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    LE CONDIZIONI PROLETARIE DOPO IL JOBS ACT

    (21 Novembre 2016)

    Editoriale del n. 47 di "Alternativa di Classe"

    no jobs act

    Alla solfa borghese sul “ruolo cruciale” del prossimo voto, che ci viene propinata ormai quotidianamente, ed abbondantemente, dai media “mainstream”, in occasione della “campagna referendaria” (sulla quale, peraltro, ci siamo già espressi fino in fondo nell'editoriale del n. 46 di ALTERNATIVA DI CLASSE dell'Ottobre scorso), si sono aggiunti ora solo i commenti sulla elezione di Donald Trump a nuovo (45°) Presidente degli USA. Si parla molto di questa elezione, avvenuta l'8 Novembre scorso, come di un risultato imprevisto, ma ci si dimentica che il sistema elettorale americano è molto diverso da quello europeo, ed italiano in particolare, e sembra fatto apposta per rendere difficile una individuazione delle tendenze sociali e politiche dei “cittadini”.
    In effetti, in USA vi è differenza fra l'insieme dei residenti maggiorenni e gli aventi diritto al voto (sono esclusi gli “stranieri”), poi, fra questi ultimi, il diritto di voto può decadere per una semplice condanna penale; fra chi rimane, poi, può votare solo chi si “registra” volontariamente come elettore, ed a volte (cambia da Stato a Stato...) per questa registrazione è necessaria la carta d'identità, documento spesso non indispensabile in USA. Questo sistema, perciò, già rende il voto più “difficile” alle minoranze più povere, come “neri ed ispanici”... In ogni caso, l'8 l'affluenza è stata solo fra il 57 ed il 58% tra i “registrati”, rivelando la grossa importanza del “non voto”, soprattutto proletario: la generale similitudine fra Democratici e Repubblicani comincia ad essere un dato acquisito anche in USA...
    Quanto poco significativa sia l'interpretazione del voto USA lo dimostra infine il dato che, oltre tutto, nel complesso ha preso più voti Hillary Clinton, ma a prendere la maggioranza in più Stati è stato Donald Trump. Questo miliardario demagogo, poi, sta già avvicinando nella sostanza il suo programma a quello del suo predecessore B. Obama, per adeguarlo nella realtà alle richieste di chi, in sintesi, ha voluto la sua elezione, e cioè il gotha della finanza USA, che lo ha ritenuto, in definitiva, più idoneo a garantire per i prossimi anni i suoi interessi di classe “in patria” e nella concorrenza interimperialista internazionale; peraltro le borse, dopo un brevissimo calo, si sono subito rialzate...
    L'unico dato positivo legato a queste elezioni sono le manifestazioni di piazza contro Trump, anche se vi giocano un ruolo non marginale sostenitori del “socialista” B. Sanders, se non della stessa H. Clinton, entrambi del Partito Democratico. In ogni caso, anche un movimento spurio come questo, nella situazione data, potrebbe dare luogo un domani a sbocchi oggi imprevedibili...
    Movimento che, invece, ad oggi manca qui in Italia, dove il dato degli effetti della crisi internazionale sui proletari è, ovviamente, più critico. E, nonostante i discorsi ottimistici di Padoan e di Renzi, oggi più elettoralistici che mai, dati i significati di cui hanno voluto caricare il prossimo referendum, i dati ufficiali non confermano alcun motivo di soddisfazione per i proletari in Italia. Anzi.
    Uno dei “cavalli di battaglia” governativi riguarda il presunto aumento dell'occupazione, che sarebbe dovuto al “Jobs act”... A parte il fatto che un incremento iniziale di assunzioni è stato determinato più dalla decontribuzione “integrale” di 24mila Euro in tre anni, prevista dalla legge, per i padroni, che dai nuovi meccanismi introdotti, c'è che negli ultimi due anni i licenziamenti “per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”, senza art. 18 della Legge 300/'70, sono passati da circa 35 a 46mila, aumentando del 31%, con un “boom” di 10mila in più nell'ultimo anno, cioè proprio da quando sono in auge le “assunzioni con contratto a tutele crescenti”!
    Il “Jobs act”, insomma, entrato in vigore da circa un anno e mezzo, ha lasciato invariata, ad 11,4%, secondo dati INPS, in sostanziale accordo con quelli ISTAT, la percentuale ufficiale dei “senza lavoro”, mentre, sempre a fine Agosto u. s., è cresciuto a dismisura il ricorso ai “vaucher”, su cui ci soffermeremo poi. Nel 2016, fino ad Agosto, le assunzioni sono calate del 8,5% (da 1,2 milioni ad 800mila) e le trasformazioni in contratti a tempo indeterminato sono diminuite del 35,4% rispetto all'anno precedente; la decontribuzione di cui sopra è passata, infatti, a “soli” 3250 Euro annuali, sempre a conferma di quanto sopra riportato sul suo ruolo incentivante. I contratti a tempo indeterminato sono anche inferiori a quelli dello stesso periodo del 2014!...
    Insomma, a fronte di una disoccupazione sostanzialmente stabile, nell'Agosto '16, quando vi è stato l'ultimo rilevamento, si è registrata la percentuale minima di assunzioni a tempo indeterminato rispetto al totale delle nuove assunzioni degli ultimi due anni: il 24,9%. Tra i pochi nuovi assunti, cioè, solo uno su quattro lo è a tempo indeterminato... In pratica, la nuova occupazione non “decolla”, mentre certamente non diminuiscono dimissioni e licenziamenti!
