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GOVERNO RENZI: SEGNO + ALLA PROPRIETA' PRIVATA,
SEGNO - ALLA FORZA-LAVORO!

(23 Ottobre 2015)

Editoriale del n. 34 di "Alternativa di Classe"

renzi squinzi

L'appetito, si sa, vien mangiando. Infatti, non pago del risultato ottenuto dal Governo Letta con l'Accordo del 10 Gennaio '14 ed il Testo Unico, che consentono solo alle organizzazioni firmatarie la partecipazione alle elezioni delle RSU, peraltro previste nel settore ferroviario per fine Novembre, il Governo Renzi a Giugno aveva chiesto alle “parti sociali” (Confindustria e sindacati confederali) di trovare un nuovo accordo sulla rappresentanza “in tempi brevi”, magari entro l'autunno. Ormai, ci siamo vicini.
E' un dato che i due “guru” su questo tema paiono essere P. Ichino e C. Damiano; entrambi convergono sulla percentuale del 5%, ottenuta alle elezioni per le RSU, per poter trattare e firmare accordi. Meno probabile appare il fatto che possa contare allo stesso livello anche la percentuale di tesserati dall'organizzazione sindacale sul totale dei lavoratori interessati a trattativa ed accordo, date le obiettive difficoltà nella validazione dei dati, affidata oggi, con il Testo Unico vigente, all'INPS.
In ogni caso, la percentuale del 5% serve già a tagliare molte sigle sindacali, mentre, almeno nel settore privato, potrebbero essere anche le stesse prossime elezioni RSU, se tardasse la legge, ad occuparsi di altre esclusioni, contando sul fatto che, oltre ai sindacati corporativi ed ai confederali, vi potranno partecipare solo la Confederazione COBAS, l'USB e l'ORSA, cioè quei sindacati di base che hanno firmato (solo tatticamente?) il Testo Unico. Il vero motivo di un accordo ancora peggiore alle porte, dopo il, già pesantissimo, “Testo Unico”, si spiega con la volontà delle controparti padronali e governative di rendere la vita difficile, oltre che ai lavoratori, a quei sindacati di base che, oggi legittimamente, hanno rifiutato comunque “il 10 Gennaio”...
In ogni caso, se “non trovassero l'accordo aziende e sindacati”, il Governo Renzi ha già annunciato che si “vedrà costretto”, certamente entro la fine dell'autunno, ad agire d'imperio: l'obiettivo, proclamato apertamente, è quello di legare ancora di più i livelli salariali “all'andamento aziendale”. Ad “aiutare” il raggiungimento di questo obiettivo, palesemente corporativo, dovrebbe essere la prevista istituzione per legge di un “salario minimo orario”, ovviamente al ribasso, rispetto a quello esistente di fatto.
A proposito di contrattazione aziendale e “diritto di sciopero”, non si esclude, inoltre, la possibilità di una votazione certificata sullo stesso sciopero proclamato (non era considerato essere un “diritto individuale”? Relatività del diritto borghese!...), per il quale si dovrà votare preventivamente, e, per poterlo poi fare effettivamente e senza incorrere in sanzioni, dovrà risultare favorevole, secondo Ichino il 50%, e, secondo Damiano, almeno il 30% dei lavoratori coinvolti, altrimenti lo sciopero sarebbe “illegittimo”; a partire, magari, dai servizi pubblici in genere, o dal solo settore dei trasporti.
Le modalità di rappresentanza avranno sempre più importanza, visto il ruolo delle contrattazioni aziendali, che potranno sostituire, parzialmente o totalmente (ipotesi su cui, ad oggi, dissente finanche la “sinistra PD”!... - ma tutto “si evolve”), il contratto nazionale: in pratica al livello aziendale potranno essere decisi, oltre al salario, orari di lavoro e livelli di inquadramento!... Inoltre il Governo intende ridurre drasticamente il numero dei contratti nazionali, cosa non disprezzabile di per sé, ma, “ovviamente”, senza allineamento ai livelli maggiori !!
