondo su cui agire sono:

- lo sviluppo sociale e della qualità della vita del Mezzogiorno come condizione per lo sviluppo di tutto il paese;

- una politica economica ed industriale governata da una programmazione economica nella quale abbia un ruolo centrale l’intervento pubblico, a partire dalla Fiat. La programmazione deve intervenire a tutela dei grandi settori strategici: trasporti, energia, comunicazioni, ricerca scientifica, con una politica che in questi settori ponga fine alle liberalizzazioni e al mercato.

- una scelta di qualità della vita e per il risanamento ambientale, nei grandi centri urbani e nel territorio, affrontando i problemi del traffico, dell’abitazione, dei servizi, allargando la sfera pubblica e la sfera sociale in alternativa a tutti i processi di privatizzazione.

Per finanziare questi processi occorre agire decisamente sulla leva fiscale, colpendo l’evasione, la ricchezza, i grandi patrimoni. Non c’è modello di sviluppo avanzato e sistema di benessere diffuso senza un fisco giusto.

L’ambiente e la salute dei lavoratori

Ci sono priorità dalle quali anche il sindacato non può prescindere nella sua azione rivendicativa. Tra queste priorità c’è la difesa dell’ecosistema, delle risorse naturali e dei beni non rinnovabili tra cui di basilare importanza l’acqua e il diritto di accesso a questo bene che va tutelato e garantito.

E’ oggi fondamentale la questione delle fonti di energia, con l’impegno per l’adozione di tutte le fonti di energia pulita e di contrasto all’uso e abuso delle fonti inquinanti: idrocarburi, carbone ecc. L’ambiente è anche ambiente di lavoro e uno degli impegni prioritari riguarda la tutela della salute dei lavoratori: non si deve più contrattare la monetizzazione della salute.

5. Bisogna difendere, sviluppare, estendere le garanzie, le tutele e i diritti dello stato sociale.

L’Italia spende meno della media europea per la sicurezza e lo stato sociale. Per questo si deve pensare a un aumento della spesa pubblica sociale, fermando i processi di privatizzazione e liberalizzazione. Anche qui decisivo è il ricorso alla leva fiscale.

La scuola, la formazione e la cultura devono essere sottratti al dominio del mercato. Anche qui va abrogata la controriforma del governo di destra (legge Moratti), ma senza fermarsi di fronte alle riforme sbagliate del centrosinistra. L’aziendalizzazione del sistema scolastico è oggi l’avversario principale di ogni tentativo di rendere effettivamente fruibile per tutti il diritto allo studio e il diritto a una formazione permanente. Da questo punto di vista la stessa ideologia competitiva varata dall’Europa a Lisbona, danneggia l’istruzione. La scuola è un fattore di crescita delle persone e del sistema sociale, non può essere ridotta a un fattore di competitività economica. L’obbligo alla scuola pubblica, e non alla formazione professionale, fino a 18 anni d’età è la base per qualsiasi rafforzamento del sistema scolastico italiano. L’università deve tornare ad essere sede di ricerca e di diffusione di cultura e deve essere sottratta al dominio incrociato di burocratizzazione baronale e poteri dell’imprese.

Bisogna garantire il diritto a un sistema sanitario e a un sistema pensionistico pubblici per tutti i cittadini italiani e per tutti i migranti. Anche qui, non si tratta solo di combattere le controriforme della destra, ma di risalire a quelle scelte di privatizzazione e a quei cedimenti al mercato selvaggio, che si sono avviati durante i governi di centrosinistra. Bisogna finanziare la sanità per tutti con le tasse e non con i ticket. Il Tfr non può andare ai fondi pensione senza adeguata compensazione per i lavoratori, che perdono una mensilità intera della loro retribuzione. Inoltre va attuata una grande mobilitazione per impedire il passaggio automatico del TFR nei Fondi pensione integrativi tramite la regola del “silenzio assenso”. Occorre riportare tutto il sistema pensionistico dentro il sistema pubblico, per garantire soprattutto alle nuove generazioni una pensione adeguata.

Bisogna garantire il diritto alla casa. Vanno bloccati gli sfratti e bisogna rilanciare un piano di edilizia popolare, di lotta alla speculazione edilizia, di affitto delle case a basso costo, in particolare per i bassi redditi, i giovani, i migranti e gli studenti. La questione della casa è diventata esplosiva soprattutto nei grandi centri urbani e diventa una delle questioni centrali sia in una nuova politica sociale antiliberista, e deve impegnare il sindacato a una nuova iniziativa di mobilitazione e lotta.

6. Il rilancio dell’iniziativa di lotta è oggi fondamentale.

Questo in primo luogo nei confronti di un governo che, benché in stato di precarietà politica, continua a minacciare i diritti e le stesse regole democratiche del paese. La nuova legislazione in materia di lavoro, istruzione, previdenza, immigrazione, comunicazione, magistratura, assetto istituzionale e costituzionale, mette in discussione i fondamenti del modello di democrazia così come costruito dalla Carta Costituzionale del 1947. Tutta questa legislazione va abrogata.

Ma oltre alla lotta generale è necessario far crescere il conflitto diffuso. In primo luogo per difendere l’occupazione, i diritti delle persone, la sicurezza e la salute nelle città e del territorio. Da Melfi, agli autoferrotranvieri, a Scansano, a Terni, questi anni sono stati segnati da movimenti di lotta radicali che, proprio grazie alla partecipazione e alla convinzione di chi lottava, sono riusciti a cambiare i rapporti di forza. La Cgil deve porsi come obiettivo fondamentale quello della costruzione e della durata nel tempo dei movimenti di lotta. Senza il conflitto sociale nessuno degli obiettivi del lavoro è oggi realizzabile. La Cgil deve partecipare al nuovo movimento che si sviluppa contro la precarizzazione da parte di nuovi soggetti del lavoro. L’Euromayday è stato un appuntamento di grande significato ed è interesse della Cgil dare continuità a un rapporto tra nuovi movimenti e organizzazioni sindacali tradizionali.

