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Perché esco dalla Cgil

(18 Settembre 2016)

Luciano Lama

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La storia della Cgil è legata alla storia del movimento operaio italiano.
Una storia che ha iniziato il suo cambiamento nel 1978 quando, la Cgil di Luciano Lama, decise di aderire alla politica dei sacrifici richiesta dal padronato e dalle istituzioni; la Cgil iniziò ad essere il sindacato della concertazione degli interessi dei lavoratori con il governo e i padroni, in piena continuità con il riformismo politico italiano degli anni 80.
Mentre la Cgil proseguiva la strada della concertazione, si riducevano le prospettive del movimento dei lavoratori ovvero la possibilità di vivere in una società che avesse al centro il lavoro e non il profitto.
La Cgil ha sostituito la concertazione alla lotta di classe e su questo piano ha costruito intere generazioni di dirigenti e funzionari che hanno irresponsabilmente abbandonato i principi del sindacalismo di classe.

Questa crisi economica, ci sbatte in faccia il vero volto del Capitalismo e l'importanza di concetti e pratiche che tanti vorrebbero spedire in soffitta. Il sindacato dovrebbe tutelare gli interessi dei lavoratori e dei proletari in generale. I proletari sono quella maggioranza che non dispone di rendite o mezzi di produzione e quindi per sopravvivere è costretta a lavorare , a vendere a qualcuno, in cambio di denaro , il proprio tempo, le proprie energie e le proprie capacità. Quelli a cui vendiamo tempo e forze ne vogliono sempre di più, fino a consumarci. Solo se sappiamo bene chi siamo, su chi possiamo contare e come possiamo rimettere insieme ciò che la borghesia divide, potremo sperare di non morire di fame e fatica.

In questa fase storica, il proletariato è frammentato, non ha rappresentanza (quella istituzionale si è venduta agli interessi della borghesia), sta cercando di resistere agli attacchi dei padroni.

Questa crisi e le disastrose conseguenze che riverbera contro il proletariato, dimostrano che l’unica soluzione è la demolizione del sistema e la sua sostituzione con una società in cui il lavoro sia definitivamente liberato dalla sottomissione al profitto.
Le crisi economiche sono l’arma usata dai padroni, per indebolire o eliminare il proletariato come classe. Durante la crisi, la borghesia per sopravvivere, deve distruggere parte delle forze produttive, in primis la forza-lavoro.
È quello che ormai vediamo da un decennio: migliaia di lavoratori licenziati e buttati in mezzo alla strada nella ricerca disperata di un lavoro che non c’è o è precario; gente in cassa integrazione, altri in mobilità (fino a quando esisterà).
Gli anni passati sono stati duri e nei prossimi l’offensiva del Capitale si farà ancora più violenta e brutale; per questo serve un’inversione di rotta.
Il sindacato non può abbandonare la conflittualità e la difesa delle condizioni di vita di tanti lavoratori. Per molti di noi, l’attività all’interno della Cgil si è fatta di anno in anno più complicata; bocconi amari da ingoiare, fino ad arrivare al momento della rottura.

Nel locale, in ulss 10, la Cgil, il sindacato sono utili alla dirigenza per firmare quegli accordi economici previsti per legge (produttività, fasce ecc). Tutti gli altri problemi quotidiani, che trovano ampio spazio nei programmi elettorali per il rinnovo della rsu, sono lasciati all'orizzonte o gestiti nel momento dell'emergenza. Alla Cgil, nonostante le innumerevoli sollecitazioni dei dipendenti, non passa nemmeno per l'anticamera del cervello di impostare una azione di protesta per costringere la dirigenza ulss a modificare i propri disegni e progetti.

A livello nazionale, il modello concertativo degli anni 90 tra padroni, governo e sindacato e la logica del governo amico o del meno peggio, ha portato con la legge Dini sulle pensioni (del '95) un cambiamento del sistema pensionistico; iniziarono le stagioni delle grandi privatizzazioni: Autostrade, Enel, Sip ecc; precarizzazione del lavoro col pacchetto Treu, tagli a scuola e stato sociale; riforma del lavoro e pubblico impiego voluta dal governo D'Alema, con l'uomo di fiducia dentro al ministero del lavoro ovvero M. D'Antona, che di fatto ha sancito l'irrilevanza dello strumento sciopero, in quanto andavano garantiti i contingenti minimi. Anche in quegli anni, il sindacato concertativo, nell'intento di avere un riconoscimento istituzionale, ha accettato le pratiche della rassegnazione e subordinazione alla borghesia e agli industriali. L’unica priorità è diventata la logica del mercato e per questo si accetta, senza nessuna mobilitazione, la cancellazione dell’art.18, l’imposizione del Jobs Act, la riforma pensionistica Fornero e si permette a un governo mai eletto dalla popolazione di mettere mano alla Costituzione attraverso una irrilevante e silenziosa presa di posizione , che non va a disturbare troppo i potenti di turno. Tutto questo senza nemmeno provare a mettere in campo iniziative di lotta per contrastare questa deriva. Anzi, con il vergognoso accordo del 10 gennaio 2014 firmato da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, si sancisce la rinuncia alla lotta nei luoghi di lavoro: quell'accordo infatti dice che, se la maggioranza dei sindacati confederali firmano un contratto, le minoranze devono obbedire e non scioperare e di conseguenza chi non accetta tale clausola non è ammesso alle elezioni dei delegati. Per non parlare poi del bluff messo in scena il 1 settembre 2016 da cgil cisl uil e confindustria per rilanciare le politiche del lavoro: un bluff perchè è solo l'opportunità che si sono date queste organizzazioni per tornare a sedersi al tavolo istituzionale, visti gli innumerevoli schiaffi ricevuti dal governo Renzi, che ha sancito l'irrilevanza del sindacato. Il loro obiettivo è quello di proporsi come i gestori del percorso successivo alla crisi industriale e ai licenziamenti, alla disoccupazione di tutti quei lavoratori espulsi dai cicli produttivi.

Cgil Cisl Uil e Confindustria gestiranno il personale in esubero e le centinaia di licenziati, condivideranno col governo la distruzione del sistema degli ammortizzatori sociali e degli altri diritti sociali (è in via di definizione l'attacco alla previdenza pubblica e alla privatizzazione dei servizi pubblici).

I proletari domandano a gran voce che il sindacato torni a essere di conflitto e di classe, perché la lotta di classe c’è e il padronato la sta combattendo e vincendo a man bassa. Occorre un sindacato con una strategia conflittuale concreta; i lavoratori che lottano vanno sostenuti, istituendo una cassa di resistenza che consenta agli operai di resistere, perché è così che si difendono i diritti e il posto di lavoro.
Sono convinto che uscendo dalla Cgil non si troveranno grosse organizzazioni in grado di rovesciare il sistema che ci è imposto, ma piccole organizzazioni che resistono agli attacchi.

Per questi motivi esco dalla Cgil, ma non abbandono le istanze dei lavoratori, il bisogno di rappresentanza di tanti proletari. Lascio la Cgil perché è diventata un'organizzazione di controllo dei lavoratori e non più di difesa degli interessi dei lavoratori.

Lascio la Cgil e non sarò più complice di tutto questo!

16 settembre 2016

Alberto D'Andrea, San Donà di Piave

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