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FIRMA CONTRATTO PUBBLICO IMPIEGO: "Non in mio nome"

(21 Settembre 2016)

cub-sgb

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2015 che ha sancito l’obbligo di rinnovare i contratti del Pubblico Impiego, stiamo assistendo a una commedia che non rispecchia il dramma che stanno vivendo milioni di lavoratori del Pubblico Impiego.
In 7 anni di blocco contrattuale i lavoratori pubblici hanno perso circa 300 euro al mese di valore d’acquisto con ricadute pesantissime sulla qualità della vita personale e familiare.

In queste settimane di ripresa degli incontri sindacali emergono notizie preoccupanti:
dai 300 milioni di euro stanziati dal governo (8-10 euro di aumento mensile in busta paga) agli 80 euro chiesti dai sindacati; dai 70 milioni di Euro stanziati dagli Enti Locali, all’ipotesi di un maggiore aumento retributivo se accompagnato ad un aumento di lavoro settimanale; per finire all’ipotesi di un “accordo ponte” che, solo per il 2017, concede un aumento stipendiale sottoforma di “indennità rafforzata”.
Quest’ultima ipotesi pare prendere piede viste le difficoltà politiche dell’attuale Governo, alla spasmodica ricerca di consenso elettorale: si tratterebbe in questo caso di un contentino che sazia momentaneamente la fame di milioni di lavoratori.
Ma come si arriva, dopo sette anni senza contratto, a queste fantomatiche proposte? Perché nessuno parla di pagare ai lavoratori pubblici sette anni di arretrato retributivo?
Lo scenario in cui si collocano i rinnovi è fortemente condizionato da due fattori. Da un lato l’atteggiamento, al limite del derisorio, adottato dal Governo Renzi nei confronti delle rappresentanze sindacali.
Dall’altro il terreno su cui, con la complicità di Confindustria, ha ottenuto prima la firma dell’accordo sulla rappresentanza del 10 Gennaio 2014 (con il vero e proprio ricatto di una legge regolatrice) e, successivamente, quella sulla revisione dei Comparti del Pubblico Impiego, che, seppure sblocca il negoziato sul rinnovo, implica la totale accettazione dei diktat imposti con il decreto Brunetta (compresa la presunta meritocrazia) e, finora, tenuti abbastanza alla larga dalla contrattazione decentrata.

Anche i flebili belati di parte sindacale ci fanno comprendere che la stagione contrattuale si chiuderà rapidamente con qualche rappresentazione di facciata e con qualche ora di sciopero più simbolico che reale.

Dopo gli anni della concertazione e successivamente del dialogo sociale, siamo ormai giunti all’era della totale complicità sindacale con la controparte.
Noi riteniamo che sia assolutamente prioritario dar vita ad un piano occupazionale straordinario che permetta di stabilizzare i rapporti di lavoro precario, di compensare il personale che ha subito il blocco dei contratti con un avanzamento di carriera (opponendosi così anche al blocco sostanziale delle progressioni verticali imposto sempre da Brunetta). Analogo discorso per gli aumenti stipendiali che devono recuperare tutto l’arretrato degli ultimi sette anni di blocco.

L’attacco alle retribuzioni, sia nel pubblico che nel privato, e ai diritti individuali (Jobs act, legge 104, Riforma Fornero, etc.) e collettivi (diritto di assemblee e di sciopero), al dogma dell’orario di lavoro, stanno producendo una vistosa lacerazione della classe lavoratrice anche nel Pubblico Impiego.

Grazie anche alla condivisione sindacale, si è alimentata ad arte la divisione tra settore pubblico e privato giocando sulle inefficienze (determinate invece dalle leggi e da una classe dirigente e politica corrotta e inetta).
Si ordiscono campagne mediatiche contro il settore pubblico, usando gli “assenteisti” del cartellino come specchietto per le allodole, nascondendo così la realtà che i servizi pubblici sono garantiti soltanto grazie alla coscienza di milioni di lavoratori pubblici, che sopperiscono ai disastri della politica e all’incapacità di buona parte della dirigenza, scelta dalla stessa politica.
Si azzerano conquiste civili e sociali definendole non più sostenibili; si alleva, anche attraverso l’istruzione, una nuova generazione che approda al lavoro pubblico dimenticandone la funzione nella vita sociale del paese.

CUB e SGB ritengono che vada riportata al centro dell’agenda politica e sindacale una visione culturale “altra” per restituire, oltre al reddito e ai diritti, la dignità - anche professionale – di un’intera classe lavoratrice: nel settore pubblico, come in quello privato, in sinergia con la cittadinanza e con l’utenza.

Milano, 19 settembre 2016

CUB Pubblico Impiego - Confederazione Unitaria di Base
Sindacato Generale di Base - SGB

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