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Il partigianesimo filoimperialista del Rojava

(22 Dicembre 2016)

Il pane e le rose è, notoriamente, un sito molto aperto, che cerca di non trascurare nessuna voce del dibattito della sinistra di classe italiana ed internazionale. In quest'ottica, è prevista ancora l'auto-pubblicazione dei propri contributi, una possibilità che molte realtà politiche o anche singoli individui sfruttano, contribuendo a rendere meno scontata la discussione che si svolge su queste pagine. Lo scritto che segue ne è un esempio, e in questo senso non comporta l'automatica condivisione redazionale di tutte le sue formulazioni.

In tempi di tediosi dibattiti referendari, in cui si fa un gran parlare di concetti privi di ogni significato concreto quali “diritto”, “costituzione”, “democrazia”, c’è anche qualcuno che trova una patria d’elezione per simili retoriche scempiaggini: per la nostrana cosiddetta “sinistra radicale” quell’isola di Utopia sarebbe la regione del Nord della Siria, a prevalenza etnica curda, ultimamente chiamata col nome di Rojava, che nella lingua ivi parlata significa “occidente”.

In tale regione, negli ultimi anni segnata dalla guerra che dilania la Siria, è sorta un’entità politica autonoma, uno Stato di fatto. Questo, dovendo definirsi in rapporto ad altri Stati di diritto e de facto, quali la Turchia, l’Iraq, ciò che resta dello Stato siriano, il sedicente Stato Islamico e i territori in mano alle altre forze jihadiste siriane, ha dovuto ritagliarsi una identità, sia per cementare il fronte interno sia per contrapporsi ai concorrenti, mobilitando militarmente e ideologicamente la popolazione.

Il Rojava ha in effetti le caratteristiche di uno Stato, con costituzione, territorio e forza armata. Alla sua direzione c’è un partito, un fronte di partiti, a base etnica ma che si vogliono dipingere laici, progressisti e con tutta l’abusata mitologia democratica.

Il suo territorio, che attualmente esorbita rispetto al tradizionale Kurdistan siriano, nacque nel 2012, l’anno successivo allo scoppio della guerra in Siria, quando le trup­pe del governo di Damasco, nell’impossibilità di controllare un’ampia area del territorio nazionale, si ritirarono. Il controllo della regione fu assunto da una coalizione di forze curde, il Supremo Comitato Curdo, un’estemporanea alleanza politica nata sotto gli auspici del leader curdo-iracheno Mas’ud Barzani e formato da due partiti: il PYD, Partito dell’Unione Democratica, e il KNC, Consiglio Nazionale Curdo. I partiti appartengono a due distinte correnti del nazionalismo curdo le quali si distinguono più per i loro legami internazionali che per differenti ideologie politiche: il KNC non è altro che la sezione del Partito Democratico del Kurdistan iracheno guidato dal summenzionato Barzani, mentre il PYD, che pure ha accolto al suo interno molti elementi formatisi all’interno del KNC come il suo leader Salih Muslim Mohamed, deve la sua formazione nel 2003 all’azione in territorio siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) basato in Turchia e fondato e diretto da Abdullah Öcalan.

Col tempo la coalizione delle forze di etnia curda, la quale non è maggioritaria in tutte le regioni da essa controllate militarmente, si è estesa anche alle altre componenti etniche della regione. Attualmente nella regione del Rojava sono riconosciute ufficialmente le etnie: curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni.

La relativa coesione sociale interna e l’estensione del territorio di questo staterello sono dovute a due diversi ordini di fattori. Da una parte agisce il terrore di cadere sotto la dominazione del sedicente Stato Islamico, e per le minoranze etniche e religiose di essere sottoposte a forme più o meno violente di pulizia etnica. In questo senso l’alleanza con altre componenti etniche ha avuto un certo successo, perché si trattava di minoranze perseguitate ferocemente dai jihadisti e, per cause storiche, ai limiti dell’estinzione. Questo è il caso della minoranza detta assiro-cristiana di Siria, di lingua aramaica, presente soprattutto nel governatorato di Al-Hasakah, la quale ha dato vita al Partito dell’Unione Siriaca in Siria che si è dotato di un’organizzazione militare chiamata Sutoro (Ufficio di Sicurezza Siriano) che a sua volta collabora con le YPG, cioè le Unità di Protezione del Popolo legate al PYD curdo.

Ma un altro elemento che ha contribuito all’affermazione del Rojava è stato l’appoggio accordato alternativamente dalle potenze imperialiste presenti sulla scena mediorientale, con l’obiettivo di impedire, con complesse manovre, l’affermarsi di entità territoriali e militari troppo forti, che potrebbero far pendere l’ago della bilancia a favore del fronte avverso. Se nella fase in cui le forze del Rojava contrastavano lo Stato Islamico nella lunga battaglia per il controllo della città di Kobane godevano prevalentemente dell’appoggio della Russia, in seguito hanno potuto contare sul sostegno dell’aviazione degli Stati Uniti la quale ha permesso alle truppe di terra significative conquiste territoriali. Dal gennaio del 2016 le forze statunitensi prendevano il controllo della base aerea di Rmeilan, nella provincia siriana di Al-Hasakah controllata dai curdi siriani, da dove potevano compiere raid aerei contro obiettivi dello Stato Islamico in appoggio alle milizie del Rojava.