    Se la disoccupazione è stabile, non è, invece, “stabile e sicuro” (come si diceva tanti anni fa) l'unico tipo di occupazione che aumenta: quella legata ai “voucher”. L'INPS, infatti, comunica che “...Ha registrato un tasso di crescita del 66% tra il 2014 ed il 2015, cui va aggiunto un ulteriore +40% tra i primi sei mesi del 2015 ed i primi sei mesi del 2016”. Questo lavoro nero mascherato, la cui sperimentazione è iniziata subito dopo la crisi, nell'Agosto '08, è stato utilizzato dal capitale per 347,2 milioni di volte fino al 30 Giugno 2016, e per ben 96,6 milioni da Gennaio ad Agosto 2016, cioè il 35,9% in più dello stesso periodo del 2015 (quando l'aumento era stato del 71,3%) . Se consideriamo poi che ogni “buono” può, in pratica, “coprire” altrettante giornate di lavoro nero...
    Tutti hanno potuto vedere, dall'inizio della crisi in poi, un fortissimo aumento di frequentatori delle “mense dei poveri” e di persone che frugano nei cassonetti dell'immondizia; e non sono solo immigrati! A questi indicatori empirici dell'aumento della povertà (che poco ha a che vedere con il PIL o, peggio, con le Borse, e molto con i fenomeni di concentramento della ricchezza e del potere), se ne aggiungono altri, secondo i rilievi di EUROSTAT. Essa ha concluso che nel 2015 l'Italia è stato il Paese europeo con il numero più elevato di persone che vivono in "gravi privazioni materiali", cioè con “chi non è in grado di sostenere almeno 4 su 9 “spese familiari comuni”: quasi 7 milioni, cioè l'11,5% della popolazione italiana . Ed il fenomeno non accenna a diminuire!
    Il secondo indicatore è, invece, la “povertà monetaria”, data da “chi vive al di sotto del 60% del reddito mediano di un Paese”: in Italia, secondo EUROSTAT, nel 2015 la soglia è stata di € 9327 annui, e ne stava al di sotto il 19,9% della popolazione. E' il dato maggiore degli ultimi dieci anni, ed, a fronte di una media UE del 17,3%, l'Italia è l'ottavo Paese più povero sui 28 membri UE.
    Per ISTAT, che considera solo due voci, “povertà assoluta” (a livello di sopravvivenza) e “povertà relativa” (difficoltà nella fruizione di beni), nel 2015 si è raggiunta la punta più alta dal 2005 in poi, con 4 milioni e 598mila “poveri assoluti”! Anche in base al Rapporto 2016 della stessa Caritas su “povertà ed esclusione sociale”, uscito di recente, con la crisi la percentuale di poveri in Italia è passata dal 3,1 del 2007 all'attuale 7,6%. A disoccupati, anziani e famiglie numerose, si sono aggiunti ora lavoratori e giovani, ed è questa la principale e significativa novità qualitativa, oltre ai primati quantitativi! Dal punto di vista geografico, il dato peggiore è al Sud, dove dal 2008, con la crisi sono andati persi 576mila posti di lavoro ed i livelli occupazionali sono addirittura i più bassi dal 1977!
    Al disagio sociale ed alla povertà di base degli immigrati, spesso rifugiati provenienti da situazioni di guerra, in cui gli imperialismi, compreso quello italiano, hanno le principali responsabilità, si stanno aggiungendo, così, soprattutto giovani lavoratori, anche di famiglie italiane, super-sfruttati sul lavoro! Nel contempo, vi è il disagio abitativo di nativi ed immigrati, che non va dimenticato, e che è sempre più legato a quello lavorativo.
    E' ormai notorio che l'1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%, come si sa che il divario nella ricchezza sociale si sta allargando; non è una novità: capitalismo significa proprio “ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”. Aumenta la ricchezza dei più ricchi, che anche diminuiscono di numero; sta crescendo poi la differenza tra la massa di “lavoratori medi” e le alte dirigenze: vi è, in definitiva, una polarizzazione sempre maggiore.
    Il divario sta aumentando, in particolare, in Italia, dove i due terzi (67,7%) della ricchezza sono appannaggio del 20% della popolazione, e “l’1% più ricco l’anno scorso deteneva il 23,4% della ricchezza nazionale netta” (dato Oxfam).
    Secondo il Rapporto ISTAT del 2016, l'Indice di Gini (che misura le diseguaglianze, da 0 ad 1) risulta in continuo aumento; in particolare l'Italia con 0,51 già nel 2010 ha superato anche gli stessi USA, e nel mondo si tratta “dell'incremento più alto tra i Paesi per i quali sono disponibili i dati” Anche l'aumento del reddito nominale, nonostante il fatto che è noto quanto poco i redditi dichiarati corrispondano poi alla realtà (fatta eccezione, ovviamente, per il lavoro dipendente), conferma i dati di cui sopra; praticamente, tutto sommato, in termini reali, i più poveri sono andati indietro!
    A parte i problemi di redistribuzione dei governi borghesi, mirati a differenziare il più possibile le condizioni dei proletari per rendere più difficili le possibilità di unità, per i proletari si tratta di prendere coscienza, sul proprio piano, della sempre più forte necessità, invece, di unità, indipendentemente dalle proprie specificità, sia di provenienza (origine, sesso, età, religione, ecc.) che di condizione lavorativa (disoccupati, precari, “fissi” o altro), premettendo a tutto l'indipendenza di classe a partire dalla difesa delle condizioni di vita proletarie.

    Alternativa di Classe

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