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SULL’ORLO DELLA GUERRA

(14 Febbraio 2016)

Ormai da molto tempo nubi di guerra stanno addensandosi sullo scenario geopolitico mondiale: fin qui però tutti gli allarmi, pur giustificati dai fatti, sono apparsi passare in secondo piano e pare proprio impossibile sviluppare un movimento per la pace provvisto della necessaria tensione internazionalista e in grado di mobilitare le masse.
Gli ultimi avvenimenti, in particolare sul teatro siriano, ci indicano che l’obiettivo della pace assume una valenza prioritaria, quasi di sintesi delle contraddizioni di questa fase della modernità: di sintesi e di riassunto al riguardo delle stesse prospettive di permanenza in vita dell’umanità sul pianeta.
Senza la pace non vi può essere “politica” ed è questo il motivo perché bisogna far ritornare questo punto in cima ai nostri obiettivi in qualunque punto del Pianeta si lotti per i grandi temi che ci affliggono: lo sfruttamento dell’uomo e del territorio, la crescita delle disuguaglianze, la regressione dai diritti.
Sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sfruttamento dell’uomo sulla terra, sull’acqua, sull’aria, genocidi, stermini di massa: un intreccio mostruoso che trova proprio il suo punto di saldatura nell’idea di guerra globale.
Il pericolo di guerra è tornato avere una sua logica razionale e strumentale all’interno del concetto e della pratica della modernità. Non si tratta di un rischio episodico o periferico, ma davvero il “fatto globale”.
Dentro la globalizzazione era venuta a mancare la distinzione tra guerra e terrorismo, fra civili e militari, fra Stati e gruppi armanti “privati” e questo aveva fatto smarrire il senso della piena internazionalizzazione del conflitto.
Gli USA, autonominatisi “gendarme del mondo” avevano risposto a vari livelli con la guerra “asimmetrica” contro il terrorismo, la guerra “umanitaria” collocata ben oltre il principio della non ingerenza, la guerra “preventiva” collocata ben oltre il divieto delle guerre di aggressione: il tutto raccolto, a un livello superiore, nella guerra per “l’esportazione della democrazia” che si fondava sull’ipotesi che esistessero nessi cogenti fra la qualità interna di un ordine politico e la sua propensione alla guerra e che in un mondo tutto democratizzato la guerra divenisse impossibile.
Da lì i tanti disastri sparsi per il pianeta, dal Medio Oriente, all’Asia Centrale, all’Africa del Nord a quella sub-sahariana a quella orientale.
Il movimento anti-globalizzazione è stato su questo balbettante se non silente proprio per via della sua impostazione iniziale che escludeva la sua piena politicizzazione, tagliando fuori ogni possibilità che da esso sortissero ipotesi politiche strutturate di trasformazione radicale della società.
Il movimento no-global, in sostanza si è definito semplicisticamente anti-liberista perché ha accettato, nel profondo, il dettato filosofico della “fine della storia” enunciato da alcuni politologi americani di destra ispiratori – appunto – di una politica tragicamente aggressiva
Oggi è mutata la qualità di fondo della presenza della guerra in questa fase della storia ed è il caso di riprendere la riflessione su tre punti : la lotta per la pace come priorità di un’agenda che non dobbiamo farci imporre da nessuno; l’internazionalizzazione immediata del movimento (mai più manifestazioni per la Palestina a Londra con tutte le altre capitali silenti o quasi, ad esempio); la connessione, sul piano teorico e politico, dell’idea della pace con il complesso delle contraddizioni riguardanti lo sfruttamento dell’uomo, della natura, della vita in ogni angolo del pianeta.
Un brusco cambiamento di rotta, un necessario mutamento di paradigma dal quale potrebbe e dovrebbe sortire anche un’ipotesi e una possibilità di cambiamento nell’azione e nella strutturazione politica.
Forse è qui che si possono trovare le ragioni del socialismo del XXI secolo.
E’ il caso quindi di lanciare un forte appello perché il movimento per la pace recuperi le sue ragioni di fondo, comprenda la necessità di lottare a tutto campo e di investire la politica nel suo insieme.
La pace come valore universale, un principio fondamentale e irrinunciabile proprio come era stato espresso nel progetto kantiano.

Franco Astengo

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