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La Fiamm se ne va in Cina. Lavoratori in sciopero

Chiudono le fabbriche di Montecchio e Almisano

(9 Giugno 2005)

La Direzione della Fiamm Spa, storica azienda di Montecchio Maggiore con stabilimenti in Usa, Brasile, Rep. Ceca, India, Cina e Italia (Avezzano, Veronella, Almisano e Montecchio Maggiore) e che occupa complessivamente oltre 3.000 dipendenti, ha comunicato alle rappresentanze sindacali l’intenzione di non rispettare più l’accordo sindacale sottoscritto un anno fa. Questo accordo prevedeva il mantenimento delle produzioni nel Vicentino, un piano triennale di investimenti, il rifinanziamento della società da parte degli azionisti e un piano per ridurre i costi ed aumentare la produttività. Adesso la Fiamm intende delocalizzare in Cina e nella Repubblica Ceca le produzioni dello stabilimento di Almisano e di quello di Montecchio Maggiore, con conseguente chiusura dei due stabilimenti e perdita di circa 440 posti di lavoro. Per questo Fim, Fiom e Uilm di Vicenza organizzano per il 10 giugno, in occasione dello sciopero nazionale dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto, una manifestazione provinciale a Montecchio Maggiore per dire forte e chiaro che con le delocalizzazioni non si risolvono i problemi e per dire alle istituzioni e al governo che è loro preciso compito intervenire di fronte a questi disastri e agire per evitarne altri. "Noi ci opporremo a questa scelta aziendale - dichiarano i sindacati -, perché causa una grossissima perdita per il nostro tessuto industriale, impoverisce un territorio che le ha dato spazio e risorse e soprattutto perché lascia senza un posto di lavoro circa 440 persone oltre ad almeno 150 che lavorano presso fornitori".

Il prossimo 10 giugno Montecchio Maggiore diventerà una delle piazze più importanti dello sciopero nazionale dei metalmeccanici. Il senso di quest’importanza è dato dalla durissima lotta sindacale aperta da Fim-Fiom-Uilm nella città castellana dopo che, il 26 maggio, la Fiamm ha annunciato la chiusura degli stabilimenti di Montecchio (segnalatori acustici per automezzi, 160 lavoratori) e Almisano (batterie per telecomunicazioni, 260 lavoratori). Restando in Veneto, non ci sono per il momento decisioni simili riguardanti la fabbrica di Veronella, dove sono occupati altri 400 dipendenti. "Chiudere questi due impianti produttivi - afferma Giampaolo Zanni, segretario generale della Fiom Cgil di Vicenza - significa non solo mandare sul lastrico 410 famiglie, ma anche creare grossi problemi a tutti i lavoratori dell'indotto di Fiamm nella zona dell'Ovest Vicentino". Se si pensa che l’azienda della famiglia Dolcetta tenta questo brutale “colpo di mano” a un mese dalla cessione all’americana Enersys del ramo che produce batterie per carrelli elevatori (altri 170 dipendenti, per ora al loro posto di lavoro i sotto nuovi padroni nella sede storica di Montecchio, assieme ai 150 amministrativi del gruppo), il disegno è chiarissimo: cancellare la presenza di Fiamm dalla provincia di Vicenza, per trasferire totalmente in Asia e in Cechia (dove l’azienda possiede da tempo altri stabilimenti) una produzione industriale nata nel Vicentino una sessantina di anni fa, e oggi in grado di dare lavoro a circa 3.500 dipendenti sparsi in varie parti del mondo.

