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Hiroshima

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(7 Agosto 2010) Enzo Apicella
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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

Il 2016 sarà ancora anno di crisi del capitale mondiale e di lotta operaia

(25 Febbraio 2016)

Il nostro sicuro pronostico per il nuovo anno è che il capitalismo continuerà a portarsi dietro tutti i suoi vecchi vizi deformità e guasti che da troppo tempo ormai appestano il suo decrepito regime.

Subito abbiamo avuto una nuova scossa delle borse asiatiche, partito dalla Cina. Questo rigurgito della infinita crisi finanziaria, oltre i suoi motivi contingenti, dimostra che anche il giovane e potente imperialismo cinese non è affatto indenne dalla crisi del capitalismo mondiale, nel quale è sempre più integrato e con ripercussioni tettoniche sull’intera economia del pianeta.

Il prezzo del petrolio ha continuato a flettere, nonostante la guerra in Siria. Non può essere imputato solo all’Arabia Saudita, che non intende ridurne l’estrazione, ma alla recessione produttiva a livello mondiale che inghiotte meno dell’oleosa piena.

Non c’è continente esente da tensioni, interne e tra tutti gli Stati imperialisti. In Medio Oriente i loro rapporti in questi primi giorni dell’anno si stanno facendo sempre più aspri, proprio quando quelle potenze responsabili della carneficina in Siria starebbero per contendersene le spoglie.

La guerra per procura che i vari imperialismi si fanno nell’area è giunta al quinto anno e ha causato più di 250 mila morti, in grandissima parte civili, in un paese di poco più di 20 milioni di abitanti. Ha provocato la fuga in milioni dalle loro case, miseri, affamati e disperati. Il regime di Assad, ridotto alla difensiva, si trova in difficoltà sia sul piano politico sia militare. La Russia ha dunque deciso di intervenire direttamente a difesa sua e dei suoi alleati, le milizie sciite iraniane e il movimento libanese di Hezbollah. Questo fronte è appoggiato anche dall’attuale governo iracheno.

In risposta si è subito schierato il fronte avverso, capeggiato dall’Arabia Saudita e dalla Turchia, alleati degli Stati Uniti. Non sono mancate gravi provocazioni, la contraerea turca che abbatte un bombardiere russo, l’uccisione da parte dei russi di un capo delle milizie che si oppongono al regime di Assad, finanziate da Riad. Ultimo episodio in questo crescendo è stata l’esecuzione di un rappresentante dell’opposizione sciita al regime saudita, con conseguente rottura delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Iran, Stati già in forte tensione per la guerra nello Yemen che li vede schierati su fronti opposti.

La Cina, affamata di petrolio, mentre copre le spalle alla Russia e all’Iran, si avvicina a quella regione strategica e impianta una base militare a Gibuti.

Anche la Libia resta terreno aperto di scontro tra le milizie locali, finanziate e armate dall’Egitto, dal Kuwait, dal Qatar, mentre la diplomazia occidentale, fra cui l’Italia, non riesce ad imporre un governo amico che assicuri le forniture di petrolio e gas. Gli Stati Uniti, anch’essi sul campo, per adesso si tengono in secondo piano e agiscono tramite i loro alleati nella Nato, la Turchia, la Francia, la Germania.

Tutto sta a dimostrare come quelle dello Stato Islamico, presunto risorto Califfato, siano solo bande mercenarie ostentate ad un’opinione pubblica sempre più smarrita per nascondere la vera guerra, quella tra gli Stati imperiali per una nuova spartizione della regione mesopotamica, e non solo.

La polveriera del capitalismo è da un secolo pronta ad esplodere. La irrisolvibile sovrapproduzione di merci, che monta ormai da 40 anni, può essere sfogata solo con le commesse per il riarmo in grande. Solo la guerra può rimandare la fine della società borghese. Resta da stabilire quanto ancora il capitalismo mondiale potrà attendere prima di iniziare a distruggere in un nuovo conflitto mondiale la montagna di quanto inutilmente prodotto. Solo con una guerra riuscirà ad azzerare la traboccante massa del debito che non riesce più a ritrasformarsi in capitale e produrre plusvalore.

Una sola forza storica può spezzare questa condanna, quella del proletariato, classe internazionale chiamata a distruggere il capitalismo. È strada lunga e difficile. Inizia con la resistenza all’oppressione padronale e con l’organizzarsi in sindacati. Prosegue, scansato ogni pacifismo interclassista, con il rifiuto delle false vie del nazionalismo, del patriottismo, della solidarietà nella guerra borghese.

L’anno nuovo che noi comunisti attendiamo è quello della ripresa della solidarietà proletaria internazionale, della risoluta lotta sindacale, dell’opposizione proletaria al riarmo crescente, imponendo la guerra di classe ad impedire lo scatenarsi della guerra tra Stati, preparando la rivoluzione comunista internazionale.

Partito Comunista Internazionale

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