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Turchia, arrestati i giornalisti Dündar e Gül

(27 Novembre 2015)

giornalisti turchi

Le minacce erano state dirette e pesanti con tanto di denuncia da parte di Erdogan in persona: Dündar, il direttore di Cumhuriyet, è un provocatore, traditore e terrorista collegato col network del movimento Hizmet; ha inscenato il ritrovamento di armi nelle casse di medicinali in viaggio verso la Siria per denigrare la patria; merita un ergastolo, anzi due, per attentato alla sicurezza nazionale nel personale del Mıt e per spionaggio. Un assist perfetto cosicché ora un giudice spicca un mandato di cattura per lui e il caporedattore della testata di Istanbul, Erdem Gül. La coppia di giornalisti è stata condotta in carcere, Dündar ha fatto in tempo a dichiarare ai cronisti che seguivano il prelevamento “Noi non siamo né traditori, né spie, né eroi; siamo giornalisti. Quel che abbiamo fatto era attività giornalistica”. La “colpa” dei redattori del quotidiano turco nel servizio del gennaio 2015 (i due arrestati ne rispondono in quanto responsabili) era seguire le tracce che portavano ad alcuni autotreni di aiuti umanitari in viaggio verso la Siria.

Agenti della polizia di frontiera, rovistando fra le casse caricate sui camion trovavano mitra e munizioni, più colpi di mortaio e di contraerea. La perquisizione era stata predisposta da un magistrato, probabilmente c’era stata una soffiata interna ad ambienti giuridico-polizieschi. Ma i reporter erano estranei alla manovra, avevano semplicemente filmato l’operazione di controllo, esercitando il diritto di cronaca. L’accondiscendenza di Ankara verso gruppi islamici impegnati contro il regime di Asad non è cosa nuova e va avanti dal 2012, egualmente il doppiogiochismo nei confronti dei miliziani dell’Isis è palese da oltre un anno, il carico di armi dunque poteva essere rivolto agli uni o agli altri, oppure a quei guerriglieri anti Asad del ceppo turkmeno, i Bayirbucak Turkmens, venuti alla ribalta di recente dopo l’abbattimento del Su 24 russo sul confine turco-siriano. Uno dei piloti è infatti caduto nel territorio controllato da quest’etnìa.

All’epoca dell’imbarazzante ritrovamento, anziché chiarire come mai il materiale bellico si trovasse fra antibiotici e antidolorifici, per settimane i vertici dell’Intelligence hanno accampato scuse, come se dovessero nascondere un’iniziativa maldestra. Quindi nell’ordine il governo per bocca del premier e soprattutto il Capo dello Stato hanno inveito contro lo scoop giornalistico, definendolo una losca provocazione. Non contento Erdoğan ha alzato i toni, ha utilizzato anche quest’episodio per la sua battente campagna repressiva rivolta alla stampa non acquiescente, ha scatenato sul fronte dell’informazione denunce e arresti di cronisti, su quello amministrativo-gestionale veri e propri scippi, com’è accaduto al management della Koza Ipek Holding’s media consegnata a imprenditori e amici vicini all’Akp, per finire col tollerare gli assalti alle sedi dei giornali messi in atto da attivisti del partito islamista. Tutte iniziative nelle quali è difficile non cogliere una regìa da parte dell’uomo forte di quello che diventa un “kemalismo islamico” intollerante e fanatico.
27 novembre 2015

articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it

Enrico Campofreda

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