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Fiat voluntas Pomigliani

Fiat voluntas Pomigliani

(19 Giugno 2010) Enzo Apicella
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Le carenze organizzative e produttive di FIAT-FCA Pomigliano

(24 Giugno 2016)

cubuniti

E' da tempo che denunciamo le carenze organizzative e produttive dello stabilimento di Pomigliano, la mancanza di un piano industriale NAZIONALE credibile che rifaccia sollevare l’occupazione e garantisca un vero futuro produttivo. Alla Fiat/FCA è stato concesso tutto, ma proprio tutto, in cambio della promessa di rilancio della Fiat sul mercato italiano ed europeo.
Marchionne ha immolato tutto quello che si poteva immolare sull'altare dei dividendi degli azionisti.

Ha fatto terra bruciata delle relazioni industriali. Ha stracciato contratti, ha posto ultimatum, ha azzerato diritti. Scelte dolorose ma necessarie ci dicevano gli ammiratori di Marchionne.

Oggi gli stabilimenti vanno avanti a ranghi ridotti e a mezzo servizio perché la Fiat perde quote di mercato e in tutti gli stabilimenti vi è il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Quando Marchionne decise di abbandonare unilateralmente il contratto nazionale dei metalmeccanici e uscire da Confindustria, in tanti lo acclamarono come un manager innovativo e coraggioso. Giornali come il “Foglio" videro in lui l'artefice di una rivoluzione del capitalismo italiano, un eroe “americano” che finalmente avrebbe spazzato via particolarismi e interessi di bottega, come se diritti e tutele dei lavoratori fossero interessi di piccole lobby.

La Fiat manca di progetti e la colpa principale è di Marchionne.

La Fiat è stata grande fino agli anni '90. In Italia, la grande impresa non esiste più.
La crisi e l'andamento del mercato c'entrano poco con i mancati investimenti nel nostro paese, tanto quanto i turni o la durata delle pause dei lavoratori di Pomigliano e Mirafiori.
Alla Fiat l'Italia non interessa più perché questa è la strategia di Marchionne. Quando un'impresa automobilistica per due anni sospende la progettazione perché c'è crisi di vendite ha decretato la morte dell'azienda.
Si è tagliata fuori. E i sindacati subalterni al podestà di turno,, con la loro inerzia hanno facilitato quello che è successo.

Il settore dell'auto era saturo sin dalla fine deli anni 2000, quando l'amministratore delegato della Fiat ostentava con il Piano Italia l'obiettivo del raddoppio della produzione.

Eppure, nonostante tutto, malgrado la crisi da sovrapproduzione, come mai la Fiat, a differenza dei marchi concorrenti, è quella messa peggio sul mercato europeo?

Marchionne rivendica cha la Fiat/FCA è un’azienda “Globale”, in realtà le vere aziende Globali sono la Toyota, la Volkswagen, la Ford, la Gm, la Mercedes, la Bmw la Renault-Nissan.

Vista oggi, la Fiat non appare molto più globale di com'è stata altre volte in passato.

Ci fu un'epoca in cui la Fiat possedeva la Seat in Spagna (ceduta a Volkswagen), la Simca in Francia (finita alla Chrysler), la Zastava in Jugoslavia.

La Fiat aveva già la grande unità produttiva polacca. A Belo Horizonte ha aperto negli anni Settanta. In Unione Sovietica, Agnelli e Valletta erano andati ancor prima. Non aveva gli Usa, è' vero, ma di questo passo si è giocata l'Europa.

E quanto all'Italia nessuna prospettiva chiara. Per quanto Marchionne escluda l'ipotesi di abbandonare l’Italia, non è dato sapere su quali stabilimenti farà affidamento in futuro, con quanti occupati e in vista di quale strategia industriale.

Marchionne continua ad annunciare la volontà di produrre in Italia,

Testuali parole “Mi impegno, ma non posso farlo da solo”. “Ci vuole un impegno dell'Italia”.

Che altro non è che un batter cassa, l'ennesima riedizione della storia passata. Tutti i principali investimenti della Fiat sono stati sempre finanziati dagli aiuti di Stato e dai soldi dei contribuenti.

