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Una nazione di assassini

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(11 Maggio 2011) Enzo Apicella

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(13 Giugno 2016)

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Nel Paese più militarizzato del mondo e a maggiore densità di soggetti che lavorano per le Intelligence ufficiali e ufficiose, istituti come G4S, per il quale lavorava il killer di Orlando Omar Mateen, diventano un supporto non indifferente al controllo di ogni angolo dei cinquanta Stati confederali. La G4S è stata la trasformazione di una società di vigilanza per compagnìe di navigazione (Kjøbenhavn Frederiksberg Nattevagt) nata in Danimarca nel 1901. La società svolse questo compito per mezzo secolo, quindi fino al 1989 la crescente crescita in Europa la fece entrare in partnership con British Telecom. Nel 1990 il gruppo, che diventava un vero colosso della sicurezza, si presentò sul mercato statunitense, passo che accrebbe le sue quotazioni anno dopo anno. L’esposizione delle specialità mostrate dal website del gruppo, marcato dal 2004 con la sigla G4S ed espanso in 125 nazioni con 620 mila addetti, parla il linguaggio dell’autorità multinazionale. Negli Usa gli addetti sono cinquantamila. G4S-Usa nel 2008 ha acquisito MJM Investigations, che s’occupa di frode assicurativa nei sinistri, l’anno seguente acquistava Adesta, un provider che integra si sistemi di sicurezza e comunicazione. Fino alle più recenti mosse che inglobano altri specialisti (Cotswold Group) anch’esso impegnato su temi come sorveglianza, frode, investigazioni. Insomma più che un leader, una potenza.

Eppure Cia, Fbi, Nsa, eserciti, sceriffi e le tante G4S non bastano a tener sotto controllo un territorio immenso e pesantemente cosparso di armi che, come i bambini sanno e i bambini-killer ancor più, s’acquistano ovunque, a qualsiasi prezzo e a qualsivoglia età. Bastano sotterfugi e commercianti che, per affari o adesione ideologica alla diffusione delle armi nel territorio, siano compiacenti all’acquisto e il bello e bellicoso strumento può finire nelle mani più disparate adulte, giovanili e infantili. Esperte o meno. Eppure nel caso dell’afghano d’America esercitatosi nel letale tiro a bersaglio di gay - scelti come simbolo della propria riprovazione forse più machista che religiosa o comunque in entrambe le combinazioni - non è tanto l’uso dell’arma quanto chi la utilizza. Certo, con un fucile da guerra come quello usato il compito dello stragista risulta facilitato. Ma occorre soffermarsi su qualche altro aspetto che i fautori dell’iper armatismo statunitense troveranno antipatico: l’infiltrazione. Contro la quale il senso di tutela e prevenzione potrà far crescere esponenzialmente la sindrome xenofoba anche nella multietnica società statunitense. Magari agendo soprattutto contro gli islamici (i poco amati messicani per l’occasione vengono sopportati). Come fidarsi del figlio o del nipote dell’immigrato mediorientale che va a fare anche la semplice guardia giurata? Anche questo diventerà un tema che infiammerà il restante confronto-scontro Clinton-Trump. Al di là di scoprire se l’Omar della G4S abbia compiuto la strage per scelta personale oppure obbedendo a un piano preordinato dell’Isis, resta in tutta la sua forze dirompente il fantasma del pericolo che circonda tutti: diventare potenziale bersaglio di potenziali attentatori.

Uno scenario che nella vita quotidiana occidentale può introdurre: la via del terrore diffuso; quella della difesa paranoica del tutti contro tutti, ben peggiore dei “Piccoli omicidi” descritti da Alan Arkin; o ancora una rassegnazione più profonda della “Sottomissione” di Houellebecq. All’orizzonte si prospettano passi forse peggiori della Patriot Act di bushana memoria e ulteriori rilanci d’interventismo statunitense sparsi per il mondo. Il terrorismo, specie quello che colpisce in casa, è giustificazione più che plausibile, ma partire dalle guerre in corso non presuppone spiegazioni. Prendiamo proprio l’Afghanistan dove il conflitto armato prosegue, pur con altri mezzi (aviazione e droni), in una fase di ‘smobilitazione’ e di passaggio alla Resolute Support Mission. A seguito delle reiterate difficoltà dell’esercito afghano e dei molteplici attacchi talebani per tutto l’inverno scorso fino a primavera inoltrata, con Mansour e dopo la sua recente eliminazione con Haibatullah, l’uscente Obama ha accettato di far riprendere le operazioni ai suoi scalpitanti generali, anche prima dell’uscita dalla Casa Bianca. Potrebbero essere rilanciate le operazioni di terra, negli ultimi tempi gestite prevalentemente dai contractors non solo in azioni di pattugliamento. Quest’ultime diventano sempre più limitate proprio per l’espansione talebana e per l’incapacità delle truppe afghane di reggere lo scontro, com’è avvenuto a Kunduz nello settembre 2015 e di recente a Kabul.
13 giugno 2016

articolo pubblicato su enricocampofreda.blogspot.it

Enrico Campofreda

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