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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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UN NUOVO INIZIO.

.....sul referendum d'autunno ed altre cosette.

(7 Settembre 2016)

Ci sono fasi storico-politiche in cui non c'è nulla da rifondare, rilanciare, continuare.
Questa, è una di quelle.

Dato per invariabile il metodo dell'indagine materialista, l'astrazione dei rapporti di produzione, la reiterazione e l'agglomeramento dei fenomeni nello spazio-tempo del movimento reale, si impone una nuova strategia per l'azione diretta, cosi' come nuovi modelli organizzativi e nuove forme di combattimento.



TEORIA STRATEGIA ORGANIZZAZIONE
UN NUOVO INIZIO
per una scelta di campo del movimento rivoluzionario.

La teoria, forte dell’assimilazione di sconfitte e vittorie, prosegue nella critica della democrazia, prende atto della contraddizione tra tendenza storica alla socializzazione della produzione e l’accumulazione privata del prodotto, lotta per la futura società funzionale senza classi.

La strategia non può prescindere dal movimento reale, è parte del suo svolgimento, non vi si oppone, ma trova nella contraddizone gli elementi dell’opportunità rivoluzionaria, rendendoli incompatibili ad ogni soluzione opportunista, e li scioglie nella trasformazione sociale.

L’organizzazione autonoma e di classe, distinta e separata da quelle di tutte le altre classi e frazioni di classe, rifiuta il confusionarismo assemblearista, lotta per concentrare ed unificare politicamente le avanguardie operaie dei passati cicli di lotta e di riflusso che si pongono sul terreno di una scelta di campo rivoluzionaria internazionalista, antiistituzionale, astensionista.

L’integrazione progressiva di questi tre nodi fondanti la ripresa di classe può generare un “nuovo inizio”, che sappia trarre definitivamente tutti gli insegnamenti dai movimenti del passato,
ponendo le basi per la prospettiva futura.


NEL MOVIMENTO REALE
OLTRE LA CROSTA INGANNEVOLE DELL' APPARENZA

Proprio perchè “il movimento reale supera lo stato di cose presenti” il suo riflesso apparente cerca di nasconderlo.
Spetta al movimento rivoluzionario, con una chiara scelta di campo, disvelarlo, intravvedendo nella produzione e riproduzione della vita reale la contraddizione che spinge verso la socializzazione delle forze produttive, verso il comunismo.
Scelta di campo vuol dire fare i conti, stare dentro, capire e facilitare, approfittare delle “convenienze di classe” che offre il movimento reale, rifuggendo (ma analizzandone e comprendendone le giravolte) l'apparenza ingannatoria del riflesso sovrastrutturale, del praticismo politicante, del condizionamento ideologico, degli usi, dei costumi e delle psicologie sociali e morali deminanti.
La scelta di campo consiste nell'impostare la strategia politica di classe sui tempi lunghi del movimento reale avendo la forza ed il coraggio di impegnarsi su una prospettiva di militanza plurigenerazionale, senza trascurare l'intervento nella quotidianità della contraddizione.


IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
ESEMPIO DI RIFLESSO INGANNEVOLE DELLA REALTA'
NELL'APPARENZA FALLACE

Il processo di adeguamento della sovrastruttura politico-ideologica al movimento reale è una costante dello sviluppo capitalistico.
A volte questo processo è lineare, a volte sfasato, squilibrato, in ritardo, come spesso è successo nella formazione economico-sociale Italiana, nel suo stato, nel suo apparato legislatore, nella sua scuola, e nella sua costituzione.
La costituzione repubblicana, involucro e cartina di tornasole, architrave ed architettura giuridico-sociale dell'intera sovrastruttura è stata piu' volte sottoposta a restyling, senza riuscire però a produrre quel “salto modernizzatore” imposto dai tempi della velocizzazione globale e del vincolo continentale.
In sostanza, l'internazionalizzazione del processo di produzione capitalista e la propria espressione di blocco continentale battono i tempi e i ritmi della competizione planetaria di mercato irradiandosi sulle organizzazioni statuali e sulle loro “carte”, imponendone uno snellimento funzionalizzante ed una sburocratizzazione di sistema insieme ad un nuovo equilibrio tra i poteri esecutivo-legislativo-giudiziario.