Quello che si percepisce invece è che dopo averla sparata grossa se ne stanno andando alla chetichella».

La Fiat non è un’azienda normale, ha degli obblighi verso il paese e i lavoratori da cui ha avuto un aiuto grandissimo. Per tutto quello che si è fatta dare la Fiat potrebbe essere considerata una azienda pubblica. La Fiat dovrebbe mettere le mani in tasca, investire quello che serve nell'azienda e presentare un vero piano industriale di sviluppo.

Ma a quanto ammonta il debito morale e materiale che la Fiat ha contratto nei confronti della collettività?, la storia del Lingotto gronda di aiuti pubblici.

Sotto ogni forma: sussidi, incentivi alla rottamazione, finanziamenti, sostegni indiretti. Per fare un esempio, solo nel 2009 gli ecoincentivi hanno portato un beneficio di 600 milioni di euro nelle casse della Fiat.

Dal 2004 al 2010 - il periodo in cui Montezemolo ha ricoperto la carica di presidente - l'azienda ha beneficiato di altri 600 milioni di agevolazioni pubbliche per investimenti e attività di ricerca. Per il decennio tra il 1999 e il 2009 la stessa Commissione europea avviò sei procedure di indagine riguardo ad alcuni aiuti dello Stato italiano a vantaggio della Fiat per una somma totale di 120 milioni di euro, per sospetta infrazione delle norme della disciplina comunitaria per l'industria automobilistica.

E se si va a ritroso nel tempo, dalla fine degli anni Settanta a oggi, la Fiat avrebbe incassato dallo Stato la bellezza di quasi un miliardo di euro ai quali vanno aggiunti gli aiuti sotto forma di cassa integrazione, pari a diverse decine di milioni di euro.

Un altro studio messo a punto dalla CGIA di Mestre (il centro studi dell'Associazione artigiani piccole imprese), invece, alza addirittura a 7,6 miliardi gli aiuti statali ricevuti dal Lingotto dal '77 a oggi, ma secondo il quotidiano di famiglia Agnelli, il Giornale, sarebbero circa cento miliardi di euro (vedi).

Lo Stato italiano, a pensarci bene, con tutti questi soldi, la Fiat avrebbe potuto comperarsela da tempo.

Da questi dati emerge con chiarezza che Fiat ha un obbligo industriale ed occupazionale, nei confronti degli Italiani, proprio in virtù della rendita di cui ha sempre beneficiato per l’importanza strategica che il settore auto riveste in Italia e per tutto quanto è ad esso indotto.

Per questi motivi va messa al primo posto l’occupazione e la salvaguardia degli stabilimenti in Italia attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e la produzione di auto non inquinanti e attuando un piano di riconversione con produzioni diverse dall’auto.

Nei progetti Fiat invece non c’è il futuro dei lavoratori, né il futuro dell’industria dell’auto in Italia.

Fiat punta ad utilizzare i finanziamenti pubblici dei governi per produrre auto senza sborsare soldi e cosa ancora più grave per finanziare il disimpegno dall’Italia.

Nel settore auto sono stati tagliati migliaia di posti di lavoro è stata chiusa Termini Imerese e praticamente smantellata Arese, operazione prevista anche per Pomigliano.

“Per tutto questo FIAT e il suo amministratore delegato hanno dimostrato di non essere credibili, annunciando piani ottimistici non supportati dagli investimenti adeguati”.

“E mentre noi denunciavamo questo, Governo, Fim, Fiom e Uilm osannavano Marchionne”.

La FLMUniti CUB rivendica la ridistribuzione del lavoro tra i vari stabilimenti e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per impedire il ricorso alla cassa integrazione e cds,

Inoltre rivendica un piano industriale credibile supportato da investimenti concreti, con un impegno per lo sviluppo di auto a basso impatto ambientale, non solo metano e gpl ma principalmente l’ibrido l’elettrico e l’idrogeno, così da riportare in Italia la produzione oggi all’estero.

Pomigliano GIUGNO 2016

Coordinamento nazionale FLMUniti-CUB
settore FCA
Mirafiori, Cassino, Melfi, Pomigliano

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