">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Comunisti e organizzazione    (Visualizza la Mappa del sito )

Eric Hobsbawm

Eric Hobsbawm

(11 Ottobre 2012) Enzo Apicella

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Memoria e progetto)

"La Fine del Pcd’It., Il Congresso di Lione, 1926", a cura di Rivoluzione comunista

Milano, Eli, 2015, pp. 471, € 20,00.

(7 Novembre 2016)

piramide di bordiga

L’anno che va a concludersi, tra gli anniversari a cifra tonda, vede il 90° del III Congresso del Partito comunista d’Italia, noto come Congresso di Lione, dalla città in cui si tenne, per l’impossibilità ormai di operare apertamente in Italia, nel gennaio 1926. La ricorrenza, comunque la si veda, importante per la storia del comunismo italiano, non sembra aver visto particolari celebrazioni, se non nella pubblicazione, sul finire dello scorso anno, di questo poderoso Volume della collana Storia documentata del comunismo rivoluzionario italiano, che fa seguito ad altri quattro relativi ai primi, appunto, quattro anni di vita del Partito, a cura delle edizioni L’Internazionale. Il titolo non lascia dubbi sulla posizione assunta nel merito dai curatori. Rivoluzione comunista, infatti, trae origine dalla Sinistra comunista, quella fedele ad Amadeo Bordiga che da Lione usciva sconfitta e che, nel 1943, in contrapposizione alla collaborazione di classe del Pci, concretizzatasi nell’adesione al Cln, dava vita al Partito comunista internazionalista (Pcint) che, a sua volta, nel Secondo dopoguerra, si scindeva in “Programma comunista” e “Battaglia comunista”, dal nome dei rispettivi periodici di riferimento. Rivoluzione comunista nasce nel 1964, in polemica con l’attendismo, e quindi con l’immobilismo, di cui accusava i comunisti - internazionalisti tradizionali. Il gruppo, infatti, andava distinguendosi per una più marcata presenza all’interno delle lotte operaie che riprendevano vigore in quegli anni. Il militante di Rivoluzione comunista più conosciuto, certo suo malgrado, è lo studente-lavoratore Saverio Saltarelli, ucciso da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo a Milano, durante la manifestazione per il primo anniversario della Strage di piazza Fontana. Il primo Caduto per mano delle forze dell’ordine in scontri di piazza nella Stagione dei movimenti. Rivoluzione comunista è oggi, a tutti gli effetti, nella dozzina di partiti che in Italia si richiamano, a vario titolo, al comunismo. Dispone di un paio di sedi, d’una casa editrice, di un periodico cartaceo e di un blog.
Documentata come non mai, la pubblicazione in oggetto è strutturata in tre parti: la prima relativa ai lavori pre-congressuali e congressuali, la seconda al VI Esecutivo allargato dell’Internazionale comunista (Komintern), dove il Congresso veniva discusso, e l’ultima al carteggio che ne fece seguito. Nell’appendice è inserita la Tesi sintetica presentata dalla Sinistra e le biografie di alcuni suoi sostenitori che avevano preso parte all’assise congressuale. Fanno da corredo delle foto, sebbene non di eccellente risoluzione, di prime pagine de “Il Comunista” e de “L‘Avanguardia”, rispettivamente: il primo organo ufficiale del Pcd’i e della sua Sezione giovanile. Le fonti sono in prevalenza l’Archivio nazionale storico del Pci, i periodici dell’epoca, la bibliografia d’obbligo e degli estratti on line. Alcune parti sono inedite e i curatori, sebbene abbiano introdotto in corsivo alcuni passaggi, non hanno operato censura od omissione alcuna. Le uniche mancanze sono dovute all’illeggibilità degli originali le cui lacune non sono state integrate, anche laddove intuibili i contenuti mancanti, per ragioni di correttezza. Facile dunque immaginare la mole di informazioni contenuta.
A Lione si consumò, volendo essere retorici, la battaglia finale intestina tra le due anime del Partito, vale a dire la Sinistra, capeggiata da Amedeo Bordiga, alla cui risolutezza si deve la Scissione di Livorno e che aveva avuto la maggioranza, e il Centro, vale a dire il gruppo facente riferimento a “l’Ordine nuovo” di Torino, di cui Antonio Gramsci era la figura più autorevole (la Destra faceva capo al, sempre ordinovista, Angelo Tasca). La contesa presentava molteplici sfaccettature di carattere tattico che nei fatti andavano ad assumere, inevitabilmente, aspetti strategici. Sullo sfondo lo scenario internazionale, con i fallimenti dei moti insurrezionali in Germania, particolarmente cocenti, e le difficoltà nel consolidamento dello Stato sovietico. La spaccatura si andava verificando nel Pc russo e, ovviamente, si rifletteva nell’immediato sul Komintern. Molte discussioni risultano ai nostri occhi poco comprensibili, anche perché fanno cenno a circostanze ascrivibili all’epoca, mentre altre conservano una certa attualità, se non stretta, almeno relativa agli anni recenti. La Sinistra, in Italia come altrove, soprattutto in Germania, lamenta un distaccamento rispetto alle prerogative originarie del Partito e al pensiero all‘azione di Lenin. Il riferimento è agli accadimenti degli anni immediatamente precedenti. Oltre alla ormai celebre querelle sugli Arditi del popolo, si parla del Delitto Matteotti e la Sinistra sostiene che il Partito non abbia sfruttato l’occasione favorevole di fermento