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(28 Marzo 2011) Enzo Apicella

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E SE LA VERA PROPOSTA AMBIENTALE FOSSE QUELLA DEGLI ANTI-COP21?

Perché le ONG stanno fallendo una battaglia già persa e sul clima non si ode nulla di nuovo

(1 Dicembre 2015)

E' difficile comprendere le politiche internazionali in materia di ambiente e clima, semplicemente perché non ci sono. La repressione dei cortei contro la Conferenza di Parigi rischia di voler mettere a tacere l'unica proposta sensata (e concreta)

anticop21

C'era purtroppo da aspettarselo. In una Parigi ancora giustamente sconvolta per i tragici attentati delle ultime settimane, una Conferenza internazionale non poteva che essere vissuta all'insegna delle preoccupazioni preventive e del resoconto pubblico di forze d'opposizione bollate a prosecuzione del fondamentalismo con altri mezzi (dal terrorismo al vandalismo). Ma non ci sembra che sia davvero andata così. Innanzitutto, gli Stati nazionali sembrano essersi scelti un'opposizione di comodo, che a turno viene definita "spillo", "spina", "pungolo" o "monito". La rete delle organizzazioni non governative avrà anche intuito alcune battaglie meritevoli nel corso degli ultimi due decenni, ma adesso la sua proposta politica (in specie in materia ambientale) ha davvero il fiato corto e anzi sembra il laboratorio per il futuro di un certo tipo di associazionismo. Rivendicazioni molto, molto indefinite e in linea di massima sempre condivisibili (più ambiente, più diritti, più pace, più acqua) che, però, vogliono rappresentarsi come il vero volto pragmatico e concreto della lotta politica. I santoni dei grandi cambiamenti che vengono fatti con la scelta del "fare", appunto, ma fare cosa non si capisce troppo bene. Dal punto di vista propositivo, riesce facile riconoscere molta più concretezza e dinamica alle iniziative sotto il nome di "anti-cop21". Innanzitutto: quante conferenze internazionali e per fronteggiare sempre gli stessi problemi con gli stessi timidi strumenti e conseguenze invece sempre più gravi? E quanta ipocrisia nel sapere perfettamente che non verrà deliberato alcun sostanziale cambio di passo? E quanti rischi di criminalizzazione preventiva di forme di opposizione già viste all'opera negli anni che ora si trovano a dovere essere etichettate come complici e conniventi di chissà quale insicurezza sociale? Il punto fondamentale su cui deve focalizzarsi una vera azione ecologica è essenzialmente uno: gli aggiustamenti settoriali (che aggiustano in un punto, ma permettono peggiori violazioni in altri) non servono più. Potevano contenere i fenomeni tempo addietro, adesso sono essenzialmente maldestri e spesso anche attuativamente pasticciati. In secondo luogo: la comunità internazionale non ha alcuna politica ambientale che non sia rendere le condizioni di sfruttamento del sistema, dell'ambiente e della manodopera in grado di riprodursi più a lungo nel tempo. Leggiamo i dibattiti e scopriamo che non c'è nuova sensibilità ambientale. E nemmeno la riproposizione di tesi opinabili, ma talvolta sostenute negli studi, come la sopravvalutazione del riscaldamento climatico, magari a beneficio di altri temi ecologici (il problema non è il caldo, il problema è la distruzione degli ecosistemi; il problema non è il caldo, non c'è nessun problema; e via di questo passo). Le potenze che puntano sull'industrializzazione pesante -un ambito già molto congestionato- non possono cedere rispetto al mantenere le regole e gli strumenti pratici che "drogano" innaturalmente quell'industrializzazione. Ma anche le potenze che puntano su settori apparentemente diversi e, invece, spesso collaterali (armamenti, gestione del credito e del debito internazionale, ecc.) sanno perfettamente che il mantenimento di questo asset è stata la ragione del loro rafforzamento. I vertici internazionali in materia ambientale si inseriscono perfettamente in questa faglia: si cerca una complicatissima quadra dove però i temi più urgenti della tutela ambientale non vengono toccati. Non si riflette abbastanza sul sistema produttivo, e men che meno si delibera di abbattere lo sfruttamento esponenziale delle risorse (ivi comprese, sic!, le risorse umane). Difficilmente si chiamano le cose col loro nome: quali sono gli Stati che determinano le condizioni meno salubri e in che modo bisognerebbe agire per rendere manifeste le falle degli Stati apparentemente virtuosi (gestione dei rifiuti, aggiornamento degli indici dell'inquinamento ecc.). Il cui prodest ha una risposta altrettanto ovvia: il rebus sic stantibus. Altro che impegno epocale per le nuove generazioni! E' esattamente questo a dovere cambiare: non la sistematica delle quote di inquinamento massimo consentito o i valori da applicare ai diversi indici già esistenti.
Dire queste cose significa fare affermazioni ragionevoli e davvero coerenti ad una politica ambientale che non passi attraverso l'indifferenza. Quelli che lo hanno fatto sono finiti nel tritacarne mediatico della sicurezza pubblica. Ma anche questa è speculazione bella e buona: non si gioca con le ferite di una città, di una comunità, persino di uno Stato, soltanto per rendere più attaccabile e indigesta un'istanza collettiva.

Domenico Bilotti

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