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Ovazione a Dublino

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(5 Settembre 2010) Enzo Apicella
Balir contestato a Dublino da un fitto lancio di uova. In Italia contestati dell'Utri e Schifani, in modo molto più "morbido", ma con reazioni istituzionali spropositate

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Crolla il prezzo del petrolio: nuova crisi per l’economia del Venezuela

(22 Agosto 2016)

A scala mondiale si sta palesando una sovrapproduzione di materie prime, comprovata dall’aumento delle riserve, in particolare di petrolio negli Stati Uniti. Col tempo questo è venuto a rallentare gli investimenti nel settore, alcune imprese lamentano perdite finanziarie e si annunciano riduzione delle produzioni e licenziamenti.

Si prevede che il prezzo del petrolio si manterrà basso per il restante 2016, con l’aggravarsi della sovrapproduzione per il ritorno dell’Iran sul mercato dopo la sospensione delle sanzioni a suo carico. Inoltre è poco probabile che si arrivi ad un accordo sulla riduzione dell’offerta con la Russia, con l’Arabia Saudita e con gli altri paesi produttori, molto dipendenti dalle esportazioni e dalla rendita relativa. L’Arabia Saudita a gennaio ha aumentato la produzione a 600 milioni di barili al giorno, ed aumenti si segnalano dall’Iraq e dalla Libia.

A questi si aggiungono gli Stati Uniti. Con l’estrazione del greggio dagli scisti, dal 2009 gli Stati Uniti hanno aumentato la produzione. L’Arabia, seguita dall’Opec, segue la politica di non tagliare la produzione anche per escludere dal mercato la produzione americana dagli scisti, che richiede che il barile si quoti ad un prezzo superiore all’attuale e si disponga di ampie quote di mercato.

Però ancora questo effetto non si è avuto, tanto che è previsto che quest’anno la produzione degli Stati Uniti sarà maggiore di quella del 2014. Le imprese che estraggono il petrolio dagli scisti hanno migliorato notevolmente la produttività, i giorni necessari per la perforazione di un pozzo si sono ridotti da 22 a 9, il numero dei pozzi perforati è aumentato nell’anno da 16 a 41 e sta ancora migliorando la tecnica per trivellare strati rocciosi. Negli ultimi tre anni la produzione iniziale di un pozzo è aumentata del 50%.

Anche il prezzo del rame si è abbassato a 4.300 dollari la tonnellata; poi è risalito a 4.500 ma prevedono che presto crollerà a 4.000. Il ferro è sceso a 40 dollari la tonnellata e si stima che potrebbe continuare fino a 30. Alcune grandi imprese minerarie non hanno distribuito dividendi e ridotto la produzione per milioni di tonnellate.

Ma la causa profonda che sottostà alla sovrapproduzione e a tutte queste manifestazioni della crisi del capitalismo mondiale è la tendenza alla caduta del tasso medio del profitto.

In Venezuela, nel grande affare del petrolio cominciano a vedersi incursioni del capitale straniero. La PDVSA statale ha ricevuto 500 milioni di dollari dalla maggiore azienda petroliera russa, la già statale Rosneft, con un aumento al 40% della sua partecipazione azionaria nella impresa Petromonagas, che estrae greggio nella Fascia dell’Orinoco. Il 19 febbraio PDVSA e Rosneft hanno firmato un altro accordo che impegna i russi nell’estrazione di gas naturale fuori costa con il 50% di partecipazione azionaria nel progetto Mariscal Sucre.

Nella stessa direzione il governo venezuelano ha iniziato ad aprire le porte al capitale internazionale nel restante settore minerario. Le miniere sono per il governo venezuelano una delle fonti con le quali può pareggiare i suoi conti. Si è quindi associato ad imprese nazionali ed internazionali per l’esplorazione e lo sfruttamento dell’Arco Minerario dell’Orinoco. Si stima che il sottosuolo del paese potrebbe nascondere 7.000 tonnellate d’oro, che costituirebbero la seconda maggiore riserva del pianeta. Ma il presidente Maduro afferma che esisterebbero molte altre possibilità di investimento nel settore minerario: non solamente oro ma diamanti, ferro, alluminio, fino al coltan.

Anche con la costituzione delle Zone Economiche Speciali si punta ad attrarre capitali stranieri. Sono regioni nelle quali vige una legislazione particolare orientata verso il “libero mercato”, la legislazione nazionale non vi si applica al fine di dare pieno sfogo al profitto industriale e mercantile: zone di libero commercio, parchi industriali, porti, tutto al di fuori delle norme sulle importazioni.

La manovra governativa sarebbe centrata sulla svalutazione del bolivar rispetto al dollaro, su un livello dei cambi che favorisca le imprese nazionali e attragga le transnazionali, che cioè renda convenienti investimenti dall’estero e stimoli le esportazioni. Ma, dato che in America Latina si trascina un generale ritardo tecnologico, in molte di queste economie in crisi, con le monete svalutate risulteranno rincarati gli acquisti di nuove macchine e impianti; è quindi da attendersi che lo sfruttamento capitalista si concentri ancora più sulla ricerca del plusvalore assoluto che sul plusvalore relativo, cioè le imprese punteranno ancor di più sull’aumento degli orari ordinari e straordinari di lavoro.

Dobbiamo attenderci nella regione un ulteriore aumento della concentrazione dei capitali e il fallimento dei piccoli e medi, in tutti i settori dell’economia.

Ed anche in Venezuela conseguenza della crisi è che i capitalisti riducono la spesa pubblica corrente, impongono la riduzione dei salari reali, aumentano il carico fiscale sui salari. Sono da attendersi aumenti delle tariffe dei servizi pubblici. È prevista anche la eliminazione del gran peso delle sovvenzioni finanziarie all’industria petrolifera PDVSA, fra le quali notevole quella sul prezzo della benzina, che sarà aumentato per lo meno fino a coprire il costo di produzione.

Il governo borghese sta cercando, secondo le richieste dei capitalisti, di mantenere fra le masse salariate la illusione di poter continuare a contare sulle briciole che le sono state distribuite per nascondere la loro sottomissione. Alcune imposte sarebbero cancellate per la massa dei salariati, ma, per finanziare la spesa corrente dello Stato, i lavoratori dal 2015 hanno cominciato a pagare l’imposta sul reddito. I provvedimenti anticrisi necessariamente colpiranno i lavoratori tanto per il loro impatto sul salario reale quanto perché saranno varati dei provvedimenti complementari tesi ad aumentare la flessibilità del lavoro (intenzione che il governo ancora non dichiara apertamente per mantenersi il voto operaio e far fronte alla opposizione dell’altra frazione borghese che chiede di tornare al governo).

È con queste misure che il borghese governo venezuelano muove i suoi passi per “uscire dalla crisi”. Nuove leggi renderanno più facili e meno costosi i licenziamenti, aumenteranno l’età del pensionamento, le ore ordinarie e straordinarie, la possibilità di contratti di esternalizzazione. Questo, ancora, per favorire i capitali nazionali e per invogliarne l’arrivo dall’estero.

Negli ultimi giorni ci sono stati dei saccheggi nei negozi, promossi dall’opposizione al governo. Ma si è trattato di poche azioni e di piccolo raggio, in realtà ingigantite dai media.

Alla classe operaia reagire con la lotta in difesa delle sue condizioni. In tal caso la mobilitazione dei lavoratori troverà ogni governo borghese pronto a mostrare i denti della repressione.

Partito Comunista Internazionale

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