preferendo l’ipotesi, riformista, dell’Antiparlamento. Il Centro dimostra qui di attenersi alle nuove direttive internazionali tendenti a superare il settarismo degli esordi con maggiore propensione a collaborare con le forze non comuniste, nella convinzione che un governo, seppure borghese, in cui alla classe operaia sia resa possibile l’organizzazione sia preferibile ai fini della rivoluzione a un governo smaccatamente reazionario. La Sinistra, dati alla mano, è convinta del contrario. In merito all’agibilità in Italia, il Centro propone una penetrazione all’interno delle organizzazioni sindacali fasciste, la Sinistra è, invece, fedele al motto “Rosso contro tricolore”. Va qui detto che i congressisti, eccetto per certi versi Gramsci, non colgono ancora l’eccezionalità del Regime fascista, che proprio in quei frangenti si andava definitivamente consolidando con la promulgazione delle Leggi eccezionali. Se ne parla in termini di un governo qualsiasi, quasi a carattere transitorio. Sull’organizzazione del Partito, grande spazio trova la disputa sulla strutturazione delle sue organizzazioni di base. Il Centro è per le cellule sui luoghi di lavoro, la Sinistra per le sezioni territoriali. Bordiga è convinto che le prime sfavoriscano la partecipazione degli operai, che, di norma, non abitano nelle vicinanze del posto d’impiego, e favoriscano la burocratizzazione e le derive corporativistiche. La burocratizzazione, appunto: è questa una preoccupazione della Sinistra che, a tal proposito, parla di “bolscevizzazione”, da intendersi come allineamento alle posizioni di Mosca, non su presupposti nazionalistici ma politici. Da ingegnere, porta l’esempio della Piramide, che anziché poggiare sulla base rischia di poggiare sul vertice. L’immagine è sulla copertina di questo Volume.
Una discussione sul metodo che diviene merito circa la democrazia interna. Bordiga, infatti, denuncia una certa arbitrarietà negli stessi lavori congressuali che nemmeno rispecchierebbero la reale composizione della compagine comunista in Italia. Denuncia la progressiva personalizzazione delle accuse tendenti a porre l’accento sulla sua figura come unica identificazione della Sinistra, per indebolire la medesima. Un elemento indubbiamente presente. Il Delegato Isidoro Azzario, che pure con Bordiga aveva condiviso le posizioni, nel suo intervento dice: “L’ambiente napoletano pesa su Bordiga come un destino. Bordiga ha bisogno di richiamarsi sovente alla forza del carattere, perché, se cambia opinione, se riconoscesse i propri errori, pare ch’egli tema di essere confuso con uno dei tanti pulcinella politici” (p. 137). La discussione è, comunque, libera ed aperta. Spassoso a tal proposito il confronto tra Bordiga e Stalin all’Esecutivo allargato, ricco di sollecitazioni e provocazioni.
Il Centro risponde a Bordiga con accuse di frazionismo, che si presterebbe altresì a facili strumentalizzazioni da parte degli avversari, suffragate dalla creazione di un Comitato d’intesa avviato proprio dalla Sinistra che, così facendo, aveva dato dimostrazione di porsi fuori dal Partito. L’accusa è, va da sé, respinta.
La Sinistra quindi esce sconfitta, dal Congresso italiano, così come in quelli degli altri paesi. Il Komintern si esprime contro le misure disciplinari dei sui componenti che, comunque, in Italia, nello stesso anno, ne sono oggetto. Gramsci continua a sostenere la collegialità e l’inclusione delle opposizioni negli organismi dirigenti del Partito. C’è qui riproposta, infatti, la celebre lettera al Comitato centrale del Pc sovietico in cui, pur appoggiano il Centro, egli auspicava l’unità e scongiurava misure di ritorsione, dannose agli occhi del mondo. Togliatti, che proprio in questi momenti segnava la sua ascesa politica, si dissocerà dalla lettera. La Sinistra esce dal Partito. Due anni dopo si costituisce in Frazione, pubblica “Prometeo” e i suoi militanti, nella diaspora, tra carcere, confino ed esilio, si adoperano per combattere il fascismo. Con la costituzione del Pcint, sebbene nel rifiuto dei fronti partigiani e della mera liberazione nazionale, i comunisti internazionalisti prenderanno in larga misura parte ai moti resistenziali. Consumatasi la rottura con Trockij, già dagli inizi degli anni Trenta, nel nuovo scenario internazionale, con la divisione in blocchi, con i movimenti di liberazione del Terzo mondo, a partire da quello cinese, di cui non sembrano cogliere il potenziale, i seguaci di Bordiga si troveranno isolati, con seguito modesto, presi da dispute interne. Parte del loro, comunque conosciuto, patrimonio sarà ereditato dalle elaborazioni della Nuova sinistra, almeno ai suoi albori. Per il resto, i partiti internazionalisti cui s’è fatto cenno all’inizio, sono giunti ai giorni nostri e sono i più longevi partiti, non solo comunisti, nel Paese.
Se si può trarre un bilancio, invece, del III Congresso nazionale Pcd’i, non avendo le famose controprove, si potrebbe riconoscere che a Lione, novant’anni fa, usciva sconfitto lo spirito “livornista”, fedele al programma originario del Partito, a favore di quella capacità di adattamento al mutare degli eventi che del Partito ne garantì il successo e, seppur a lungo termine, dopo tante degenerazioni, la fine.

Silvio Antonini

9157