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    UNA CLASSE DIRIGENTE ADEGUATA PER MANDARE DEFINITIVAMENTE IN ROVINA QUESTO DISGRAZIATO PAESE

    (14 Settembre 2016)

    Domenico Siniscalco

    Domenico Siniscalco

    Con un articolo odierno (14/9/2016) da repubblica.it e un testo del 2009

    Scusandomi con tutti per non riuscire a trattenermi nel continuare a denunciare le condizioni di questo disgraziato Paese e soprattutto le macroscopiche lacune della sua classe dirigente di governo, al di là delle colorazioni politiche (purtroppo, ma non è qualunquismo), accumulate in decenni di politica praticata per mantenere interessi personali, al di fuori da qualsiasi minima preparazione specifica (altro che Frattocchie) insisto nel segnalare un caso assolutamente macroscopico di “messa delle mani in tasca degli italiani”, in questo caso da parte dei sapientoni super – tecnici del governo Monti, quelli che con “lacrime e sangue” avrebbero dovuto risanare le esauste finanze italiane e allontanare il fantasma dello “spread”.
    Autori del misfatto sono, con i governanti italiani, i signori della Morgan Stanley, quella banca cioè che considera la Costituzione Italiana ( e quelle del Sud Europa) un retaggio da superare perché offre eccessive garanzie di diritti e di stato sociale.
    Serve, secondo questi signori, una Costituzione in linea con l’iperliberismo e la maggioranza PD e il governo Renzi (fondato sui transfughi del centro destra) li hanno accontentati.
    Salvo il voto del referendum.
    Di seguito troverete la notizia (tratta da Repubblica.it) e un articolo (mi scuso anche per l’autocitazione) redatto dallo scrivente nel 2009 proprio su questo tema dei derivati, in relazione alla situazione degli Enti Locali (sarebbe interessante, a questo punto, conoscere anche l’esatta situazione debitoria di Comuni, Province (che non sono state abolite) e Regioni, da questo punto di vista.
    Mi scuso tantissimo per l’insistenza: se qualcuno non intende più ricevere non ha che da farmelo sapere.

    La procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti ha invitato a comparire la banca d'affari Usa e i responsabili del Tesoro che hanno stipulato contratti con la controparte statunitense: Cannata, La Via, Siniscalco e Grilli
    di ALBERTO CUSTODERO e WALTER GALBIATI



    14 settembre 2016
    ROMA - L'accusa è pesante: hanno scommesso con i soldi degli italiani. E costretto lo Stato a chiudere in fretta e furia contratti con Morgan Stanley in perdita per tre miliardi di euro tra dicembre 2011 e gennaio 2012. Ora la Corte dei conti li ha convocati tutti e ha chiesto loro danni per 4,1 miliardi.

    Davanti alla magistratura contabile dovranno presentarsi, oltre alla banca d’affari Usa, Maria Cannata, direttore del Debito pubblico, che dal 2000 ad oggi ha firmato molti di quei contratti e i relativi decreti di approvazione e Vincenzo La Via, predecessore della Cannata. Insieme a loro, Domenico Siniscalco, direttore generale del Tesoro, che terminata la propria esperienza ha pensato bene di andare a lavorare proprio per Morgan Stanley e Vittorio Grilli, anche lui direttore del Tesoro, e passato, una volta uscito dalla Stato, nelle fila di un’altra banca d’affari Usa, la Jp Morgan.

    La loro colpa, secondo la ricostruzione del pubblico ministero contabile Massimiliano Minerva, è di aver concesso a Morgan Stanley una clausola per nulla compatibile con gli obiettivi di gestione del debito pubblico del Tesoro. Di fatto, l’esposizione dello Stato nei confronti dei creditori si spalma in un periodo di medio o lungo termine, come avviene in genere per qualsiasi mutuo. Quella clausola (in gergo Ate, Additional termination events), invece, una volta attivata, imponeva alla Stato di chiudere tutta l’esposizione verso quella banca dall’oggi al domani. In particolare, la Morgan Stanely poteva chiedere all’Italia la chiusura di tutte le posizioni debitorie qualora l’esposizione creditizia avesse superato un limite prestabilito.

    Tra il 2011 e il 2012, in piena turbolenza finanziaria con gli spread impazziti e rischi di fallimento per gli Stati nazionali all’ordine del giorno, Morgan Stanley ha chiesto l’attivazione della clausola, sebbene già altre volte si fosse verificato l’evento per chiedere la risoluzione. E il governo Monti ha obbedito senza batter ciglio, sborsando 3,1 miliardi di euro.

    Come se non bastasse alcuni contratti derivati stipulati dal Tesoro non avevano una finalità di sola copertura contro i rischi di cambio o di tasso, ma avevano in sé alcune caratteristiche speculative, vietate a un investitore pubblico. Una di queste “scommesse”, come le definisce la procura regionale Lazio della Corte dei conti, ha permesso a Morgan Stanley di incassare 1,3 miliardi a fronte di un esborso iniziale a favore del ministero del Tesoro di soli 47 milioni di euro (si tratta della vendita nel 2004 di una swaption collegata all’Interest Rate Swap a 30 anni da 3 miliardi).