Nelle zone strappate allo Stato Islamico dalle forze del Rojava si sono verificate pesanti persecuzioni ai danni della popolazione araba sunnita, del tutto simili a quelle subite in precedenza dai curdi ad opera della milizie jihadiste.

Non stupisce dunque che in una guerra fra fronti partigiani borghesi si ostentasse anche una forza con connotati laici e modernizzanti, da opporre all’oscurantismo religioso onnipresente in Medio Oriente in tutti gli schieramenti in lotta. Un fenomeno questo del frontismo “democratico e progressista” che rassomiglia alle “guerre di liberazione” nella fase finale del secondo conflitto mondiale in Italia e in Francia, partigianesimo che certamente si schiererà e appoggerà ai fianchi ogni futuro scontro imperialista in funzione antiproletaria e antirivoluzionaria.

Come la nostra corrente di Sinistra ha sempre sostenuto l’impraticabilità di equivoci fronti antifascisti con forze borghesi, parimenti siamo contrari a qualsiasi alleanza con Stati, partiti e fazioni borghesi laici e “progressisti” per contrastare l’oscurantismo religioso. In vista della realizzazione dei fini storici del comunismo, in pace il nostro indirizzo immediato è quello della difesa degli interessi immediati del proletariato e in guerra la consegna, nell’epoca dell’imperialismo imperante, è sempre quella di trasformare la guerra fra Stati e fazioni borghesi in guerra fra le classi.

Ma quello che più seduce il rincoglionito sinistrume occidentale sarebbe la nuova Costituzione del Rojava.

La cosiddetta Carta del Contratto Sociale del Rojava trae ispirazione dalle Costituzioni dei paesi europei, con non poche assonanze con quella italiana. Come vuole la dottrina dei costituzionalisti che nel secondo dopoguerra hanno redatto le leggi fondamentali degli Stati che avevano attraversato la “parentesi” di esperienze apertamente totalitarie, la costituzione deve essere “lunga”, cioè deve avere molti articoli che definiscano in maniera dettagliata l’articolazione e l’equilibrio reciproco delle istituzioni e dei poteri in modo da stabilire un “sistema di garanzie” tale da impedire che colpi di mano o forzature politiche ne stravolgano la natura democratica favorendo l’instaurazione della dittatura di un partito o di un individuo.

La Carta del Rojava con i suoi 96 articoli e con la separazione fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario e la definizione delle istituzioni che a essi devono presiedere, risponde almeno al requisito della “lunghezza”, nonostante sia stato elaborato nelle condizioni di una guerra in corso e al quale si prevedono ulteriori elaborazioni a conflitto concluso.

Inoltre, come gli stessi costituzionalisti democratici hanno prescritto, la legge fondamentale dello Stato deve essere “rigida” nel senso che non può essere contraddetta dalle leggi ordinarie, di grado inferiore. Vi sono quindi prescritti compiti e struttura della Suprema Corte Costituzionale col compito di «verificare la costituzionalità delle leggi promulgate dall’Assemblea Legislativa e delle decisioni adottate dal Consiglio Esecutivo» e di «controllare leggi e regolamenti che potessero risultare in conflitto con la lettera e lo spirito della Carta e della Costituzione».

Dunque, come ogni Stato capitalista che si rispetti, la dittatura della classe borghese è inquadrata e abbellita in un meccanismo giuridico formale che solo serve a nascondere la natura di classe dello Stato sventolando davanti ai proletari e ai contadini poveri la logora bandiera dei “diritti”. Che il Rojava si sia dovuto dotare di una carta costituzionale e che inoltre sia così conforme ai principi sanciti dalle costituzioni dei paesi di vecchio decrepito capitalismo, per noi marxisti è immediata conferma del carattere borghese dell’entità statuale che si è creata nel Nord della Siria e delle finalità di dominazione di classe sul proletariato dello Stato che si intende strutturare in tale cornice giuridica.

Non a caso la Carta del Rojava sancisce la difesa della proprietà privata: «Ogni individuo ha il diritto alla proprietà e nessuno può essere privato di un bene se non in conformità con la legge se non per ragioni di pubblica utilità o interesse e in cambio di un giusto indennizzo».

Un merito possiamo riconoscerlo a tale Carta: non vi si fa mai in alcun luogo riferimento al termine “socialismo”.

E l’articolo 86 stabilisce la formula del giuramento dei membri dell’Assemblea Legislativa: «Giuro su Dio Onnipotente...». Questi deputati, che si suppongono tutti credenti nel Padreterno e certi della sua onnipotenza, legifereranno in nome della proprietà capitalistica esattamente come da più di due secoli si fa nei parlamenti democratici di tutto il mondo.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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