Ignorata la ripresa

“Abbattere il costo del lavoro è l’unico modo – spiegano in sintesi alla Fiamm – per reggere l’urto della nuova concorrenza internazionale, unita ai continui rincari delle materie prime”. Il danno per la provincia berica, se questo “epitaffio” diventerà realtà, si profila immenso: in termini di costi occupazionali, e con pesanti ricadute sugli equilibri socio-economici di un vasto territorio, nel quale vanno considerati gli altissimi rischi di chiusura o riduzione del lavoro riguardanti tutte le piccole aziende sorte nell’indotto generato dalla presenza di Fiamm, a cui destinavano parte preponderante della propria produzione. Si calcola siano almeno 600 le famiglie destinate a pagare sulla propria pelle, in termini di sussistenza economica, le conseguenze di un disegno del genere. Sconcerta il fatto che il piano prenda corpo all’indomani di altri più lieti annunci, diffusi da Fiamm attraverso media come Sole 24 Ore e Giornale di Vicenza. Ad esempio l’aumento di fatturato relativo al 2004: 497 milioni di euro, pari all’1,2% in più. O anche la ripresa di operatività dovuta al contenimento dell’esposizione bancaria.

Per questo possiede tutte le caratteristiche di un fulmine a ciel sereno la doppia chiusura messa sul piatto dall’azienda, suscitando da parte di Fim Fiom e Uilm risposte sfociate in scioperi immediati e presidio 24 ore su 24 degli stabilimenti, dove i lavoratori hanno bloccato qualsiasi traffico, in entrata e in uscita, dei camion di fornitori e clienti. “Nulla di quanto accaduto da un anno a questa parte – conferma Maurizio Ferron, segretario provinciale della Fiom/Cgil – poteva far immaginare una decisione del genere, che risulta ancora più irrispettosa e lesiva nei confronti dei lavoratori, se si considera cosa era stato concordato sul piano delle trattative aziendali per fronteggiare le nuove sfide della concorrenza internazionale”.

Sindacati traditi

I fatti a cui Ferron si riferisce trovano spiegazione nell’accordo che Fiamm e sindacati confederali stipularono nel 2004, circa il piano di ristrutturazione presentato dal gruppo. “Dopo due anni di perdite, e a fronte di un’esposizione bancaria sempre più pesante – spiega Ferron – convenimmo di andare incontro a determinate richieste avanzate dall’azienda. Da qui l’utilizzo sostenuto della Cassa Integrazione, e la messa in mobilità di almeno 120 lavoratori. Misure pesanti, in cambio delle quali ottenevamo l’impegno a mantenere la produzione nel territorio, e a garantire i maggiori livelli possibili di occupazione”. Ora che i frutti dell’intesa sono sotto gli occhi di tutti, conseguiti nonostante l’aumento massiccio delle spese per materie prime (28 milioni di euro solo per il piombo acquistato da Fiamm nel 2004), arrivano in rapida successione prima la notizia della cessione a Enersys del ramo batterie per carrelli, e poi il piano di trasferimento in Cina e Cechia, con destinazione di una parte delle batterie per telecomunicazioni anche alla sede americana del gruppo. “Alle rappresentanze sindacali – precisa Ferron – l’azienda si è limitata a giustificarsi in modo assolutamente generico, tirando in ballo il permanere della crisi e la necessità di abbattere radicalmente il costo del lavoro. E’ un atteggiamento che riteniamo inaccettabile.

A difesa del territorio

Cercheremo di impedire con ogni mezzo possibile, consentito dai diritti dei lavoratori, l’attuazione di un disegno così nefasto per l’intero territorio, soprattutto perché gli stessi numeri dichiarati dall’azienda sono premessa al mantenimento della produzione nel Ovest Vicentino”. Da qui il via a una lotta sindacale che, se da una parte si annuncia lunga, dall’altra può contare sulla totale adesione dei lavoratori, con inevitabile coinvolgimento di istituzioni (a cominciare dal Comune di Montecchio Maggiore, passato nel 2004 al centrosinistra), e partiti politici della sinistra. “Il primo obbiettivo –conclude Ferron – è lo sciopero del 10 giugno, quando la manifestazione provinciale dei metalmeccanici vicentini si terrà a Montecchio Maggiore, coinvolgendo migliaia di lavoratori nella solidarietà con i lavoratori della Fiamm”.

Fonte

  • (www.rassegna.it, da «Vicenza Lavoro», n. 9, giugno 2005)

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