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Psicocomunista

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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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VITTORIE ELETTORALI
K.O. POLITICI E SOCIALI

Ancora sulla Grecia

(3 Ottobre 2015)

Sembrerebbe dunque che in Grecia si sia ripetuto il vecchio copione della vittoria elettorale della “sinistra” di Syriza, “tutto come prima”, anzi meglio perché, secondo alcuni, questa “conferma” rafforzerebbe il fronte del consenso alla politica perseguita “invariabilmente” da Tsipras a favore del “proprio popolo”. “Bene, bravo, ter” titola Il Manifesto parafrasando Cochi e Renato: “Bene, bravo, sette più” e la Rangeri non tarda a spiegarci che questa scelta dell’elettorato è stata non solo la migliore contro il pericolo di un ritorno della destra cattiva (quella buona era e resta alleata di Tsipras), ma anche rispetto al pericolo di una “deriva estremistica” in grado di indebolire il fronte progressista. Lezioncina da tradurre subito in... italiano!

Inutile ricordare qual è stato il reale decorso di Syriza, ma cerchiamo comunque di richiamarlo alla memoria. Primo atto: proposizione di una politica dura, aggressiva, nei confronti della Trojka e del FMI in nome degli “autentici interessi popolari della Grecia” da imporre (!) alla controparte di Bruxelles nell’ambito della comunità europea con l’opzione alternativa di un’uscita (grexit) dal sistema in nome del “fai da te” per un riscatto nazionale, eventualmente con tanto di ritorno alla dracma. Il tutto affidato all’“espressione della volontà popolare” attraverso un libero voto elettorale ed elettoralesco a scanso di una reale mobilitazione di massa delle forze proletarie di classe (anche qualche “transitorio” sostenitore critico di Syriza di qui ha dovuto ammettere l’effetto soporifero di questa via parlamentaristica allo “spostamento a sinistra” del quadro politico-sociale greco). Secondo atto: costituzione di un governo di coalizione con un settore della destra che c’immaginiamo doversi qualificare come “progressista” con tanto di consegna ad essa del settore chiave della difesa, con tutto quel che ne consegue e di cui abbiamo già detto nel nostro precedente intervento sul tema. Nel frattempo nessun serio attacco ai bastioni del “nemico principale di casa propria”, ossia dei reali bastioni della borghesia nazionale, ma di un referendum popolare ingannatore in grado di esprimere i desideri della popolazione da presentare a Bruxelles come autentica opzione della “gente” con cui fare i conti (ed i conti Bruxelles li ha fatti benissimo rimandandoli al mittente che li ha dovuti tranquillamente inghiottire). Di fronte alla “svolta” di Tsipras a questo punto c’è la rivolta interna a Syriza che, con Varoufakis in testa, grida al “tradimento”. Ed allora terzo atto: Tsipras si libera tranquillamente della sua “ala estremista” e si ripresenta alle elezioni per confermare la propria lealtà al diktat strangolatorio di Bruxelles, ma con l’ovvia intenzione di contrattarne modi e tempi in modo da non pesar “troppo” sul proprio “popolo” di riferimento (glielo concediamo facilmente prendendo tale intenzione per quel che vale, cioè zero). E intanto le avances verso coalizioni più ampie, da “partito della nazione” si direbbe dalle nostre parti, si moltiplicano. Ma tanto la sede del governo sovrano non sta ad Atene.

Sono in molti nel “nostro” milieu a parlare di “tradimento” e, in particolare, quelli che in precedenza agitavano la bandierina di Syriza come forza similrivoluzionaria. Noi respingiamo risolutamente questa terminologia e le pretese analisi che la sottendono. Sin dall’inizio Syriza si è presentata coi connotati di un partito riformista di sinistra radicalmente estraneo all’unica reale prospettiva di rottura col sistema borghese vigente all’interno della Grecia ed entro la “casa comune” europea (per non dire di quella globale a scala internazionale): a questa stregua i suoi margini di “manovra” erano strettamente determinati e non potevano portare che all’esito attuale di dismissione delle promesse antagoniste precedenti. Come giustamente dicono la Rangeri & Co. si tratta di “realismo” e “senso della responsabilità” e niente a che fare con estremismi e settarismi antisistema, e in questo ambito possono ben restare gli antidolorifici ed anestetizzanti di cui Tsipras si fa carico.

