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Golf Club Lampedusa

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(31 Marzo 2011) Enzo Apicella
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    Da Ninì Tirabusciò a Renzi. L’esterofilia provinciale

    (Quamquam ridentem dicere verum quid vetat? Che cosa vieta di dire la verità ridendo?)

    (6 Maggio 2016)

    ninì tirabusciò

    La mania di usare parole straniere per darsi delle arie, per dare un tocco d’esotismo ai propri discorsi e scritti ha una lunga storia. Ci limitiamo ad alcuni episodi e aneddoti che partono da fine ottocento ai giorni nostri. A quell’epoca, imperversavano i Café-chantant, e, dalla parola francese chanteuse (cantante) era nato il termine napoletano di sciantosa. Le sciantose amavano usare nomi francesi, nella lingua veicolare allora più diffusa nell’Europa continentale. Ninì Tirabusciò è una canzone del 1911, ispirata ai personaggi delle sciantose, di Salvatore Gambardella e Aniello Califano. C’è anche un famoso film del regista Marcello Fondato “Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa”, del 1970, con Monica Vitti.
    L’esterofilia provinciale, simpatica nelle sciantose, nelle soubrette, diventa ridicola quando, come nel caso di Renzi, vuol fingere una cultura linguistica che non c’è.
    Molti politici italiani sono famosi per la loro scarsa conoscenza delle lingue estere. E talvolta sono sorte leggende. Si disse che Vittorio Emanuele Orlando non ottenne grandi risultati alla Conferenza di Versailles perché non conosceva la lingua inglese. Ma a Versailles c’era pure Sidney Sonnino, che, avendo la madre inglese, poteva litigare senza interpreti con Woodrow Wilson. Se la diplomazia italiana non ottenne molto, non fu per scarsa conoscenza linguistica, ma per la limitata potenza del paese rispetto al nuovo colosso imperialistico rappresentato da Wilson. Quest’ultimo, all’estero considerato il difensore del diritto dei popoli all’autodeterminazione, in patria reintrodusse forme di segregazione razziale persino nel governo federale. Questo aspetto della sua politica di solito non viene citato nei manuali liceali.
    Il fascismo capovolse l’esterofilia in un nazionalismo caricaturale. L’ostracismo dato alle parole straniere fu grottesco. Innanzitutto Mussolini, se fosse stato coerente, avrebbe dovuto cambiare il proprio nome in Benedetto, essendo Benito un nome spagnolo e latino americano. Una parola di origine latina come hotel, da hospes (ospite) e dal tardo latino hospitale, fu sostituita da albergo (gotico haribergo, alloggio). D’Annunzio cercò invano di sostituire cognac con arzente, ebbe successo con “Rinascente” e con “velivolo” (copiato da Lucrezio, dove aveva il significato di nave che vola con le vele). I gerarchetti amavano le citazioni latine, ma il latino non ne ebbe benefici. Pochi notavano gli errori. Toccò a Gramsci in carcere osservare che Marinetti, al quale avevano affidato la traduzione della Germania di Tacito, aveva reso “Exigere plagas” (esaminare le ferite) con “esigere le piaghe”, un’assurdità. (lettera a Tatiana Schucht, 26 agosto 1929)
    Mussolini intraprese guerre contro le mosche e contro i dialetti, ma le perse entrambe. Solo la televisione impose l’uso dell’italiano all’interno delle famiglie, facendo arretrare i dialetti.
    Nel secondo dopoguerra, sia pure con eccezioni, la conoscenza delle lingue tra i politici lasciava a desiderare. I due episodi che seguono sono basati sulla memoria, del secondo apparve un articolo di giornale, che non ho più.
    Un insegnante di francese mi raccontò di aver corretto un gravissimo errore su un compito, ma l’allievo stupito replicò: “ma c’era nel discorso di Fanfani all’ONU”. E il giorno dopo, tra le risate della scolaresca, fece sentire la registrazione dell’intervento di Fanfani alle Nazioni Unite, in cui l’errore marchiano era ben in evidenza.
    Anni dopo, non ricordo in quale giornale, un interprete si lamentava per il fatto che i politici italiani, nonostante le loro limitate conoscenze linguistiche, non si servissero delle competenze tecniche della loro categoria. Andreotti –aggiungeva - parla francese, ma, soprattutto quando è stanco, con un accento spiccatamente ciociaro.
    In seguito, si è fatto di peggio. Nel 2012 il governo italiano ha rinunciato agli interpreti in gran parte delle riunioni del Consiglio dei ministri dell’Unione europea a Bruxelles.
    “I delegati italiani che vengono a Bruxelles a negoziare i nostri interessi dovranno capire e parlare l’inglese. La cabina di interpretazione italiana viene mantenuta nelle riunioni di alto livello, che riguardano ministri e ambasciatori, mentre viene soppressa in quelle più tecniche, cui partecipano di solito funzionari ministeriali.” (Bruxelles, l’Italia rinuncia agli interpreti, e al suo peso in Europa...” Sergio Marani, Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2012). I risultati di questa decisione si vedono.

    Craxi e Martelli prediligevano le frasi latine. Claudio Martelli, in un discorso parlamentare del 1988
    Disse : «Simul stabunt vel simul cadunt», immediatamente corretto da Alessandro Natta: «Cadent, Martelli, cadent!». Vuol dire: insieme staranno oppure insieme cadranno. La frase è attribuita a papa Pio XI, per indicare che la messa in discussione del Concordato avrebbe fatto decadere anche i Patti Lateranensi. La stessa frase sbagliata fu ripetuta da Craxi e poi da Berlusconi. Craxi amava le citazioni latine, un amore non corrisposto, e, quando qualcuno faceva una citazione sbagliata, Enrico Montesano commentava: “ ha studiato latino con Craxi”.
    Veniamo a Renzi: Lercio lo accusa di aver dichiarato, parlando inglese, “ a sua insaputa” guerra all’Ucraina. Ma ci sono proteste più serie. Come quelle di Beppe Severgnini, sul Corriere della Sera. “In italiano si chiama ‘riforma del lavoro ’. Perché mai devono chiamarlo Jobs Act?”
    “Secondo Severgnini questo uso dell'inglese è un tuffo nel passato, quando nel Medioevo i politici parlavano latino per non far capire al popolo comune cosa stava davvero succedendo. “L'inglese è come la saccarina, non lo zucchero, saccarina che viene messa nel caffè pubblico della politica italiana”, afferma. “È qualcosa che addolcisce così tanto le cose che la gente non capisce davvero quale sapore ci sia sotto”... “Vogliamo procedere con i giusti controlli delle spese, ma allora perché non li chiamiamo in italiano, ‘revisione della spesa?'”, chiede Severgnini. “Semplice e chiaro… ma no, loro la chiamano ‘spending review’, che comunque molti italiani non riescono a pronunciare”.”
    L’esterofilia provinciale, se era sopportabile e simpatica in sciantose e soubrette, è assolutamente intollerabile nel presidente più snob dell’Italia repubblicana, che salta da un paese all’altro e chiacchiera spesso a vanvera.
    “L'orgoglio è una bestia feroce che vive
    nelle caverne e nei deserti; la vanità invece è un
    pappagallo che salta di ramo in ramo e chiacchiera in
    piena luce.”
    (Gustave Flaubert)

    Michele Basso

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