Questa è la realtà, base materiale e motivazione profonda la prossima riforma dell'art.V° della costituzione Italiana intorno alla quale si definiscono gli ultra-trasversali schieramenti referendari del NO e del SI.
Un manto di falsa coscienza ideologica copre le vere ragioni alla base della riforma costituzionale come dello “scontro” tra “innovatori del SI” e “resistenti del NO”.
Tra un Renzi che tira a concludere il proprio premeriato giocandosi la cartà della modernità e le “masse critiche di destra sinistra e centro” tifose della “costituzione piu' bella del mondo”, resta l'esigenza borghese di centralizzazione e velocità d'azione dell'esecutivo, di efficienza istituzionale, giuridica, amministrativa.
La diatriba tra “Si & No” contrappone, oltre le fumisterie politicanti, un governo che scambierebbe la vittoria “semplificatrice” con la possibilità di contrattare termini e pesi del vincolo europeo, e le “opposizioni” antiRenzi variamente colorate (alle quali partecipano, purtroppo, consistenti propaggini di cosiddetto “movimento antagonista”) coalizzate in una sorta di partitone della spesa pubblica, sudista ed euroscettico (regioni-province-amministrazioni etc.) interessato al rubinetto di soldi (e relativa corruttela) che dallo stato centrale va alle autonomie locali.
Una linea di riforme padronali storicamente determinata ma mai portata a compimento che oggi si impone in regime di cessioni di sovranità, di vincoli di bilancio, di costruzione ed adeguamento dello stato-nazione alle nuove relazioni in Europa.
D'altra parte, per fare le riforme di struttura (do you remember P.C.I.?) il governo Renzi non ha certo aspettato il via libera parlamentare né referendario, ma solo gli ordini dei suoi padroni europei (basti pensare alla legge costituzionale 1/2012 che introduce il pareggio di bilancio in carta costituzionale modificando gli art. 81, p7, 117 e 119, o tutte le riforme contro il lavoro salariato e le pensioni.....).
La linea riformista del governo Renzi, corroborata dall'appoggio dei grandi gruppi industriali procede spedita (e senza una reale opposizione di classe!) in questa direzione, a partire dall'abolizione del bicameralismo e dal rafforzamento del potere dell'esecutivo.
Questa la ciccia, intorno al cui riflesso ideologico si fondano e fondono le “strane” alleanze nella competizione referendaria, con un occhio alla costituzione da “riformare” o “difendere” e l'altro alla propria sopravvivenza politica ed elettorale.
Si impone di fronte ai plurimi tentativi di utilizzo politico-elettoral-referendario una posizione autonoma del movimento rivoluzionario, o almeno delle donne e degli uomini che a lui insistono a far riferimento.
Nel tentare di chiarire la reale posta in gioco, va ribadita la critica della democrazia borghese e dei suoi strumenti consultativi truffaldini, cosi' come l'alterità ad ogni “costituzione” comunque espressione di determinati rapporti sociali tra le classi e per questo, per sua natura, antioperaia.
La costituzione repubblicana, nata dalla mediazione resistenziale, è la costituzione del “lavoro salariato, della legge uguale per tutti e del ripudio della guerra”: un inganno e un imbroglio per gli sfruttati sia nella sua “applicazione integrale” che nella sua possibile, probabile, riforma.
Nell'ASTENSIONE RIVOLUZIONARIA al referendum d'autunno convivono insieme il rifiuto della “corruzione referendaria” e la critica della democrazia borghese sul filo del ritorno al futuro del 1848.