Per qualcuno tra i meglio addestrati in terminologia “marxista”, come gli amici di Falcemartello, di cui riportiamo in appendice le ultimissime “lezioni” tirate oggi, già ieri Syriza non era “di per sé” il prototipo di un partito conseguentemente rivoluzionario, ma si trattava di favorirne lo sviluppo in tale direzione attraverso la pressione delle forze “marxiste” entriste al suo interno e se ne vantava il peso specifico come assicurazione sulla vita... a venire (se non andiamo errati si parlava di un 40% pronto alla bisogna con in testa una pattuglia di “trotzkisti” addirittura collegati ad una “tendenza internazionale” a garanzia). Oggi gli stessi debbono constatare il tracollo della strada imboccata. Questo blocco granitico di sinistra non è riuscito a darsi corpo che nell’aborto di Unità Popolare che ha mancato persino il quorum del 3% per entrare in parlamento. La critica a Lafazanis e i suoi di Falcemartello è inappuntabile: “un partito non si improvvisa in quattro settimane” e tanto meno con un programma di tipo nazional-populista che difende “una prospettiva ed un programma simile” a quello di Syriza “secondo cui è possibile riformare il sistema capitalista”. Tanto più in quanto esso si configura di nuovo come uno scompaginato rassemblement di 13 (!!!) sottoformazioni politiche ognuna delle quali con “pari dignità ed autonomia” (leggere il programma di UP per credere!) in nome di un possibile (alla Civati) “socialismo del XXI secolo” in un solo paese sulla granitica base di una neo-dracma. Ma, attenti compagni, de te fabula narratur: tu, “tendenza internazionale marxista” raccogli oggi quel che ieri hai seminato. Il Fatto Quotidiano ha titolato: Tsipras ha ucciso la (sua) sinistra. Non è esatto: questa “sinistra” interna si è semplicemente suicidata da sé (un anacoluto, ma per rendere l’idea).

Detto questo va smentito un altro assioma su cui gioca ancora, in abbondante compagnia, Il manifesto, quello della persistenza in Syriza della stessa base sociale ante-ter. L’astensionismo dilagante in queste elezioni ha eroso una buona fetta della stessa base “popolare” precedente per la stessa Syriza cui sono venuti a mancare i voti di una buona fetta della classe che c’interessa e che da essa era stata illusa captando, per converso, voti di altri settori “popolari” che potremmo dire comprensibilmente poco propensi a scivolare (per il momento) a destra o a ridar fiducia al Pasok in quanto artefici palesi dell’attuale disastro ereditato da Syriza. Ed è anche sintomatico che si riconosca che il voto di molti dei disoccupati resi tali dal treno di questi anni è andato ad Alba Dorata; particolare non da poco nella prospettiva di un aggravarsi della crisi. Il tutto entro questo quadro: “Se il 26 gennaio si percepiva una sensazione elettrizzante di fiducia e speranza (mal riposte, n.n.), oggi per le strade di Atene regnano demoralizzazione e disillusione”. L’attuale 35% di voti per Syriza già non raggiunge il 20% dell’elettorato, ma, per giunta, come delega residua al “meno peggio” sul mercato nell’ambito di una totale rassegnazione al sistema dominante. E chi in precedenza – tra le forze politiche “rivoluzionarie” – si era elettrizzato ne è rimasto fulminato.

Fuori dal quadro resta il KKE, coerentemente attestato su un programma perlomeno verbalmente anticapitalista (anche nel caso del referendum, per cui lo si accusa di “settarismo” per non essersi allineato alla “storica occasione”) e di aperta sollecitazione alla lotta di massa con cui dargli corpo. Ed è però significativo come anche questo partito si ritrovi in una posizione di stallo. Il che può da un lato significare il dato di fatto delle sue interne “debolezze” (su cui non abbiamo veli da stendere) dall’altro le intrinseche debolezze attuali del movimento proletario greco ed internazionali che richiederanno un lungo e faticoso cammino per essere sormontate. L’orizzonte comunista non è all’immediato ordine del giorno, d’accordo, ma teniamolo ben fermo senza abbandonare la barricata del programma e delle lotte di classe su cui va incardinato.

Queste “lezioni dalla Grecia” inviano anche a noi, qui, un messaggio forte: come uscire dalle strette del renzismo? Temiamo fortemente che voglia ripetersi anche qui lo stesso giochetto sperimentato in Grecia di pasticci malcombinati tra tante e diverse forzette “alternative”, sempre tutte autonome e sovrane in nome delle “diversità”, per concorrere a qualche seggio al parlamento di leale opposizione/cooperazione con i padroni del vapore. Ovviamente pronti tutti, al ballottaggio, a fare la propria parte di sostegno “critico” alla “meno peggio” delle opzioni in campo.

Già: il partito della rivoluzione non si abborraccia né in quattro né quaranta settimane su programmi di tal fatta e con giochetti entristi in grado, al massimo, di salvar l’anima dei suoi “capi” dopo aver staccato la corrente alla lotta anticapitalista delle masse cui pretendono riferirsi!