7. La democrazia sindacale è un diritto fondamentale dei lavoratori e la condizione fondante dell’unità.

In questi anni ci sono stati comportamenti molto diversi nella Cgil sul piano della democrazia sindacale. Troppe zone d’ombra, troppe lacune, troppa distanza tra gruppi dirigenti e lavoratori. E’ necessario invece affrontare in modo organico il tema della rappresentanza e della democrazia, a partire dall’elezione delle RSU nei luoghi di lavoro. Le rappresentanze nei luoghi di lavoro, devono essere elette proporzionalmente ai voti ricevuti dalle liste, senza quote garantite per nessuno. Va reso obbligatorio l’uso dello strumento referendario come mezzo per esprimere democraticamente il giudizio sulle piattaforme, sulle proposte contrattuali, e di accordi tra le parti. Sul fronte della democrazia sindacale riteniamo fondamentale l’esperienza della Fiom.

La questione della democrazia deve diventare un vincolo per i comportamenti contrattuali di tutte le organizzazioni della Cgil. Non si possono fare percorsi e accordi unitari con le altre organizzazioni, se questi non sono fondati sulla democrazia sindacale. Solo questi comportamenti rigorosi possono creare le basi perché si giunga finalmente a una legge sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale, che renda definitivo il diritto dei lavoratori a decidere su ciò che li riguarda.

8. La crescita della democrazia partecipata deve essere uno degli obiettivi generali della Cgil.

Dopo gli anni nei quali è prevalsa l’ideologia della governabilità e della semplificazione, bisogna riaffermare in tutto il paese i principi costituzionali della democrazia partecipata. Questo significa lotta contro la devolution del governo di destra, ma anche critica a tutte le precedenti politiche di semplificazione democratica. Occorre ridare potere alle assemblee elettive rispetto agli esecutivi e ai cittadini rispetto alle assemblee elettive. Va messo in discussione il maggioritario.

Ma la democrazia politica ha bisogno della democrazia economica. Occorre dare ai lavoratori e ai consumatori potere di controllo organizzati sulle grandi scelte economiche. Su questo terreno è necessario elaborare e discutere proposte, anche prendendo in esame soluzioni differenti tra loro.

9. Un sindacato di lotta e di partecipazione. Questi anni di lotta contro il governo Berlusconi hanno evidenziato i pregi ma anche i limiti nella struttura della Cgil.

In primo luogo bisogna dare spazio alle capacità di organizzazione del movimento e della lotta all’interno dell’organizzazione. Bisogna far sì che l’organizzazione si apra e si misuri con tutti i movimenti. L’esperienza di Genova e quella della lotta per la pace, rappresentano modelli di rapporto sindacato-movimenti sui quali misurare l’esperienza di tutta l’organizzazione.

Bisogna rivedere la struttura organizzativa della Cgil. In questi anni è aumentato enormemente il peso di strutture, quali i regionali, che hanno assorbito risorse e apparati. Nello stesso tempo intere strutture e categorie non hanno i mezzi per operare a tutela dei lavoratori. Occorre andare dunque a una forte redistribuzione delle risorse e dei pesi politici, a favore del lavoro di organizzazione sindacale diretta dei lavoratori. Occorre valutare proposte come quelle della Fiom del sindacato d’industria, ed in ogni caso procedere ad accorpamenti ed unificazioni delle strutture sindacali in rapporto alla nuova realtà del mondo del lavoro. Occorre domandarsi se il modello di democrazia d’organizzazione, fondato sul diritto di proposta dei livelli superiori rispetto a quelli inferiori per la composizione dei gruppi dirigenti, corrisponda pienamente a una concezione di democrazia diffusa dell’organizzazione.

Il congresso della Cgil dovrà chiamare gli iscritti a decidere su scelte chiare, dovrà altresì discutere delle pratiche concrete che si sono sviluppate in questi anni nell’organizzazione. E’ inutile nascondersi che documenti votati all’unanimità hanno prodotto comportamenti sindacali difformi, e in alcuni casi opposti, sugli stessi temi, di fronte alla stessa politica delle controparti. Per questo consideriamo che abbia valore democratico, ove le differenze siano evidenti, che gli iscritti siano chiamati a decidere su di esse. Si può e si deve andare avanti sul piano della democrazia, con forme più articolate di partecipazione, che in particolare valorizzino le esperienze dei territori e delle categorie. Di particolare rilevanza per noi è il senso del congresso anticipato della Fiom, che rappresenta un punto avanzato per l’elaborazione di tutta la Cgil. Si può e si deve andare avanti nella democrazia e nella partecipazione nella vita della Cgil, ma non si deve tornare indietro.

Per questo occorrerà anche interrogarsi sulle stesse esperienze della sinistra sindacale organizzata nella Cgil. La votazione su mozioni alternative è stata un’innovazione profonda nella storia dell’organizzazione. Così si è finalmente eliminato il principio del pluralismo senza voto, garantito dall’alto. Ma l’esperienza delle sinistre sindacali organizzate ha anche prodotto fenomeni di burocratizzazione e di riduzione della battaglia politica a pura manovra nei gruppi dirigenti. Su tutto questo chiediamo di discutere e di riflettere.

Carlo Baldini
Wilma Casavecchia
Giorgio Cremaschi
Ferruccio Danini
Jole Vaccargiu

del Direttivo nazionale della Cgil

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