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(5 Novembre 2015)

soldati usa

di David Brooks (*)

Un giovane di 15 anni in questo paese ha vissuto tutta la sua vita con la guerra, è stato educato dai leaders del suo paese al fatto che la guerra è la risposta, che il sangue degli altri, compreso quello di altri giovani della sua età in paesi sconosciuti, deve essere sparso ai fini che - gli assicurano - sono quelli della sicurezza nazionale, della difesa di qualcosa chiamato libertà, diritti umani, democrazia e persino in nome della pace.

Il premio Nobel per la Pace Barack Obama ha annunciato venerdì scorso che invierà circa 50 elementi delle forze speciali in Siria, ma ha assicurato che si tratta solo di consiglieri e che essi non parteciperanno ai combattimenti. Nello stesso momento è stato comunicato che si stanno inviando altri aerei da combattimento in Turchia per quella che, si spera, sia un’intensificazione dei bombardamenti in Siria. Nello stesso tempo si sta incrementano la cooperazione con il governo dell’Iraq – dove Obama ha inviato circa 3.500 effettivi – per attaccare l’ISIS (conosciuto anche come Esercito Islamico) in quel paese.
Notizia meno conosciuta: il suo governo ha anche inviato, giorni scorsi, i primi di circa 300 effettivi in Camerun per aiutare nella lotta contro Boko Haram alla frontiera con la Nigeria. Precedentemente il governo aveva comunicato che le truppe statunitensi (un minimo di 5.500 militari) avrebbero dovuto rimanere più tempo in Afganistan, più oltre del 2016.
L’uomo che promise – da candidato e poi da presidente – di mettere fine alle guerre statunitensi e che le truppe sarebbero tornate a casa, oggi è solo un comandante in capo di più che, in nome della pace, dei diritti umani, eccetera eccetera, è obbligato a continuare le guerre.

Nel caso della Siria, è la prima volta che vengono dispiegate truppe statunitensi che rimarranno in quel territorio. Questa è l’intensificazione di una strategia che il presidente ha annunciato da più di un anno, ha affermato il suo portavoce, con la speranza che nessuno si ricordi che Obama aveva proclamato nel 2013: non metterò scarponi statunitensi sul terreno in Siria.
Allo stesso modo, l’anno scorso Obama aveva dichiarato che le truppe statunitensi non sarebbero più state impiegate in combattimento in Iraq, ma recentemente il suo governo ha dovuto ammettere che è successo il contrario, con un militare statunitense morto in combattimento in quel paese la scorsa settimana.

La giustificazione è la lotta contro l’Isis in Iraq e Siria. I bombardamenti e le forze finanziate dalla CIA non sono riusciti a fermare una crisi crescente nella quale gli Stati Uniti hanno cercato prima di promuovere il rovesciamento del presidente siriano – il che ha aperto uno spazio di manovra per l’Isis in Siria – e adesso sembrano aver deciso che l’Isis sia il nemico prioritario. Intanto Russia e Iran, fino a poco tempo fa nemici di Washington, ora sono come alleati incomodi su questo fronte. Tipo: adesso nessuno sa bene contro chi stiamo lottando.
E c’è la preoccupazione che gli statunitensi in Siria possano incrociare il fuoco con i russi, soprattutto per l’intensificazione dei bombardamenti ordinata da Mosca.

Per confondere un po’ di più tutti, il portavoce del governante ha affermato che il presidente è stato abbastanza chiaro sul fatto che non c’è una soluzione militare ai problemi che colpiscono l’Iraq e la Siria.
C’è una soluzione diplomatica. What??

L’uso delle forze speciali, insieme alle missioni permanenti die droni, è diventato parte di quella che si potrebbe chiamare la dottrina di guerra di Obama.

Di fatto le forze speciali solo dell’esercito, i berretti verdi, sono stati impiegate in missioni di vario tipo in 135 dei 195 paesi del mondo durante l’ultimo decennio, informa il sito Internet del comando delle forze speciali dell’esercito degli Stati Uniti. Ma questo non comprende le forze speciali di altri settori militari.
Il portavoce del comando delle operazioni speciali afferma che queste sono state dispiegate in 147 paesi solo nel 2015, un record per molti versi, riporta Nick Turse in TomDispatch. Segnala anche che in un giorno dato dell’anno, le truppe più d’élite degli Stati Uniti possono essere presenti da 70 a 90 paesi. In totale queste forze ammontano già a quasi 70 mila (erano 33 mila nel 2001).

Turse scrive che queste forze portano a termine operazioni completamente sconosciute agli statunitensi che pagano le tasse per finanziarle, operazioni condotte lontano dalla vista dei mezzi di informazione e da qualsiasi tipo di supervisione esterna significativa.
Ogni giorno, in 80 o più paesi che il comando delle operazioni speciali non identificherà, realizzano missioni riguardo alle quali il comando rifiuta di parlare. Esistono ….. in un mondo segreto di sigle misteriose e di sforzi nella nebbia, di missioni misteriose mantenute segrete al pubblico statunitense, per non parlare della maggioranza delle 135 nazioni dove sono queste forze speciali state dispiegate quest’anno.

Come se non fosse sufficiente, ora siamo testimoni di un gioco pericoloso in cui navi da guerra statunitensi sfidano le forze militari cinesi in un territorio in disputa – una catena di isole artificiali – nel mare del sud di quel paese. La Cina ha avvertito Washington di pensarci due volte prima di realizzare azioni irresponsabili. Tutto con la giustificazione di difendere la libertà di navigazione.

Gli Stati Uniti stanno già iniziando il 15° anno da quando hanno cominciato queste guerre, le più lunghe della loro lunga storia di guerre.

Nessuno può contare il numero delle vittime, ma queste sono sufficienti perché i giovani di 15 anni di età spieghino a tutti i comandanti in capo, e alle loro grandi équipes di strateghi e a tutti i politici a cui piace tanto mandare i figli degli altri a uccidere e a morire, che – nella loro esperienza (e nella realtà empirica) di vita fino a oggi –sembra che queste guerre seminino più insicurezza e generino più violenza, annullino la libertà, siano una enorme violazione di tutti i diritti umani, schiaccino qualsiasi principio democratico e, ovvio, uccidano la pace.

Forse il peggio è già successo e la guerra è diventata parte della normalità quotidiana in questo paese.
Speriamo che i quindicenni rifiutino questa versione del loro futuro.

(*) Giornalista messicano; da: jornada.unam.mw; 2.11.2015

Traduzione di Daniela Trollio - Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”, Sesto S.Giovann

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