POST FESTUM

Pubblichiamo qui un pezzo “niente male” di Falcemartello. Niente da ridire sul paesaggio ivi dipinto e poco da obiettare anche sulle posizioni di principio qui espresse. Solo che queste “lezioni” suonano in aperta contraddizione con tutto il detto e fatto quo ante e su questo punto i nostri inappuntabili compagnucci non tirano alcuna lezione. Sarebbe istruttivo a tale proposito raccogliere l’antologia delle controlezioni precedenti. Ed altrettanto lo sarebbe sentire qualcosina in merito alla traduzione italiana di queste “lezioni”, vale a dire sul che fare qui da noi per non deragliare su binari analoghi a quelli dell’esperienza greca da cui i nostri pretendono di essersi salvati gettandosi dal treno dopo esserne saliti e proposti come aiutanti alla guida a disastro avvenuto.
2 ottobre 2015

Lezioni dalla Grecia

21 settembre 2015

Tsipras ha vinto le elezioni in Grecia, con oltre il 35% dei voti. Eppure tra la vittoria elettorale del 25 gennaio e quella del 20 settembre sembrano essere passati non pochi mesi, ma secoli.
L’astensione ha raggiunto il 45% degli aventi diritto al voto. Praticamente tutti i partiti perdono voti, ma chi ne è più colpita è Syriza, abbandonata da oltre 300mila elettori.
Se il 25 gennaio si percepiva una sensazione elettrizzante di fiducia e speranza, oggi per le strade di Atene regnano demoralizzazione e disillusione. Se quella notte i festeggiamenti erano in una Piazza Syntagma stracolma, ieri Tsipras ha parlato in una piazza secondaria della capitale, oltretutto semivuota.
Quando Syriza era andata al governo per la prima volta, i primi ministri e i tecnocrati di mezza Europa avevano sudato freddo, preoccupati. Ancora a luglio attaccavano senza pietà Tsipras, quando aveva osato convocare il referendum contro i diktat della troika. Oggi, da Dijssembloem a Hollande passando per il tedesco Shultz, si sono tutti affrettati a fare i complimenti a Tsipras: “Finalmente un governo forte per portare avanti le riforme”. La borghesia europea infatti non si è scordata che Tsipras ha dovuto convocare elezioni anticipate dato che aveva perso la sua maggioranza in Parlamento, dopo che aver capitolato davanti alla troika, disatteso il programma elettorale e cancellato la vittoria del No al referendum del 5 luglio. Tsipras a queste elezioni si è presentato con un programma ben diverso: quello del rispetto dei tre memorandum che ha accettato o firmato, che prevedono austerità praticamente senza fine.
Memorandum che aggravano una situazione economica già devastante. La disoccupazione aumenterà al 30% alla fine del 2015, il Pil crollerà del 4% all’interno di una previsione di una contrazione del 12,5% per il triennio 2015-17 (fonte: Financial times). Secondo l’accordo firmato ad agosto a Bruxelles, l’80% delle misure concordate (127 leggi) deve essere approvato entro l’anno. Alcune sono già state introdotte: l’aumento dell’Iva, i tagli alle pensioni e l’inizio delle privatizzazioni che hanno già portato alla svendita degli aeroporti regionali.
Pensare, come fanno molti a sinistra, che Tsipras potrà avere oggi maggiori margini di manovra per smarcarsi dalle pressioni del capitalismo greco e internazionale, significa vivere di illusioni.
Non ci sarà un secondo tempo nelle trattative, la partita è stata truccata fin dall’inizio dalla borghesia europea.
“I compiti davanti al nuovo governo saranno ancora più duri di quelli che hanno dovuto affrontare tutti i governi greci dall’inizio della crisi”, spiega un editoriale del Financial Times del 21 settembre. C’è ben poco da festeggiare, insomma.
La classe dominante ha compreso che solo Tsipras ha oggi la possibilità di portare avanti le misure concordate con Bruxelles. Nessuno, nel campo dei partiti della borghesia, può garantire la medesima affidabilità, tanto più dopo questo risultato elettorale. Nemmeno all’estrema destra: Alba dorata non supera il 7%.
Le elezioni hanno dimostrato anche che la maggior parte dei giovani e dei lavoratori non vedono oggi alcuna alternativa credibile alla sinistra di Tsipras
Nessun partito alla sua sinistra è riuscito a rappresentare in maniera significativa la radicalizzazione espressasi nelle giornate attorno al 5 luglio, quando il 61% dei greci ha votato no al referendum e in centinaia di migliaia erano scesi in piazza.
In quel momento, di ascesa della lotta di massa, quando Tsipras ha tradito il movimento firmando il Terzo memorandum, solamente sette giorni dopo il voto, nessuno è riuscito a fornire un’alternativa di lotta alle masse. Il Partito comunista greco si è tenuto volutamente ai margini dello scontro referendario, proponendo un voto di astensione. Il settarismo dimostrato in quei giorni (e non solo) si riflette oggi sul terreno elettorale, dove il Kke rimane sostanzialmente stabile.