L'introduzione per legge del “salario minimo orario” era stata inizialmente invocata dalla Confindustria di Squinzi al posto del contratto nazionale, dopo la sua chiusura unilaterale di Martedì 6 della trattativa (quasi clandestina) sull'ennesimo “rinnovo del modello contrattuale” con i sindacati confederali, peraltro ognuno su di una propria tesi. Questi ultimi non trovavano di meglio che supplicare Confindustria di tornare a trattare, non senza il “cortocircuito” della CGIL di S. Camusso, che, forse allettata dalla velata posizione del governo di “riaprire la concertazione” (il suo “sogno proibito”) proprio sul modello contrattuale, ha subito rivendicato la continuazione delle singole trattative di rinnovo categoriale, parallelamente ad una ripresa del “dialogo” a partire da una futura ipotesi del Governo.
Prendendo in parola Susanna Camusso, Federchimica ha presentato al proprio tavolo una proposta, che è stata colta al volo dai sindacati di categoria: meno di 48 ore di “trattativa” e zero (0) ore di sciopero, ed ecco una nuova ipotesi di accordo: come al solito, anche questa volta i chimici fanno da “apripista”! Nel frattempo, Giorgio Squinzi, che fa parte di quella categoria, ha fatto uscire per Confindustria un “Pentalogo per il rinnovo dei contratti”: neanche a dirlo, risulta “sovrapponibile” all'ipotesi, confezionata per i chimici. I suoi punti, in sintesi, sono: 1) attuazione (consensuale) del “Jobs act”; 2) nessun terzo livello di contrattazione (territoriale); 3) centralità del contratto nazionale (per la produttività e la competitività aziendale); 4) minimi tabellari variabili con l'indice Ipca (significa che solo quando si registra inflazione si hanno aumenti salariali!...); 5) contrattazione del welfare aziendale.
Non a caso, nell'ipotesi di contratto dei chimici si prevede che, se gli aumenti dei prezzi sono minori del previsto, l'aumento salariale può, addirittura, ritornare indietro! E' realizzata, così, compiutamente la “contrattazione di restituzione”, ora che gli industriali teorizzano anche un contratto nazionale senza aumenti salariali. A fronte di questa indegna firma, la CGIL azzarda a dire che “gli aumenti salariali ci vogliono ancora”, mentre l'ineffabile Ministro Poletti minaccia ancora il proprio intervento unilaterale: consenso sindacale o no, si tratta, per Governo e padroni, solo di vedere quanto sarà il malessere che si esprimerà. Scontato il voto contrario se e quando ci sarà una consultazione, il da farsi per i lavoratori non ha proprio a che vedere con queste dinamiche, anche se ne va tenuto conto.
Senza grossi scossoni nell'immediato, cessato “l'allarme” (almeno per ora) sull'intervento italiano in Iraq “contro ISIS”, smentito ufficialmente da Renzi in persona Domenica 11 in televisione, l'attenzione dei media si sta rivolgendo alla Legge di stabilità, varata Giovedì 15 dal Consiglio dei Ministri, e battezzata “Italia col segno più (+)”, visto che anche i diversi organismi internazionali sono concordi nel prevedere per quest'anno il segno più sul PIL italiano (cosa, questa, che rende il premier letteralmente euforico!). Starà, invece, alla Commissione Europea di vagliarne il testo, per un parere vincolante, prima della discussione parlamentare.
La finanziaria (alias “Legge di stabilità”) è di 27 - 30 miliardi di Euro, grazie alla deroga, ottenuta dalla UE sulla diminuzione del rapporto deficit/PIL, cui obbligava il “Fiscal compact”. Prevede, fra l'altro, la abolizione di Tasi, Imu agricola ed Irap agricola. Questo comporterà, com'è successo in tutto il resto d'Europa, una diminuzione dello stato sociale, per le minori risorse da stanziare sui servizi, e, fatti i conti, una consistente diminuzione delle tasse solo per le imprese: in definitiva, si andrà ancora ad assottigliare lo spazio della forbice tra gli scaglioni fiscali alti, per i redditi maggiori, e quelli bassi, che, di fatto, non diminuiscono!