    Il Tesoro per via della sua forte posizione debitoria (l’Italia ha il terzo debito pubblico più grande al mondo pari a circa 2.150 miliardi di euro), si è trovato più volte in una posizione di debolezza nei confronti delle banche d’affari. Come se pur di veder collocati i propri titoli di debito, il Tesoro avesse dovuto concedere alcuni privilegi alle sue controparti finanziarie. Per esempio l’acquisto di contratti derivati. Di tutto questo ne dovranno ora rispondere
    i convocati. I danni stimati ammontano a 4,1 miliardi, perché ai 3,1 miliardi restituiti si sommano gli interessi per il costo del finanziamento aperto per sopperire al fabbisogno generato dalle operazioni di chiusura (725 milioni) e i flussi negativi generati dalle swaption (277 milioni).

    ENTI LOCALI E FINANZA CREATIVA
    L'articolo 41 della legge 448/2002 ha permesso agli Enti Locali di accedere agli investimenti di capitale riguardanti i cosiddetti “derivati”: prodotti finanziari, frutto di quella “finanza creativa” all'epoca molto di moda importata dagli USA ed adottata anche da noi su impulso del Ministero dell'Economia allora come oggi in mano al centrodestra (Ministero poi convertitosi rapidamente all'interventismo statale, al “colbertismo”, al controllo centralizzato sull'operato delle banche).
    I “derivati” sono quelle categorie di strumenti finanziari il cui valore economico risulta legato ad una particolare attività sottostante come il valore di una valuta, di un tasso di cambio, di indici di borsa: uno strumento ad alto rischio, successivamente identificato come uno dei fattori più importanti della crisi finanziaria esplosa in USA e, successivamente, allargatasi al resto del mondo fino a diventare quella crisi economica globale, all'interno della quale stiamo ancora dibattendoci.
    All'epoca dei fatti poche voci si levarono chiedendo di prestare attenzione: una raccomandazione pressoché inascoltata rivolta in particolare agli Enti Locali, una parte dei quali invece (circa 737, più o meno il 10% del numero, ma rappresentanti circa venti milioni di cittadini: quindi i più importanti e popolati) decisero di correre l'alea, pur non disponendo, come oggi individua la Corte dei Conti della struttura e delle competenze necessarie a “monitorare costantemente i loro derivati, restando di fatto costantemente soggetti ai loro consulenti bancari).
    Oggi 387 di quei comuni, che avevano stipulato con le banche contratti di finanza creativa, si trovano a fare i conti con perdite rilevanti: Genova ad esempio si trova di fronte alla prospettiva di un “buco” ammontante a 24 milioni di Euro, ed il Sindaco sta minacciando di chiedere i danni a chi le ha fatto trovare nel bilancio comunale questa drammatica situazione.
    La Guardia di Finanza ha aperto, soltanto in questo 2009, 24 indagini sui complessivi 9,1 miliardi di euro di derivati sottoscritti dagli Enti Locali: ed è stato calcolato che, in questo momento, su ciascheduno dei 20 milioni di cittadini amministrati dagli Enti Locali sottoscrittori, grava un debito personale di 1.429 euro.
    Oltre ai 737 comuni, infatti, hanno sottoscritto quelli che ben possiamo definire come “titoli tossici” anche 40 province e 13 regioni.
    Due mesi fa il Presidente della Corte dei Conti ha spiegato che, con l'introduzione dei derivati nella finanza locale, si è registrato, su di una massa di debito di 5 miliardi un maggior costo di 126 milioni.
    Alla fine del Luglio 2009, inoltre, si è conclusa l'inchiesta della magistratura sui derivati stipulati dal Comune di Milano ( quattro le banche interessate: Deutsche Bank, Ubs, Jp Morgan, Depfa) per una ipotesi di perdita che si aggira attorno ai 100 milioni di euro.
    Per la Regione Lombardia, invece, il colpo subito appare aggirarsi sugli 80 milioni.
    Da rilevare, inoltre, l'altalena micidiale nel gioco dei tassi: nel giro di un e mezzo , fra il 2000 ed il 2002 la Regione Liguria trasformò un mutuo a tasso variabile in tasso fisso (con derivato Merril Lynch) e poi di nuovo a tasso variabile (con derivato Nomura), una operazione giudicata, sempre dalla relazione della Corte dei Conti, “di rischio significativo”.
    Nella sostanza il numero dei Comuni che rischiano perdite rilevanti risultano essere : al Nord 151, al Centro 104, al Sud 114, nelle Isole 48.
    Quali le origini di questa situazione così complicata? Per la risposta ci affidiamo al giudizio espresso da Sergio Rizzo, nelle conclusioni della sua inchiesta sull'argomento condotta per conto del “Corriere della Sera”:incompetenza e superficialità.
    Nel rapporto, già segnalato, redatto dalla Corte dei Conti si legge un elenco sorprendente:ad esempio, in alcuni casi si è riscontrato che il rapporto contrattuale era regolato da una giurisdizione diversa da quella italiana (nel caso quella inglese).
    Ripetiamo; incompetenza e superficialità.
    Elementi su cui riflettere da parte dei cittadini elettori.
    Savona, li 10 Settembre 2009 Franco Astengo

    A cura di Franco Astengo

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