Le responsabilità più grandi a sinistra ricadono tuttavia sulla Piattaforma di sinistra, la principale opposizione all’interno di Syriza capeggiata dall’ex ministro delle risorse energetiche Lafazanis.
Subito dopo la capitolazione di Tsipras questa tendenza avrebbe potuto conquistare la maggioranza del partito. Il primo ministro era isolato e il Comitato centrale aveva richiesto di non sottoscrivere il memorandum.
La Piattaforma di sinistra ha preferito non disputare la leadership di Tsipras ed è caduta in pieno nella trappola preparata quest’ultimo. Lafazanis ha accolto la convocazione di elezioni anticipate e lo slittamento del congresso straordinario del partito come un fatto compiuto, operando la scissione dal partito senza combattere realmente. D’altra parte, per tutti i mesi in cui è stato ministro Lafazanis non si è mai differenziato dalle scelte dell’esecutivo.
Unità popolare si è trovata a competere con Syriza sul terreno più sfavorevole, in una campagna elettorale organizzata in fretta e furia e con concorrenti nel campo antiausterità, come il Kke, con una tradizione ben maggiore. Ed è stata sconfitta: con il 2,87% non raggiunge il quorum e non avrà seggi in parlamento. Un partito non si improvvisa in quattro settimane.
Il problema principale per Lafazanis e per l’ex presidente del parlamento Kostantopoulou è stato tuttavia politico. Unità popolare ha deciso di essere considerata come il partito che difendeva il programma di Salonicco, quello presentato da Syriza alle elezioni di gennaio. Questo programma ha
svelato tutta la sua natura fallimentare in questi ultimi mesi. Non è stato possibile trovare un compromesso con la troika e nessun governo europeo è arrivato in soccorso di Atene, tanto meno la Bce di Draghi.
La realtà è che Lafazanis e i suoi non potevano presentarsi in maniera credibile come un alternativa a Tsipras perché difendono una prospettiva e un programma simile, quello secondo cui è possibile riformare il sistema capitalista. “Se non ce l’ha Syriza, perché ce la deve fare Lafazanis” si devono essere chiesti in molt.
Su una cosa divergono: mentre per Tsipras il capitalismo si può cambiare a livello europeo, per Lafazanis si può trasformare in Grecia, attraverso un ritorno alla sovranità nazionale e l’uscita dall’euro. L’adozione di una propria moneta avrebbe “rafforzato la base produttiva” e “l’indipendenza nazionale”, secondo il programma di Up. Anche qui viviamo nel campo delle illusioni, di chi crede che i padroni greci possano cominciare a investire di nuovo solo perché hanno in mano delle dracme o che la borghesia internazionale scenda a più miti consigli di fronte a un moto d’orgoglio di un governo nazionale.
La Grecia fornisce dunque importanti lezioni a chi occhi per vedere e orecchie per ascoltare.
Non è possibile alcun “piano B” né alcuna soluzione riformista all’interno dell’economia capitalista. Chi ci prova viene distrutto o piegato alla volontà del capitale senza tanti complimenti, si chiami Tsipras o Varoufakis. Chi sinceramente vuole le riforme, può conquistarle solo attraverso una lotta rivoluzionaria.
L’alternativa, oggi più che mai, non è tra euro e dracma ma tra Europa capitalista e rivoluzione socialista.
Tali lezioni sono importanti anche e soprattutto perché la strada per Tsipras è tutt’altro che in discesa. Il nuovo governo Syriza – Anel nasce indebolito e con una maggioranza più risicata rispetto a gennaio.
I partiti che il 20 agosto hanno votato per il memoradum il 20 agosto hanno perso un milione e 100mila voti. Le urne ci consegnano una fotografia della situazione attuale: le masse sono esauste dopo anni di lotte e si sentono deluse dai propri partiti, a cui sono disposte a fornire al massimo un appoggio passivo.
Le controriforme che Tsipras dovrà portare avanti da domani produrranno un effetto pesante sulle condizioni di vita delle masse greche. Quando rialzeranno la testa e torneranno alla lotta, molto probabilmente insieme ai lavoratori di altri paesi d’Europa, lo faranno dopo aver fatto tesoro dell’esperienza di un governo riformista. La lotta di classe in Grecia non è finita: si ripresenterà a un livello superiore.
Chi, nelle fila nel movimento operaio, saprà comprendere le ragioni della sconfitta del riformismo, sia di “destra” che di “sinistra” potrà essere all’altezza di fornire una direzione rivoluzionaria al conflitto di classe che incombe, in Grecia come nel resto d’Europa.

Nucleo Comunista Internazionalista

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