Inoltre, alle diffuse attese in materia di pensionamenti, anche, “addirittura”, verso la giusta abolizione della Legge Fornero, la “risposta” del Governo è stata quella del “part time per i 63enni”: un provvedimento, con il quale l'unico a perderci è sicuramente il lavoratore in età da pensione, che, pur continuando a lavorare, potrà già provare la vita di stenti, che, quasi certamente, lo attenderà, una volta (finalmente...) pensionato.
In pratica, poi, ai vergognosi tre miliardi già tagliati sulla spesa sanitaria, che rendono più difficili le cure mediche per i ceti deboli, si aggiungeranno altri due miliardi di spesa pubblica in meno, con la cosiddetta “spending review”, soprattutto per le Regioni: in tutto cinque miliardi di tagli dei servizi! In particolare, vi sarà un “bel” taglio alle partecipate degli enti locali: una spinta a privatizzare l'acqua (dove non lo è già) e non solo... Alle imprese, poi, vanno un miliardo, con la cancellazione dell'Imu su capannoni e macchinari (sui quali verrà ammortizzato addirittura il 140%: veramente un regalo!), un miliardo e mezzo per la proroga della decontribuzione per i nuovi assunti (grazie al Jobs act), la riduzione dell'Ires (cioè della tassazione alle imprese), “più soldi (pubblici - ndr) a chi contratta su produttività e welfare aziendale”, più fondi (pubblici) per le aziende che “vanno” in Africa a “cooperare”, e via di questo passo!
A completare l'inequivocabile segno di classe padronale della manovra sono gli € 80,00 per i redditi annui inferiori a € 3mila: i “poveri”, che constano di 600mila famiglie: li otterranno, infatti, solo se hanno bambini! Siamo di fronte ad una finanziaria che premia le attività delle imprese, senza trascurare di accontentare i proprietari di case e terreni (chi – non solo i borghesi – ha dato il suo assenso ideologico alla proprietà privata), a scapito dei “soliti noti”: i proletari, cioè quelli che saranno colpiti anche su contratti e diritto di sciopero (contro i quali la campagna ideologica governativa prosegue, nonostante la formale interruzione della trattativa) e che, da sempre, sono destinati a pagare.
Di fronte ai provvedimenti descritti, i sindacati confederali hanno indetto un pacchetto di sole quattro ore di sciopero generale, da gestirsi territorialmente, e nel mese di Novembre. La protesta, però, riguarda il disegno di legge di stabilità, ma non la questione della trattativa sul “modello contrattuale”, né i licenziamenti, ormai divenuti fatto quotidiano! La distanza tra loro ed i lavoratori reali è sempre maggiore, e sta raggiungendo livelli da distacco definitivo e, forse, irreversibile!!
Ormai l'obiettivo del Governo Renzi è sempre più chiaro a tutti: legare le remunerazioni dei lavoratori occupati alle fluttuazioni dei mercati (in positivo ed in negativo), dando campo libero alle imprese per licenziare: è a questo che ci si deve opporre oggi, e le varie proposte dei partitini di “sinistra” e/o della CGIL non si pongono su questo piano, perdendosi, nella migliore delle ipotesi, su singoli aspetti... Si tratta di organizzarsi per difendere le condizioni di vita e di lavoro della classe, che sono sempre più incompatibili con l'arricchimento delle borghesie nazionali, di capire che la politica del capitale è la stessa in tutta Europa, e cercare, perciò, di coordinare al più presto le lotte, che urgono quanto mai, almeno fino al livello europeo.

Alternativa di Classe

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