NELLA ROTTURA DI OGNI CONTINUITA'
LA SCELTA DI CAMPO
NELL'EPOCA DEL “TUTTO O NIENTE”

SCELTA DI CAMPO vuol dire appartenere alle idee della rivoluzione sociale, alla sua teoria materialista, alla sua strategia funzionale al movimento reale, alla sua organizzazione autonoma, alle sua azione diretta.
SCELTA DI CAMPO vuol dire segnare sul campo la critica ed il superamento della democrazia “migliore involucro capitalistico”, delle sue istituzioni, dei suoi regolamenti e di tutta la sua architettura etica ed ideologica truffaldina.
SCELTA DI CAMPO vuol dire schierarsi nell'unica lotta di liberazione possibile e storicamente attuale oggi: con i proletari di tutto il mondo contro i padroni.
La nostra terza via, in un mondo squassato da squilibri globali e guerre locali, tra il nazionalismo protezionista (e le sue versioni ideologiche euroscettiche) e il blocco imperialista è l'INTERNAZIONALISMO, come lotta di classe innanzitutto contro i padroni Italiani ed Europei.

Di fronte ad un mondo in veloce trasformazione non si può stare fermi a guardare, o a riproporre strumenti e forme del vecchio movimento operaio.
Le forme e gli strumenti della lotta li decide la realtà dei rapporti di forza in cui essi si danno, e in una realtà profondamente mutata occorre chiudere con i cicli di lotta passati, pur facendo tesoro dell'esperienza trascorsa.
Insieme all'abbandono definitivo di ogni illusione spondista legata alle topografie di destra e sinistra parlamentare, vanno messe in soffitta icone, miti colori e bandiere legate ad una ex democrazia “progressiva” oggi divenuta reazionaria ed imperialista insieme ai particolarismi dei “movimenti delle nicchie”, tanto autoreferenziali ed autoriproducenti quanto incapaci di spostare minimamente i rapporti di forza ra le classi.

Il movimento storico ha una sola direzione di marcia in avanti, non indietro, e le società umane del futuro sono il frutto delle attuali contraddizioni, non delle nostalgie per il passato, per le “piccole patrie” o per le sovranità nazionali e monetarie.

Essere capaci di intravvedere nello svolgimento del movimento reale, per esempio nel processo di formazione, composizione e rafforzamento o relativo indebolimento dei blocchi imperialisti continentali (U.S.A., U.E., aree Indo-Cinese, Brasile, Oceania, medie borghesie medioorientali etc. )i tratti “convenienti” alla rottura rivoluzionaria fa il paio con l'aggiornamento delle forme e degli strumenti della lotta comunista, della sua strategia, della sua organizzazione sul campo.
L'epoca storica del compromesso socialdemocratico, del welfare-state e delle e del “conquiste graduali e progressive” è stata soppiantata dalla presente epoca dela scarnificazione sociale, della fine del welfare e della sfoliazione di diritti, normative e libertà.
Ne consegue che al passato periodo del “poco ma stabile”, del “rosicchiamento sindacale” e del movimento operaio dei “diritti del lavoro” stiamo entrando nel periodo del “tutto o niente”, del definitivo tramonto della concertazione sindacale e di tutti i suoi strumenti di realizzazione.

Siamo al punto in cui l'armamentario di lotta del passato diviene poco incisivo se non inutile, nel senso che viene imbrigliato da mille codicilli che lo rendono superfluo oppure si esprime secondo regole, percorsi ed obiettivi stabiliti dalla legge e dall'ordine dei padroni.
Insomma, oggi le “lotte” sono ininfluenti (scioperi iperprogrammati e poco partecipati, cortei, manifestazioni e “scontri” addomesticati quando non concertati, riflusso nell'autoghettizzazione o nell'”autoreddito” degli “spazi sociali”) o non ci sono, o riguardano particolarismi frammentati che non rispondono ad alcuna visione generale ed offensiva.

Ripensare le forme di una lotta che deve tornare a colpire,
di una strategia che superi la contingenza,
di una organizzazione oltre il particolarismo,
può essere un primo passo verso l'adeguamento
del movimento operaio al movimento reale.

Urge fare qualche passo concreto in questa direzione.
Pena la sparizione, o la pantomima.

Pino ferroviere

Fonte

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